Jun 04, 2006 20:26
Decibel innervositi attraverso il lenzuolo di vetro morbido.
Ho questa visione di te.
Che mi lascia camminare dritta sull'acqua. E volgere basse le mie ali nere. Per inoltrarmi nel fondale.
Ho quest'odore di te.
Che mi tormenta, che mi cammina dentro peggio che un'edera in rivolta. Il nostro è un gioco di rivoluzioni e stiamo fermi solo per gli altri che non ci comprendono, intanto noi nutriamo affondi e ricognizioni, intanto noi così tangibili, con la certezza di nessuna contrizione.
Ho questa carezza di te.
Che è anima cruda per ogni mia venatura e mi vomita in faccia indomabili ebbrezze.
Il nostro è un non-gioco di vibrazioni e siamo insipidi solo per chi non sì coagula a sfacciate gradazioni.
Andrea si lascia camminare.
E la mia mano è così accurata che pare guarirlo graffiandolo.
Andrea mi costringe ad infrangere ritmi regolari, normo-deglutizioni. Innescato. Voluto. Lièo.
Io e Andrea. che strana alchimia.
Ti guardo e ti rendo complice.
Mi guardi e mi porgi sconfinamenti.
Come chiudersi a chiave in un angolo rosso e iniziare a leccare sangue lacrime e voglie, come dimenticare il nome di una bambola parcheggiata al fianco di una normalità perché così lei ha voluto.
Come tutto ciò che ora voglio io, nell'istante che tu condividi, strapparti di dosso pudori e brandelli d'inferno, farne porte che s'aprono.
Ti monto sopra senza darti tempo. Ti sorprendo in un alcolico 'alza il volume angelo'.
Masturbami la bocca, ora non chiedo altro.
Balliamo dall'alto di una panchina.
Tu eretto, io armonica nei miei sbandamenti, con dita a pressione sui tuoi jeans, che scivolano in base ai camminamenti che pretendo, che offrono ancora per poco odore di stoffa misto a carne, spingimi la testa contro la tua pancia, fai della mia lingua una dolcezza feroce.
Stai attento a non lasciarmi invisibili ferite. Voglio la mia bocca sia tanto gonfia e viola quanto dolorante. Madida.
C'è solo luce opaca intorno e silenzi taglienti in lotta con atti carnali urlanti. Lo senti il mio timido tremare? Eppure talmente sfacciato da sembrare orfano. Non posso scivolare e svanire con te epidemico, così caldo. Ed ora la mia violenza romantica mi vuole fragile, scoscesa. E scosciata. Mentre m'inarco di più la mia gonna s'alza e scandisce ruvidi giochi di pelle, stammi addosso, più vicino, ancora più vicino.
Io e Andrea. che densa patologia.
Io e Andrea nuotiamo tra musica ipnotica e scarpe viola. Ti succhio e la tua pelle è tesa e la mia pelle è tesa. Un'auto si ferma vicino noi. Vetro che s'abbassa filtrando nostra impalpabile indifferenza. Una donna ci chiede di unirsi, io e Andrea facciamo cenno di no, curandoci debolmente della sua smorfia non compiacente. Riappropriandoci subitanei della nostra amalgama. Ora il cazzo di Andrea è come un'arma nella mia gola, basterebbe premere il grilletto e sarei carne rossa tra le sue mani, incosciente trapezista dalle ali spiegate. Andrea interseca dita tra le ciocche dei miei capelli, le stringe come fili densi in amore, non se ne distacca.
Il legno della panchina pare scheggiarsi ad ogni movimento, ora che lui mi solleva e mi bacia, ora che i nostri petti coincidono, che le sue braccia si adagiano sulle mie spalle. Fatti vibrare.
Io ora ranicchiata nell'angolo più acuto di me, a guardarlo sorridermi.
Mentre ancora chi passa vorrebbe stare nelle nostre scarpe violate e lasciare medesime impronte. Solchi in labirintici sapori. Andrea facciamo l'amore, facciamolo qui, facciamolo ora.
Lascio scorrere una mano sotto la sua maglietta. L'alzo. La sfilo.
Io e Andrea sembriamo demoni in collisione, chiudiamo gli occhi…possedere il buio di un attimo e deciderne il ritmo. Dalla tasca del pantalone sceso sporge una penna, l'afferro, lo incido, l'inchiostro trafigge la sua anima calibrando spasmodici mancamenti e pensieri come fiati persi solo per impazienza, fuoriescono.
E vorrei le mie gambe rimanessero aperte per permettergli migliori accessi-confidenza, così la sua bocca tra capezzoli erti aprire la mia, per ore di conversazione a cielo pieno.
Ora non ci risparmiamo. Ci diamo in pasto come orgiastici folli umanoidi, ballando nei nostri pallori alcolici riflessi, esasperando turbamenti come aghi trasparenti che bucano fiumi neri. Ho voglia di sentirmi impotente d'uscire, preda alata irretita nell'intrico della tua tela, tu ragno ed io falena, noi consapevoli ingordi del nostro gioco di non-innocenza.
Balliamo per ore su questa panchina, sei bollente quando mi entri dentro, il culo aderisce perfettamente al tuo cazzo, mentre lascio scivolare le mie emozioni come vele gonfie di vento e sento più volte il tuo sguardo fitto cadermi tra umori e brividi.
Andrea continua. Non ti fermare.
Le nostre lingue come estensioni di carne trafitte da lame d'amore. O come meduse. Dalle quali farsi bruciare. Andrea mi lecca dappertutto, senza dimenticare millimetri di pelle, nel percorso i suoi denti disegnano perversioni, ho così voglia di fotterti e carezzarti, ho così voglia di berti, di sentirti lucido e lubrico, come se ogni sfiorarci fosse trappola per caderci a fondo. Lo schienale della panchina sembra fatto apposta per appoggiare braccia in tensione, Andrea mi piega a novanta e mi entra ancora nel culo. Sentirlo così di schianto mi fa impazzire, mentre non c'è più vergogna se non nell'impazienza di volerne ancora. E ancora.
Avverto le sue spinte come cavalcate sfrontate, io lo incito a non fermarsi, lo istigo a metterci più forza, con foga gli afferro i fianchi da dietro, lui mi prende i polsi, li unisce in un'unica catena. Il buio ormai accompagna i movimenti, giostrandosi egregiamente tra riflessi scomposti di luna e di alberi, io e Andrea ancora giochiamo a metterci in gioco, più vividi e sfacciati che mai. Senza lesioni premeditate se non il nostro volerci.
Che importa quanto tempo è passato, chi ha guardato, chi ha goduto di noi, che importa se stiamo urlando in silenzio i nostri tachicardici svenimenti, se esageriamo di parole e gesti e suoni e sguardi. Che importa se mastichiamo con rabbia o dolcezza, se ci infiliamo foglie tridenti e perversioni tra le labbra, e mentre, ci strusciamo delirando come animali in anomalo accoppiamento. Lasciamoci infierire. Leggiamoci lentamente e perdiamo ancora il ritmo dell'inchiostro, mentre sento altalenarti tra i miei buchi e il mio bacino modulare complici sinuosità.
Sembra piovere spilli leggeri, mentre Andrea mi fa assaporare l'odore dell'erba bagnata di noi e mi ordina 'lecca' e mi sussurra 'ti voglio' e mi spinge la bocca nel verde scuro imperlato, prima di darmi un bacio.
Poi io premo sul suo braccio, capovolgendolo. Gli monto sopra.
E mi faccio puledra, succhiando dal ventre, vene gonfie. Godendo d'ogni suo respiro debole, d'ogni suo gemito in abbandono. Dei miei affronti uterini.
I miei capezzoli intanto bucano l'aria. E le sue mani li afferrano, ne fanno motivo d'approvvigionamento.
Andrea si solleva un poco, mi vuole di fianco, anch'io sollevata, senza che smetta di cavalcare, gli piace sfidarmi in posizioni complesse, tali da desiderare pause, perverse da non concederne.
Mi sfilo di scatto e mi volto, ora la mia schiena batte sul suo petto, lo voglio aderente e preciso, sentirlo invadermi la pancia. Così che una sua mano possa far coincidere ballate tra la figa e le spinte, dandogli modo di desiderare più accessi, alternando.
Andrea voglio sentirti godere mentre stringo muscoli precisi, avvolgendoti, mentre mi sei tanto dentro quanto mutui lo sono i nostri cervelli, e la carne pare corrodersi da quanto brucia. Noi liberi nel nostro famelico abbandono, noi così liquidi e densi al contempo, rappresi in lisergici abbracci.
Così rimaniamo fino a che piccole luci invadenti porgono il guanciale alla notte rapita.
Così persi. Nel piacere reciproco di chiudere occhi.
E dare ancora sfogo ad onde iniettate di giochi d'acqua spumosi.