Sono andato segnando

Sep 03, 2007 18:55

  
Visto che di questi giorni non riesco a pensare ad altro, ho deciso che fosse il caso di spolverare il mio primo tentativo di twincest.
Si tratta di una coppia di gemelli cui sono molto legata, la cui storia però non è mai stata pubblicata. Non avevo ancora scoperto nè slash nè yaoi, eppure non si sa bene come creavo sempre personaggi ambigui, con relazioni ambigue e... 
Questa specie di one-shot si inserisce dentro un quadro più ampio, nato nella mia mente tredicenne mentre ascoltavo una canzone, al buio.
La prima versione della storia complessiva è praticamente illeggibile. Alla seconda sono molto legata.

A grandi linee, si racconta la storia di Francesco, non ben precisato attivista politico innamorato di Verdiana e della sua chitarra, e di suo fratello Michele. Bellissimo e spezzato. Violentato dal padre a dieci anni, e da allora lontano.
Il desiderio sessuale tra i due gemelli non è, a ben guardare, così evidente nella storia vera e propria. Diciamo che assume connotati quasi casti, in un certo senso.
Che siano stati anche amanti - una notte soltanto, prima che Michele partisse per la Spagna in moto, con il suo migliore amico - l'ho scoperto quasi per caso, scrivendo questo pezzo. 
Collocabile più o meno intorno ai loro vent'anni, prima che la tragedia colpisse e Francesco si ritrovasse solo. Pazzo. In compagnia dei soli fantasmi.

E' un delirio. Una caduta dentro l'abisso, me ne rendo conto. Pieno di riferimenti oscuri, a cose che solo io posso comprendere. Ma lo posto lo stesso. Perchè così almeno, la prossima volta che vorrò leggerlo, non dovrò setacciare mille cartelle e ricorrere ad un floppy ormai rovinato. 
Per tenerlo sottomano, insomma. E poi perchè alla fine, anche lui è parte di me.

L'ho modificato, rispetto alla versione originale. In due anni ho cambiato troppo modo di scrivere, per sopportare quel che era. Ma la struttura è rimasta la stessa. Ed il filmato che mi girava davanti agli occhi mentre lo aggiustavo - beh, quello credo che non cambierà mai.

Ultima cosa. Il primo verso è di Neruda - gli altri, di Garcia Lorca. 
Francesco condivide il mio amore per quell'uomo, niente da dire.

Sono andato segnando con croci di fuoco l'atlante bianco del tuo corpo.

Ti guardo crocifisso sul letto. Gli occhi spalancati al soffitto. Nebbia intorno alla pupilla - iride di perla, sognante e chiara. Di quella luce che solo il grigio sa offrire.

Socchiudi le labbra, le bagni con la lingua. La saliva brilla appena dentro la penombra, mentre tu resti sdraiato in silenzio, tra parole non dette. Che mai dirai.

Seduto ai tuoi piedi, ti guardo. Fingi di non accorgertene, ed io ti amo anche per questo.

Lascio scorrere lo sguardo sulla tua pelle, centimetro dopo centimetro, percorrendola piano.

Sono andato segnando con croci di fuoco l'atlante bianco del tuo corpo.

Ti amo. E tutta questa perfezione minaccia di spezzarmi, tanto è assoluta.

È una perversione sottile, la mia. Un desiderio eterno reale.

Sono Narciso, e posso amare il mio riflesso. Posso allungare una mano e sfiorare il mio viso, le mie labbra, i miei capelli; posso passare le dita dentro la mia bocca scoprendo la superficie levigata dei denti, e la lingua - posso entrarmi dentro, senza incontrare la resistenza del vetro. Senza affrontare il glaciale spessore dello specchio.

Posso stringere, carezzare, baciare questo tuo corpo che mi si abbandona nelle mani come sempre ha fatto; posso ritrovare nei tuoi occhi lo stesso desiderio che brucia i miei. Posso tradurre in gesti i miei sogni senza dover abbassare le palpebre per la vergogna.

Posso fare quel che voglio, qui, in questa casupola persa nei boschi, abitata dai respiri di mille fantasmi; posso amare chi voglio, qui, su questo letto che ha visto dormire me e Verdiana; posso pensare come voglio, sotto questo lucernario che ci offre al cielo.

E forse, lassù, qualche divinità in cui noi non crediamo si divertirà ai nostri giochi.

Posso amare chi voglio, qui. Anche te. Senza pudore, senza sensi di colpa, senza bloccarmi di fronte ai perché ed ai come. Senza dire se è giusto o sbagliato, senza pensare all'anello di quella fottuta catena - spezzato dentro quella giornata di vento - senza ricordare cosa ci ha portato qui, tra queste lenzuola bianche, qui, a riscoprirci nudi come bambini. Qui. A sorriderci timorosi.

Ma tu continui a fissare il cielo, e quando finalmente abbassi gli occhi e li nascondi nei miei, e parli, la tua voce è fredda come neve. (Tu sei la neve. Le croci con cui dovrei orientarmi sulla tua geografia misteriosa potrebbero scioglierti.)

"Non è colpa mia, vero?"

Ti ascolto. Ti guardo. E non dico niente.

Cosa dovrei risponderti?

Che sì, è colpa tua, che siamo qui in questa notte assurda e magica perché quando quel pomeriggio ventoso di dieci anni fa sono tornato a casa e ti ho trovato piegato in due, a piangere, il dolore è stato talmente forte che ti ho baciato - a dieci anni il primo bacio peccatore, dato solo per consolarti, o forse per sentirti di nuovo mio, per togliere dalla tua pelle ogni altro odore - e poi dopo quel bacio ti ho preso per mano e portato via, ti ho rubato per non lasciarti più agli altri, e di notte l'incubo ha fiammeggiato in me e l'abbiamo conosciuto insieme, e questo ci ha segnati per sempre, perché non abbiamo mai saputo nascondere il desiderio che provavamo - non è possibile quando dividi i sogni - ma quel desiderio era vergogna e noi abbiamo taciuto - desiderio morboso e sbagliato, che stiamo traducendo in realtà.

Cosa dovrei risponderti?

Che sì, è colpa tua, perché già da bambino eri talmente bello che quel bastardo non ha resistito - non esistono scrupoli per gli orchi nelle favole; nella vita reale ce ne sono ancora meno - e da allora è sempre stato così, con tutti - per la tua purezza insanguinata e la tua contaminata innocenza - anche con me, mistero pulsante.

Cosa dovrei risponderti?

Che sì, è colpa tua, perché sei bellissimo e non riesco a starti vicino, perché amo Verdiana eppure ogni volta che ti respiro annego, perché sei mio fratello e con questa notte violiamo tutte le norme di tutti i codici che regolano l'amore, con questo sporco incesto omosessuale. Con questo dolce e tenero incubo.

Cosa dovrei risponderti?

Ti bacio.

E tu ti scosti e quando mi guardi i tuoi occhi sono immensi. E sono immensi i miei quando penso che non c'è mio sentire che tu non abbia provato, non c'è mio sapore che tu non abbia gustato - persino Verdiana ed il mare, e quella notte, ma allora era diverso, lei era il collante, e nessuno dei tre potrebbe giurare che quello non fosse stato un sogno.

"Questa ti pare una colpa?"

Mio amore, questo ti pare un delitto? Questa voglia, questo bisogno di stringerci baciarci conoscerci completarci, sentirci vicini dopo vent'anni di lontananza.

Perversa idea di purezza, oscuro peccato. Mutilare il sesso, crocifiggere il piacere.

Io ti amo e tu ami me, non c'è nient'altro da capire - e noi non siamo mai stati puri perché ci siamo sempre guardati - tu inquietante spettatore dei miei sogni, io protagonista dei tuoi - ci siamo sempre cercati e attirati e voluti, abbiamo perso la verginità insieme quel pomeriggio - inutile ignorarlo - e d'allora il mondo ha smarrito ogni traccia di biancore.
L'innocenza l'abbiamo seppellita nel profondo, sotto pietre e terra, ai piedi dell'oleandro del giardino.
E Michi quel giorno nostro padre l'avrei ucciso, se solo avessi potuto scostarmi da te per un istante - ma il tuo corpo pulsava, violato, e sembrava che se ci fossimo allontanati il dolore sarebbe diventato così forte da bruciare il cervello, da farci impazzire.
Forse è successo, Michi. Forse siamo folli. Forse siamo pazzi.
Sorridi - e in quel sorriso il sole muore.
"La follia è un'arma potente. Disseta e consola, aiuta a cadere."
Cadere dove?
Nell'abisso.
Ripiombi tra le lenzuola; io mi stendo al tuo fianco. Sento le tue dita sopra il ventre, una carezza indecisa, e poso la mano sul tuo petto, premendo il palmo sopra il cuore. Poi, c'è la tua bocca all'angolo della mia, il disegno perfetto delle tue labbra accostato al mio viso, e lo spessore della tua lingua scivolata tra i denti, conosciuta così bene.
Noi. Sdraiati vicini - addosso a me, il tuo è un peso delizioso. Ogni respiro è un bacio pigro, ed ogni bacio è fiato preso, mentre le mani si muovono su braccia fianchi e schiene incontrandosi a volte, nei loro smarrimenti.
Un brivido. Un sogno.
E la sensazione terribile di essere di nuovi pieni, la confusione delle voci, dei bisbigli - dei corpi sciolti insieme dentro qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo.
Ed il vuoto.
Io ti guardo e hai occhi immensi - quegli occhi sono miei, Michele, li conosco, quando li hai rubati?
Il tuo cuore batte, preciso contro il mio. Ogni contorno è sfumato - sul punto di svanire.
"Sei tu o sono io?"
Ascolti il mio sussurro e ti adombri.
So quel che ho detto. Ricordo. Tutto. Ogni prima volta.
Noi due stesi sull'erba - in un pomeriggio di sole - e la pagina di quella poesia consumata sotto le dita, l'odore tuo e dell'inchiostro e dell'erba - la carta sottile, il cielo…
"Fra. Dilla," chiedi, con voce rauca.
Io parlo con la bocca incollata alla tua. Ho sempre voluto potertele regalare in questo modo, quelle parole - i versi di García Lorca sono stati scritti per questo, per essere recitati dentro la bocca di un altro, impastati da due salive mischiate.
"Il mio cuore è il tuo cuore?"
C'è il fremito della pelle, la conchiglia del tuo orecchio sotto le mie dita. I tuoi capelli contro la mia guancia, mentre volti appena la testa ascoltando. Il tuo zigomo. Le tue ciglia.
Riprendi il bacio dentro il finale - incontro la tua lingua, sussurrando la chiusura.  
"Ti amo," mormori senza staccarti, ed è un brivido sentirlo adesso.
"Non voglio lasciarti mai."
La tua mano sulla mia spalla è rovente, mentre mi tiro indietro.
"Non voglio che te ne vai," sussurro.
"Allora resterò."
"No. Devi andare," e niente è più insopportabile, all'improvviso, del pensiero di te e Alberto stretti sulla moto.
Non te lo dico.
Accoccolato su di me mi baci il ventre; io passo le dita sulla tua spina dorsale, seguendo la curva della tua schiena.
La lontananza può uccidere, sai?
Il tuo corpo sotto le mie mani è una chitarra misteriosa - corde da premere e tendere per creare suoni oscuri, e respiri soffocati e gemiti. E occhi brillanti.
Qualcuno ripete: "Ti amo."
Potrei essere io, potresti essere tu - anche le voci diventano identiche, abbassate di tono e stanche - ed io non mi sono mai sentito così spossato, mai neanche con Verdiana, neanche la prima volta - "Non è mai stato così con nessuno," pensi tu, ma in fondo anche io lo so, perché ero con te ogni volta, a spiarti dentro le pupille - ero ogni sguardo che ti cullava i sogni, ogni respiro che ti eccitava per poi tornare a rivivermi dentro, tenero mio fuoco. Mio sognante viaggiatore.
Mio inconsapevole assassino.

Occhi chiusi, il ricordo non basta. Occhi chiusi, il buio si fa prepotente ed inghiotte. Massacra. Tortura.
Occhi chiusi, sento la tua carezza sulla guancia. Sento il tuo respiro tra i capelli, le tue dita sulle labbra.
Sento il tuo odore.
Ed il gusto che mi nasce in bocca è soltanto un fantasma di pietà e dolore.

Sono andato segnando con croci di fuoco l'atlante bianco del tuo corpo.
Seduto sul letto, guardo il cielo. È vuoto di stelle, sono precipitate tutte nel lago.
Anche io le seguirò, presto. Le seguirò, credo.
E forse, seguendo loro, ritroverò anche te.

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