Titolo: How to save a life
Fandom: Supernatural
Personaggi: Castiel/Dean Winchester
Rating: SAFE
Parole: 5483
Prompt: Rosso, Verde, Azzurro per il
WRPG di
maridichallengeAvvertimenti: AU, Slice of Life, Fluff, Drammatico, menzione di dipendenza da alcolici e droghe, a tratti demenziale, probabilmente OOC
Note: Okay, mi scuso perché ci sono delle cose che molto probabilmente sono irrealistiche, ma, ecco, servivano e non sapevo come sistemarle in altro modo. In più questa è la prima storia veramente drammatica che scrivo, quindi non so esattamente come sia venuta (anche se io ci sono stata malissimo, quindi immagino che sia okay).
Il titolo è lo stesso di
una canzone dei The Fray.
Riassunto: Castiel salva la vita di Dean Winchester. Così inizia il loro rapporto, ama questo crescerà e cambiarà con il passare del tempo e degli incidenti.
Disclaimer: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla.
1. Quella volta per strada.
La prima volta che lo incontra è una mattinata di novembre, una di quelle in cui tutto sembra essere grigio e bagnato e in cui ti domandi se ancora riesci a ricordarti l'azzurro del cielo e il calore del sole sulla pelle o se ormai ti sei semplicemente abituato a vivere in un mondo di perenne pioggia. Ad essere del tutto sinceri all'inizio nemmeno lo vede. È troppo impegnato a camminare a passo spedito, il trench stretto in petto e l'ombrello un mano, per non arrivare in ritardo a lavoro, quindi non fa caso agli altri passanti, altrettanto imbacuccati e preoccupati a bagnarsi il meno possibile e a far tutto con quella frenesia tipica delle grandi metropoli. Solo che quello stupido decide di sfidare la sorte e tentare un suicidio proprio mentre lui si trova là vicino.
Come già detto sta camminando con una certa fretta, già pregustando il sapore del caffè sulla lingua ed il calore della tazza a scaldargli le mani rosse e gelate. Poi con la coda dell'occhio lo vede: un ragazzo che cerca di attraversare la strada, ignorando totalmente semafori, strisce pedonali e traffico. Normalmente non se ne preoccuperebbe, davvero. Un sacco di persone attraversano la strada lontano dalle zone dedicate ai pedoni, ma generalmente quando lo fanno è perché o non si vede nemmeno una macchina al l'orizzonte o si è capaci di destreggiarsi nel traffico ed arrivare fino al marciapiede dirimpetto. Questa volta, però, il ragazzo sembra confuso, non ha la sicurezza di chi compie quel gesto con una certa abitudine.
Si muove senza nemmeno pensare, i muscoli che agiscono più per istinto che per un vero comando. Allunga qualche passo e afferra il ragazzo per una spalla, trascinandolo verso di sé. Pochi secondo dopo un camion, con una velocità eccessiva per un giorno di pioggia e per trovarsi nel centro città, passa esattamente nel punto in cui si trovava il ragazzo.
Lo guarda negli occhi, mente lo tiene ancora stretto al petto.
« Volevi farti ammazzare? » ringhia, mentre si rende conto di aver trattenuto il fiato o di aver bisogno d'aria nei polmoni, neanche avesse appena corso una maratona, non è sicuro quale delle due. Solo che ogni pensiero viene spazzato via da un paio di occhi. Occhi confusi ed opachi, ma nonostante tutto di un verde indimenticabile, che continua a dare l'idea del brillante che avrebbe dovuto avere normalmente, anche se adesso è spento, come se non vi fosse più vita.
Il ragazzo si scosta leggermente e lui si accorge che lo sta ancora tenendo stretto - forse un po' troppo stretto - e quindi lo lascia andare, la mano che indugia però sulla sua spalla, non certa che sua corretto lasciarlo andare.
« Hey, tutto bene? » Lo scruta, indeciso se gli interessa di più il suo lavoro - e il non sentire le urla di Rodric - o se preferisce assicurarsi che uno sconosciuto arrivi sano e salvo in ospedale.
L'altro sembra riscuotersi e si guarda intorno, probabilmente cercando di capire con precisione cosa fosse appena accaduto.
« Io, ehm, sì, credo di sì. » Punta lo sguardo nei suoi occhi e tutto sembra scomparire, dal grigio che lo circonda alla pioggia che gli batte leggera sui capelli.
« Non sono sicuro di cosa sia appena successo, però. » ammette passandosi una mano tra i capelli, forse in leggero imbarazzo.
« Come ti chiami? » Stringe le labbra ed assottiglia lo sguardo. Decisamente meglio rischiare un licenziamento piuttosto che lasciare una persona confusa da sola in mezzo alla strada, dove potrebbe cercare di uccidersi. Ancora.
« Dean. » risponde. « Dean Winchester. »
Okay, perfetto pensa, non è messo così male da non ricordarsi nemmeno chi è.
« Io sono Castiel Novak. » Prende un respiro profondo. « Quanti anni hai? » esita « Ti ricordi dove abiti? »
« Occhioni azzurri, vuoi anche il numero del mio conto in banca? » risponde con un mezzo sorriso, più reattivo e in sé di quanto non lo fosse fino a pochi minuti prima.
Si morde un labbro. « Sto solo cercando di valutare la tua situazione. Hai colpito la testa? » Piega il capo di lato, cercando di scturarlo meglio.
« No. Io sto- sto bene, veramente. » Fa qualche passo indietro, interrompendo completamente il loro contatto tra spalla e mano, mentre scuote la testa, una via di mezzo tra lo scacciare brutti pensieri e il riprendere controllo di sé stessi.
Castiel stringe le labbra in una linea sottile, perché no, quella non è un'espressione da sto bene, ma non dice nulla, si limita ad osservarlo. Alla fine tutti hanno qualcosa che vogliono tener nascosto o hanno bisogno di tempi diversi per rivelarlo, quindi perché insistere?
« Mi sai dire il tuo contatto per le emergenze? »
« Hey, piano tigre! Ancora non concludiamo questa uscita e già mi chiedi il numero di un altro? Non ti sembra di correre un po'? » Si sistema i vestiti, dando delle pacche alle braccia, come per togliersi della polvere raccolta chissà dove.
« Cosa? » Corruga le sopracciglia, senza capire completamente l'uscita del ragazzo. « Te lo ricordi il numero del tuo contatto per le emergenze? » Il capo sempre piegato un po' di lato.
« Certo tigre. Tranquillo, non ho battuto la testa. » Sorride, in una maniera che si imprime a fuoco nella memoria Castiel, con un sorriso solare, che però assomiglia troppo a quello di un bambino che ha intenzione di compiere una qualche marachella. « Grazie a te, occhioni azzurri, che mi hai stretto così forte che a momenti non motivo soffocato, altro che investito! »
Si sente a disagio, scrutato da quegli occhi verdi - e spenti - e incapace di staccare i propri da quel sorriso.
« Sei per caso ubriaco? »
« Din din! Mi sa che abbiamo un vincitore! »
Dean - ha detto di chiamarsi così, no? - continua a sorridere, mentre lo accompagna in ospedale. Ogni tanto gli capita anche si dire alcune di quelle strane cose che lui non riesce a comprendere fino in fondo, dove non sa mai quanto siano serie e quanto una presa in giro, dove si nasconda la verità, in quelle parole, e dove si fermi semplicemente la facciata.
2. Quella volta alla Rodhaouse.
Deve ammettere di essere sorpreso quando un giorno - una mattinata, ad essere precisi - il suo telefono si illumina e sullo schermo compare un numero con cui non ha ancora una grande familiarità.
"Quando sei libero dovremmo vederci, occhioni azzurri."
"Dimmi dove. Oggi è il mio giorno libero."
Non aveva avuto bisogno di firme o numeri salvati in rubrica per riconoscere il mittente del messaggio e ad essere sinceri non gli era servito nemmeno troppo tempo per ritrovarsi sulla porta di casa, pronto per uscire.
Il bar in cui Dean gli ha indicato è uno di quei locali che lui avrebbe evitato semplicemente per l'entrata e il nome, ma gli è bastato mettere piede all'interno per capire che in qualche modo non avrebbe più potuto fare a meno di tornarci, qualche volta. Quello che all'esterno potrebbe sembrare un semplice e scadente ritrovo per camionisti si rivela essere un locale pulito e piacevole - forse con una leggera cappa di fumo e un po' troppa allegria per i suoi gusti, ma poiché oltre ai fiumi di birra non sembra esserci altro che scorre, Castiel pensa che possa andare ben anche così - dove le proprietarie sono simpatiche e, a loro modo, cortesi.
Ci si trova bene, forse perché è Dean a trovarsi veramente a suo agio in quel luogo, ed in più il cibo è favoloso.
« Ti assicuro che quelli di Ellen sono i migliori hamburger della città. »
E Caatiel non ci pensa nemmeno a ribattere, primo perché non ricorda di aver mai provato un hamburger prima di quel momento, secondo perché è veramente delizioso e terzo perché Dean ha tutta l'aria di essere una persona che potrebbe vivere di solo hamburger, quindi se lui dice che quello è il migliore della città si fida, senza dover battere ciglio.
« Sai una cosa? »
Alza lo sguardo dal proprio panino e lo fissa negli occhi verdi di Dean, esortandolo a continuare la frase, perché no, non sa cosa passi per la sua testa senza che lui lo esprima a voce. Non ancora.
« Mi è rimasto il livido per settimane. Anzi, credo si veda ancora un pochettino. » Si pulisce le mani e si toglie una manica della camicia, poi solleva quella della maglietta per mostrare un'impronta, quasi del tutto sbiadita ormai, di quella che, senza ombra di dubbio, all'inizio era una mano.
Castiel si allunga sul tavolo e sfiora con i polpastrelli la sagoma giallastra. « Mi dispiace, non volevo. » dice, quasi in un sussurro.
« Sei proprio sicuro che non volevi marcare il territorio, cowboy? » ride Dean, rivestendosi quando l'altro torna a sedersi in maniera composta. « Comunque ecco, volevo ringraziarti. » Sporca qualche patatina di rosso, intingendole nel ketchup, prima di portarsele alla bocca.
Castiel sposta lo sguardo sulla band che sta suonando dal vivo in un angolo del locale. Gli Exiled From Paradise o qualcosa del genere, era troppo distratto per seguire la presentazione fatta da quel ragazzo biondiccio con una maglietta nera ed un enorme lecca lecca rosso ciliegia stampato sopra. Adesso si sofferma con lo sguardo sulla cantante, la chioma color fuoco e la pelle lattea, il bassista alto e dal naso aquilino, forse il più vecchio tra i membri del gruppo, dietro c'è il ragazzo che li ha presentati, alle prese con la batteria, e alla chitarra c'è un ragazzino, che probabilmente spera di mettere via qualche soldo extra per il college o per le uscite con gli amici. Senza dubbio uno strano assortimento, ma la musica non è male. Forse, un po' troppo malinconica?
« Non ho fatto nulla di particolare. » Riporta lo sguardo negli occhi verdi di Dean. « Non c'è di che, comunque.. »
« Non solo per quello. Sai... » Prende un respiro, poi un sorso di coca cola. « Sono pulito da quel giorno. » Esala e Castiel si chiede come sia riuscito a sentirlo, in realtà. Ed in quel momento capisce che il tremore alla mano forse non è solo dovuto all'emozione - emozione per cosa, poi? - e sorride. Lascia correre lo sguardo sul viso di Dean, sulla mascelta, sul mento, si sofferma sulle labbra piene e leggermente arrossate, poi passa al naso, alle lentiggini, fino ad arrivare agli occhi. E questa volta li vede come sarebbero sempre dovuti essere: brillanti, luminosi, pieni di vita e verdi.
« Sai cosa ancora fanno delizioso qui? » cambia discorso, mentre prende in mano il menù di di carta plastificata e lo apre. « I tacos. » ed indica una fotografia. Fa poi un cenno alla ragazza bionda che serve i tavoli e lei senza aver nemmeno bisogno di prendere l'ordinazione la comunica in cucina.
« Vieni spesso qui, vero? » Prende in mano il cartoncino per osservare da vicino l'immagine. Non che ce ne sia un vero bisogno.
« Uhm, diciamo di sì. » Castiel sbircia da sopra il menù e lo vede guardarsi intorno, far scorrere i suoi occhi in giro per il locale, osservare anche lui la band e poi tornare su di lui, giusto un attimo dopo che il moro aveva riabbassato i propri, di occhi, sulle scritte, non pproprio concentrato a leggere come voleva sembrare. « Più che altro conosco Ellen e Jo da... sempre. »
La ragazza di poco prima appoggia due piatti vuoti ed uno più grande con dentro diversi tacos sul tavolo, poi rivolge un ampio sorriso a Castiel ed uno sguardo veloce a Dean e torna ad occuparsi degli altri tavoli.
Dean si serve edaspetta che lui faccia altrettando prima di dare un morso.
« Mhm, questo taco ha un sapore strano. » È solo una frase, ma Castiel vede poco dopo il viso del ragazzo diventare sempre più rosso. In un attimo è in piedi accanto a lui che cerca di sollevarlo. Non sa bene come ci riesca e non è nemmeno sicuro di quando abbia imparato a fare la manovra di Heimlich, ma il fatto è che Dean sputa ciò che gli era andato di traverso e ricomincia a respirare normalmente. Castiel ha però ancora il raschiare di poco prima che gli stride nelle orecchie, la bocca secca e la mente vuota. Si assicura che Dean abbia nuovamente un colorito normale, poi gli poggia le mani ai lati del viso e lo osserva. Respira a fondo, una, due, tre volte.
« Ti diverti? »
« Solo se ci sei tu a salvarmi la vita ogni volta. »
( « C'era troppo peperoncino. Non sono abituato al peperoncino.
...
Giuro che se Jo ha pensato che fosse divertente farmi ustionare io- io- » )
3. Quella volta a lavoro.
Si può dire che in un certo senso ormai Castiel si sia abituato alla presenza di Dean Winchester. All'inizio era stato strano, certo, ma come dargli torto? Salvi la vita ad una persona, questa ti chiede di incontrarti dopo alcune settimane per ringraziarti e tu ti ritrovi a salvargli la vita un'altra volta. Per fortuna, però, da allora è filato tutto normalmente. Un paio di uscite qui, qualche messaggio di là e sono diventati quello che può essere definita la via di mezzo tra conoscenti ed amici. A Castiel piace incontrarlo di persona più che altro perché così ha la possibilità di assicurarsi del suo stato di salute. Come dire, dopo quello che è successo non può non preoccuparsene. Dean, però, sta facendo un ottimo lavoro. Ormai è sobrio e pulito da mesi e Castiel ne è orgoglioso, anche se deve ancora litigare per assicurarsi che almeno ogni tanto vada agli incontri di terapia di gruppo. ( « Quella è merda, e lo sai bene. Devi smetterla di fare la faccia da cucciolo bastonato quando ne parliamo. » )
Per il resto tutto va bene e Dean sembra aver deciso di prendere quasi a tempo pieno il lavoro all'officina, invece di avere millemila turni diversi al giorno in luoghi altrettano diversi in giro per la città.
« Cosa vuoi farci? » gli ha detto una volta « Se non studi ile occupazioni disponibili sono quello che sono. Si lavora alla giornata, più che altro. »
L'officina però è sempre stata una costante, nella sua vita. Castiel ama ascoltare, veramente, e Dean sembra non aver bisogno d'altro che di qualcuno che ascolti il fiume di parole che si è sempre tenuto dentro. Non che gli abbia aperto il suo cuore e raccontato ogni dettaglio della sua vita, Dean non lo avrebbe mai fatto - e Castiel non capisce completamente perché -, ma tra una battuta e l'altra, tra un'allusione e un commento sull'ultima partita dei Dallas Cowboy, qualcosa viene detto e lui è sempre lì, pronto a raccogliere ogni dettaglio e ricostruire il misterioso passato di Dean Winchester. Quindi sa che suo padre e Bobby hanno lavorato nello stesso luogo dove adesso è lui, ma Dean ha sempre sperato di ottenere qualcosa di meglio e si metteva a lavorare sulle macchine solo se non trovava altro. Anche se ama da morire poter mettere mano ad un bel modello di automobile.
Comunque è proprio lì dove Castiel si dirige. Entra nel garage e non vede nessuno, solo un paio di macchine - una verde oliva, l'altra di un rosso aceso - su cui qualcuno deve ancora finire di metter mano. Si guarda intorno e fa qualche passo avanti e sta per chiedere se c'è qualcuno quando sente qualcuno canticchiare a bocca chiusa qualcosa. ( « Non è qualcosa è Some Kind of Monster, per favore! » )
Si avvicina ad una delle due macchine, quella rossa, e si rende conto che effettivamente dal retro spuntano due gambe. Si piega e sbircia sotto la macchina: un Dean con un mangiacassette nelle orecchie non si rende conto della sua presenza. Gira intorno al veicolo fino ad arrivare vicino a dove la testa di Dean dovrebbe trovarsi, poi si inginocchia ancora, la guancia che preme contro il pavimento freddo.
« Ciao Dean. » saluta togliendogli una cuffietta. L'altro si gira di scatto allarmato, per poi esalare ed inalare con pesantezza quando si rende conto di chi sia la persona vicino a lui. Sorride.
« Hey Azzurro. Ti ricordo che tu sei quello che mi salva la vita, non quello che cerca di ucidermi con un infarto! »
Castiel si alza per raggiungere Dean dietro alla macchina, da dove stava uscendo. Il ragazzo scalcia, mentre cerca di far scorrere l'asse con rotelle su cui è sdraiato fin fuori da sotto il veicolo, ma i suoi piedi toccano il pulsante che fa salire o scendere il meccanismo che tiene sollevata l'automobile. È un attimo e Castiel afferra i piedi di Dean, tirandolo fuori. La sua testa si trova a pochi centimetri dal paraurti, quando la vettura rimbalza sugli ammortizzatori.
C'è silenzio, interrotto solo da due respiri pesanti.
« Con questo a che quota siamo? » prova Dean, un sorriso abbozzato sul volto ancora sconvolto.
« Ti avrebbe schiacciato. »
« Ma io ho un piccolo angelo custode. O un principe azzurro su un destriero bianco pronto a salvarmi. »
« Il destriero ti ha quasi schiacciato. » risponde in un soffio. « Ed è rosso. »
Dean si tira su, appoggiato sui gomiti ancora contro il pavimento, e lo osserva per qualche minuto e Castiel sente che si era dimenticato quanto verdi potessero essere i suoi occhi, poi scoppia a ridere. Una risata di cuore, profonda, che gli scuote le spalle e gli fa buttare il capo indietro. Castiel sente la tensione sciogliersi, per quanto non riesca ad allontanare l'epsressione corrucciata dal suo volto.
« Ti prego, togli quel broncio. » Cerca di calmare la risata e si alza, avvicinandosi a Castiel. « E ammetti che sei dipendente dal salvarmi la vita, per questo ogni certo lasso di tempo rischio di morire proprio quando sono vicino a te. » Ha ancora il sorriso sulle labbra e Castiel è abbastanza sicuro di non essersi immaginato di sentire la sua mano sfiodrare la propria mentre pronunciava quelle parole.
Respira profondamente e rilassa le spalle, gli occhi chiusi e la bocca stretta in una linea sottile. Si prende il suo tempo, qualche minuto, quanto basta per scacciare il panico dal petto e far tornare la mente a funzionare a dovere.
« E se non fosse una dipendenza? Se fosse tutto parte di un piano malvagio? »
Dean ride ancora e si allontana per prendere uno straccio e pulirsi le mani dallo sporco e dal grasso della macchina.
« Hai ragione, è tutto un piano malvagio per farmi innamorare di te, è così, Azzurro? » È girato di spalle e Castiel ringrazia sia così, perché sente il proprio viso scaldarsi ed una vocina in un angolo della sua testa urlare e sta funzionando?.
« Oppure voglio solo assicurarmi che tu riesca a realizzare i tuoi sogni, e vivere abbastanza per poterlo fare, perché sono veramente il tuo angelo custode. »
Vede le spalle di Dean salire e scendere in una risata silenziosa, prima che lui si volti con un sorriso in volto. « Allora mi sa che devo offrirti almeno una birra per ringraziarti. » Lancia lo straccio vicino all'asse su cui era sdraiato prima. « E- Per quale motivo eri venuto? » chiede mentre afferra la giacca e gli indica l'uscita.
4. Quella volta in ufficio.
Un anno passa in fretta e Castiel quasi nemmeno se ne è accorto. È Dean a ricordarglielo elo fa in un modo tutto suo, come per qualsiasi altra cosa.
Quel giorno Castiel si trova a lavoro, in ufficio e tutto sembra indicare che quella sarà una giornata esattamente come tutte le altre. Si era svegliato al bip della macchinetta del caffé, si era trascinato - con ancora gli occhi assonnati - fino in cucina e solo grazie a quella bevanda scura e calda - e a quella geniale macchina elettronica, tra l'altro deve ancora ringraziare Hannah per avergliela regalata! - era riuscito a mettersi in sesto e a prepararsi per uscire. Arrivato in ufficio aveva salutato Rachel alla sua solita postazione all'ingresso e si era andato a sedere al suo posto, nel cunicolo vicino alla finestra. Computer acceso, informazioni che arrivavano da ogni parte e un foglio bianco da riempire con i consigli delle migliori attività culturali della settimana. Non che quello fosse il tipo di argomento di cui aveva sempre sognato scrivere, ma era pur sempre meglio dell'angolo sulla cucina.
Tutto si era svolto come di consueto fino a quel momento, quando Hannah si era allungata sopra il basso divisore bianco che separava i loro cunicoli e gli aveva bussato su una spalla.
« Credo dovresti guardare fuori dalla finestra. » gli dice con un sorriso gentile e Castiel vorrebbe veramente rispondere che no, non può distrarsi, deve assolutamente finire quell'articolo in tempo ed è già un sacco in ritardo, ma lo sguardo che la ragazza gli rivolge poco dopo gli fa chiudere la bocca senza aver emesso nemmeno un suono. Si gira, dunque, e trattiene il respiro perché no, non si sarebbe mai immaginato nulla di simile. E sta pensando troppi no e troppe cose che non può fare e non si aspetta, ma ehy, la deve smettere di divagare. Davanti a sé ha un Dean che invece di lavare i vetri - è questo il suo nuovo lavoro part-timedi cui gli aveva parlato? - sta bussando per attirare la sua attenzione, con un mazzo di fuori rossi in mano.
Castiel sorride e quando se ne rende conto cerca di tornare serio e mettere su l'espressione più arrabbiata e preoccupata che riesce a trovare.
« Cosa ci fai qui? » chiede dopo aver aperto la finestra.
« Sono venuto a portarti dei fiori. » Sorride, e dio, quel sorriso. « E ad offrirti un passaggio sul mio tappeto olante, non si capisce? » Gli allunga una mano, ma Castiel non la prende. Lo scruta, invece, le sopracciglia corrugate. Una parte di lui vorrebbe non essere lì, perché lo sa che l'intero ufficio si è fermato e li sta osservando, lo capisce dall'innaturale silenzio che è appena calato.
« Non dovresti lavorare? »
« E tu non dovresti prendere questi? » E okay, Castiel prende i fiori, ma li poggia subito sulla scrivania. Non rendiamo tutto più strano di quel che è già. « E poi dovevo dirti una cosa. »
« Cosa? » soffia, perché i fiori, il sorriso e gli occhi versi sono troppo da digerire tutto in un colpo solo e non è che riesce a respirare propriamente, ecco.
« Be'- » esita mentre si tortura le mani. « Okay, diciamo che ho provato a organizzarmi un discorso serio ed completo, ma ecco, lo sappiamo bene entrambi che questo non è esattamente il mio campo, e poi, dai, ci sono modi migliori per dire certe cose se non essere diretti? Quindi sì, anche se penso che tu abbia già capito, perché, insomma, sei una delle persone più intelligenti che conosca. Oltre a Sammy naturalmente. Comunque- » prende fiato e Castiel si rende conto che lui sta trattenendo il proprio, invece « Cass, ormai ci sonosciamo da molto tempo e ce ne sono successe di tutti i colori, quindi, ecco, vuoi- » Non finisce la frase perché le mani gli tremano - emozione, questa volta è sicuramente emozione - e lui perde la presa dalla corda del montacarichi. La struttura balla in modo pericoloso e Castiel si sporge dalla finestra ed affetta la sua mano giusto un attimo prima che i piedi di Dean incontrino il vuoto sotto di loro. Gli afferra la spalla e lo aiuta a spostare il peso del busto sul davanzale della finestra, poi lo aiuta a rotolare nella stanza. Se prima c'era un silenzio carico di curiosità e poi uno di aspettativa, adesso è solo pregno di terrore. E sollievo.
Castiel respira a fondo e rumorosamente, l'aria viene risucchiata con forza dalle sue narici. Guarda negli occhi Dean, gli prende le spalle, si assicura che sia intero e vivo, lì, davanti a lui. Gli incornicia il viso tra le mani e si perde in quel verde. Se deve veramente essere sincero con sé stesso non si accorge di starlo baciando finché non sente le sue mani stringergli i fianchi e non sente i polmoni bruciare per la mancanza di ossigeno.
Si stacca, lentamente, e poggia le fronte contro la sua.
« Devi smetterla di fare così. » soffia sulle sue labbra, ancora così vicine, ancora così invitanti.
« Tu non smettere mai di salvarmi, invece. » Sorride e veramente, se non fossero in pubblico Castiel si mangerebbe quelle labbra.
« Cosa stavi dicendo, uh? » chiede, non perché importi più veramente qualcosa, qualsiasi cosa, ma perché ha la testa vuota e diamine, Dean che parla è l'ultima cosa sensata che ricorda.
« Ti stavo per dire che mi piaci e che volevo baciarti, ma vedo che sono così irresistibile che non sei riuscito nemmeno a farmi finire la frase. » Ride e Castiel ride con lui. Gli accarezza una guancia con il pollice e poi si allontana. Butta un occhio dietro Dean e nell'azzurro del cielo vede che il montacarichi ha perso una corda ed immagina che ora stia dondolando controle finestre del piano di sotto, ma siamo sinceri, non è quello ciò che gli interessa di più in quel momento.
« Hey. »
« Hey. » Riporta l'attenzione su Dean, come sicuramente lui voleva che facesse.
« Mi sei piacito fin da subito, sai? Da quando mi hai afferrato in quella strada. »
« Sì, ti ho afferrato e salvato dalla perdizione. » ride Castiel, attratto come una calamita dagli occhi verdi di Dean e dalla sua espressione serena.
« Già. » ride anche lui. « Ma quando hai sorriso- alla Roadhouse, intendo. Quando hai sorriso lì ho saputo che ero fottuto e che non sarei più riuscito a liberarmi di te. » Ora è Dean ad acarezzargli la guancia e Castiel non resiste e lo bacia ancora ed ancora e ancora, al diavolo l'ufficio che li guarda.
« Alla fine il mio piano per farti innamorare di me ha funzionato, allora. »
( « Da quando lui fa partedella tua vita sorridi molto più spesso, lo sai? »
« Hannah, ti prego, non- » )
5. Quella volta per strada.
Il tempo non passa, chiunque ha mai detto questa cosa ha detto la più grande cazzata del mondo. Il tempo corre e Castiel non sa come possa essergliene sfuggito così tanto. Cioè, in realtà non è fuggito, perché sono successe un sacco di cose e lui se le ricorda tutte, però sono appunto così tante e sembra solo ieri il giorno in cui ha conosciuto Dean e quel dannato ragazzo potrebbe essersi dichiarato non più di qualche ora fa, non anni fa. Come è successo?
Non lo sa, veramente. Ciò di cui è a conoscenza, invece, è che ora tutto è passato.
Lui e Dean ormai vivono insieme da tempo, finalmente è riuscito a conoscere Sam - per più di un anno Dean non ha voluto che si incontrassero: a quanto pare lo metteva in imbarazzo il fatto che Sam lo conoscesse come il suo angelo, ma Dean non ha voluto dare vere spiegazioni sull'origine di quel soprannome - e la famiglia di Dean lo ha accolto come se fosse sempre stato uno di loro.
Per questo quella sono a casa di Ellen per una cena. Natale è passato, ma la neve continua a posarsi sulle strade, rendendo quello uno dei febbrai più freddi che lui abbia mai visto. Bobby ha tirato fuori una bottiglia di whisky e ne ha versato un bicchierino a tutti. Poi la serata è andata avanti e i bicchierini sono diventati dei bicchieri e i giri sono aumentati di numero. In casa il clima si è scaldato e le risate impregnano l'aria. Hanno ancora tutti il sorriso sulla bocca quando è tardi e ognuno decide di tornare a casa propria. Castiel intreccia le dita con quelle di Dean, mentre agitano le mani libere per salutare Ellen, Bobby e Jo, che li guardao allontanarsi dalla porta di casa. Sam li accompagna alla macchina, ma lì li saluta, perché c'é Jessica che si tiene un pancione tra le mani che lo aspetta davanti alla porta della loro macchina, mentre li saluta con un sorriso.
Castiel posa un bacio sul naso freddo ed arrossato di Dean, poi uno sulle labbra, e lo sente sorridere sotto le proprie.
« Mi dai le chiavi? »
« Nope. » Dean lo avvicina di più a sé e lo bacia di nuovo. « Lo sai che la mia piccola la posso guidare solo io. »
« E tu lo sai che hai bevuto, quindi dovrei guidare io, l'uomo allergico agli alcolici della famiglia. » risponde sulle sue labbra, prima di rubargli un ultimo bacio e sperarsi da lui, porgendo il palmo libero.
« Tranquillo, ce la posso fare. » Dean lo riavvicina a sé e gli ruba lui un ultimo bacio, perché Dean deve sempreavere il controllo di tutto.
« Sono sicuro che tu ce la possa fare, ma veramente, credo sia meglio se guidi io. »
Niente da fare, il biondo è già in macchina, seduto al posto del guidatore e Castiel non può fare altro che scuotere la testa e sedersi accanto a lui.
Accende la macchina e si mette in carreggiata perché si sente bene, davvero. Può farcela. Non è pià schiavo dell'alcol da anni ormai e non ha bevuto nemmeno così tanto quella sera. Accende la radio a volume basso, quel tanto che basta per sovrastare comunque il ronzio dell'aria condizionata accessa sul caldo.
Ogni tanto lancia uno sguardo a Castiel, si assicura che sia sveglio, visto come ha la fronte appoggiata al vetro ed osserva scorrere il bianco intorno a loro. Nemmeno il verde dei pini e degli abeti è più presente: tutto è nascosto da un manto bianco. Torna a guardare la strada.
« Non mettere il broncio. » Guarda dritto davanti a sé. « Ti prego. » sussurra.
Nulla, Castiel non risponde. Lo osserva con la cosa dell'occhio, ma l'altro rimane immobile, sotto quella montagna che altro non è che la sua giaccca invernale, dello stesso azzurro dei suoi occhi. Non pensa di averglielo mai detto, ma quegli occhi li ha sognati per mesi, dopo la prima volta che li ha visti. E forse quello è il momento giusto per dirglielo, quindi lo fa. Continua a controllarlo e lo vede, che piega gli angoli della bocca in su. Sorride anche lui. Torna a controllare la strada.
« Senti, facciamo così. Quando arriviamo a casa mi faccio perdonare. Puoi chiedermi quello che vuoi. »
Lo sente emettere uno sbuffo sommesso e si volta per incontrare quegli azzurri.
Ciò che è successo dopo non lo ricorda. Sente male alla testa, il collo e le spalle sono irrigiditi ed indolenziti. C'è una luce abbagliante davanti a lui e sente un fischio nelle orecchie tutto che gli gira intorno. Sbatte gli occhi, cerca di mettere a fuoco quello che lo circoonda.
Rosso.
Il rosso è la prima cosa che vede, schizzi rossi sul cruscotto pieno di vetri. Cerca di raddrizzarsi, di allontanare l'airbag che sembra volerlo soffocare. Sente qualcuno bussare al finestrino, sente una voce, ma non riesce a comprenderne le parole. Si gira dal lato del passeggero e sente tutto il sangue lasciargli il corpo. Non respira.
Castiel è lì, dove dovrebbe essere, ma non c'è. La testa gli ciondola, gli occhi sono aperti e vacui, spenti. Chiama il suo nome, ne è quasi sicuro. Lo sta urlando nella propria mente, quindi dovrà in qualche modo uscire anche dalla sua bocca, no? No? Lo chiama, lo chiama, cerca di liberarsi da quel fottuto airbag e di scuotere Castiel. Gli accarezza i capelli, gli tira su la testa, ma niente.
Tutto ciò che vede e rosso. Rosso, rosso, rosso, e nemmeno un accenno di azzurro.
Quello che succede dopo non lo ricorda.
Qualcuno gli ha detto che il camionista ha perso il controllo - o si era addormentato, non lo ricorda - e lui non stava guardando la strada, quindi non è riuscito ad evitarlo. Gli hanno detto che Castiel è morto sul colpo, che non ha sofferto, ma questo non gli ha dato sollievo. Lo hanno portato a casa e non lo lasciano mai solo, ma non gli importa, perché tanto non è più capace di fare nulla.
Tutto quello che continua a vedere è rosso e azzurro e verde e tutto il resto non gli importa.
Perché Castiel gli ha salvato la vita un sacco di volte e gli aveva promesso che era il suo angelo custode e lo avrebbe protetto finché non avesse realizzato i suoi sogni, ma non ha più sogni senza di lui. E lui non è riuscito a salvarlo quell'unica volta in cui doveva.
Tutto è rosso, niente è azzurro, non c'è più verde.