Heroes - "So Much Pleasure (It Must Be Sin)" [Sylar/Maya]

Jun 29, 2008 00:28

Titolo: So Much Pleasure (It Must Be Sin)
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar, Maya Herrera
Pairing: Sylar/Maya
Rating: R/NC-17
Prompt: Nero
Parole: 2650 (W)
Warnings: One-Shot, Post-Powerless, Angst (un po')
EFP: LINK.
Riassunto: La luce filtrava pigramente attraverso le persiane dismesse. Il pulviscolo creava lunghe lame di nebbiolina puntiforme che fendevano l'aria e colpivano il pavimento infinite volte.

Tabella: TABELLA.


Note.
- Bè, qualcuno mi ha detto che dovevo scrivere roba, e mi son decisa a metter giù una delle idea che mi frullano in testa da un po'.
- Per forza di cose, la dedico ad Eli (elivi), perché sì. E perché ora disegna, vero Eli? Vero? Vero?
- Le parole della canzone citata all'inizio sono di I Am You dei Depeche Mode.
- Ma quant'è gnocco Kenneth Branagh in Frankenstein? OH.MIO.DIO. (vabbè non c'entrava nulla xD).
- Ah! Non è betata, quindi se trovate errori, fatemelo sapere please ♥

EDIT: elivi ha fatto uno stupendosissimo disegno ispirato a questa fanfic *___* Ci sono due versioni, una in seppia, l'altra a colori, cliccate sulle preview per andare a vederle (in due post diversi) direttamente sul suo journal *ç*









So Much Pleasure (It Must Be Sin).

You have bound my heart with subtle chains
So much pleasure that it feels like pain
So entwined now that we can't shake free
I am you and you are me

No escaping from the mess we're in
So much pleasure that it must be sin
I must live with this reality
I am yours eternally

Depeche Mode - "I Am You"

"Fossi in te non farei quella faccia," mormorò a mezza voce. "Il nero ti dona, Maya".
Non riusciva a vederle gli occhi, eppure sapeva che era già sveglia.
La luce filtrava pigramente attraverso le persiane dismesse. Il pulviscolo creava lunghe lame di nebbiolina puntiforme che fendevano l'aria e colpivano il pavimento infinite volte.

"Toglimi questa benda di dosso," fece risuonare la voce ancora arrochita dal sonno nella stanza vuota.
"Oh no," sussurrò in risposta, con tono marcatamente cantilenante. "Non voglio che tu veda dove siamo. E' un'estrema precauzione, sono sicuro che tu possa comprendermi".

Ci fu una lunga pausa durante la quale rimase a fissarle le labbra che tremavano vistosamente. Pensò che non c'era poi tutto questo gusto a non poterla guardare negli occhi: vedere la luce cambiare nelle sue pupille, animata dalla paura del nemico in agguato.
In quel caso, il nemico era lui, e per la prima volta, Sylar, ne era dannatamente consapevole.
"No. No, Gabriel, non ti comprendo affatto."

Risuonò instabile e stentata, ma riuscì ad avvertire comunque una vena rabbiosa in quella frase balbettata a mezza voce.

"Chissà quante storie ti avrà raccontato il Dottor Suresh," la prese in girò, con vero e proprio disgusto a macchiargli l'espressione.
"Tante. Mi ha detto... tutta la verità, Gabrie -"
"E' Sylar, Maya. Mi chiamo Sylar," puntualizzò mentre un gesto di stizza improvviso lo portò ad alzarsi di scatto dalla poltrona scassata sulla quale si era accomodato.
"Tu sei pazzo," le uscì fermo, stavolta. Sembrava profondamente schifata.
"Non mi aspetto che tu capisca. Sei solo una come tanti altri -"
"Sono una delle tue vittime. Il Signore non avrà pietà di te!"

Stavolta era una vera e propria accusa che le scivolò giù dalle labbra in un furioso rigurgito causato da quel torto che le aveva straziato il cuore.
"Bè... sei ancora viva," le fece notare, adesso vagamente divertito.
Era buffo il modo in cui il pizzo nero le sfiorava gli zigomi, la pelle scura e caramellata. Era convinto di poterne sentire il profumo sin da lì.
"Hai ucciso Alejandro. Lui... lui ha sempre avuto ragione," sentenziò con una nota di rammarico mentre reclinava il capo di lato.

Rimasero entrambi in silenzio. Sylar si limitò ad intrecciare le braccia al petto, mentre continuava a scrutare l'espressione di lei, semi-celata da quella striscia di tessuto scuro. Le aveva legato le mani dietro la schiena, e lasciata a ridosso della parete. Erano trascorse più di dieci ore da quando era riuscito a ritrovarla.
Lo stava seguendo, probabilmente in combutta con Suresh e Parkman... forse persino con Bennet. Il solo pensiero gli fece risalire un brivido lungo la schiena.

"Sei d'accordo con loro," l'accusò con voce bassa e soffocata, mentre si avvicinava di un paio di passi.
"Loro mi stanno aiutand -"
"LORO MENTONO!" Gridò, senza alcun preavviso, mentre la rabbia prese a fargli tremare le dita. "Mentono, Maya, loro... loro mentono", balbettò ancora.

L'aveva vista trasalire, e spingere la schiena contro il muro, come per sfuggirgli.
"Anche tu... anche tu mi hai mentito," gli fece eco, mentre paura e stizza si mischiavano nel suo stomaco.
"Era solo a fin di bene -"
"Per te," puntualizzò di riflesso.
"Nessuno ha mai fatto qualcosa per me. Non vedo perché dovrei darmi alla beneficenza!"
"Io - io ho fatto qualcosa per te...," bisbigliò, non troppo certa di aver adottato la strategia più giusta (che poi era l'unica che conosceva: la più completa e ingenua sincerità).

Fece saettare nuovamente lo sguardo su di lei, mentre serrava le labbra e i suoi lineamenti si irrigidivano visibilmente.
Le si chinò di fianco, inginocchiandosi sul pavimento polveroso.
"Ti stavo portando da Suresh -"
"Non c'entra," sibilò in risposta, rannicchiandosi maggiormente contro la parete, non appena avvertì la sua immediata vicinanza, "io ero sincera, sono sempre stata sincera".
"Tu non capisci la metà delle cose che dico!"
"Bugiardo," smozzicò a denti stretti. "Sei solo un maledettissimo bugiardo, Gabri -"
"E' SYLAR!"

La fece sussultare violentemente.

La sentì trattenere il respiro con un gemito improvviso.

Si lasciò cadere accanto a lei, mentre un forte senso di nausea lo assaliva.
Era così dannatamente stupida. Non poteva capire, non riusciva a comprendere... non poteva... lei non poteva davvero capire.
"Posso riportare in vita Alejandro," sentenziò, voltandosi per poterla guardare.
Non era in grado di vederle tutto il viso, ma era sicuro che i suoi occhi si fossero spalancati a quella rivelazione.

"C-come?"
"Non ti deve interessare".
Lasciò cadere nuovamente il silenzio. Non mosse un dito per una quantità di tempo che sembrava infinita. L'orologio da muro ticchettava senza interruzione sulla parete diametralmente opposta alla loro. Il sole era sempre più caldo, i raggi cocenti, e l'aria di quella stanza a malapena respirabile.

"Voglio che tu resti con me," si decise a dire, in un isterico ordine sussurato a mezza voce.
"C-che cosa?"
Si era girata di scatto nella sua direzione, con una smorfia orrenda a deformarle le labbra scure.
"Ascoltami bene -," l'afferrò violentemente per il mento, serrando quasi inconsciamente la presa mentre la spingeva all'indietro e si avvicinava in contemporanea.
"Suresh... Parkman, l'allegra famigliola, saranno soltanto un ricordo, un vago ricordo -"
"Gabriel...," supplicò con tono disperato, "Gabriel mi stai facendo male."
Aumentò la stretta, quasi di riflesso, sentendolo incredibilmente vicino e schiacciato contro il fianco.
"Ascoltami!"
"T-ti sto ascoltando".
"Dovrai restare con me... e Alejandro vivrà", aggiunse, "ma tu... tu devi restare con me, Maya".
"N-non voglio," protestò debolmente, cercando debolmente di scansarsi.
"Ah no? E allora perché non mi hai ancora ucciso?"

La sentì rabbrividire, e farsi di pietra sotto il suo tocco.
"P-perché... non sono come te," si giustificò, quasi accusatoria.
"Oh sì. Sì che sei come me, Maya. Io e te siamo... simili. Ciò che ci differenzia è che io adoro essere così, e tu... lo detesti."

"Mi fai schifo."
"Davvero?"
Gli uscì come una domanda innocente, quasi ilare.
Bastò un secondo perché la mandasse a sbattere all'indietro con un gesto deciso.
"Davvero?! Davvero ti faccio schifo, Maya? DAVVERO?"
Finì per urlarle dritto in faccia, animato da un'ira assolutamente improvvisa.
"Dios mìo," la sentì mormorare.
"Oh no, Maya. Lui non c'entra niente. Lui non c'entra... niente."
Si sporse maggiormente contro di lei, spezzando frasi sconnesse sulla sua bocca.
"Lui c'entra sempre," si azzardò a contraddirlo.

Sentì il sangue scorrergli più rapidamente nelle vene, mentre affondava le dita tra i boccoli scuri di lei. La strinse a sé, prima di strattonarla rabbiosamente contro il proprio viso. La baciò di slancio, mordendole le labbra, sperando ardentemente di poterle fare un male del diavolo.

Si irrigidì convulsamente tra le sue braccia, mentre si sforzava di tener chiuse le labbra. Le sfuggì un gemito, convinta di poter sentire il sapore ferroso del sangue in gola.

La costrinse ad aprire la bocca, per poter approfondire il contatto di forza.
Non riusciva a controllarsi, seguiva quell'istinto bestiale che lo spingeva a prendersela senza nemmeno chiederle il permesso.
Non seppe dire se era soltanto una sua impressione, ma sentì i muscoli di lei rilassarsi di colpo, permettendogli di assaporarla ancora una volta.
Rallentò la frenesia di quel bacio strappato di violenza, dandosi la possibilità di respirare e godendosi il calore della sua bocca.

Perché gli aveva detto che le faceva schifo, se adesso lo stava baciando a sua volta?
Gli venne quasi da ridere: una sorta di malata euforia che finì per attanagliargli lo stomaco e incoraggiarlo.
Soffocò un sospiro di troppo, facendo scorrere le mani lungo i suoi fianchi, mentre la sfiorava e toccava e affondava le dita nelle sue morbide curve.
Esitò sul bordo del vestito leggero che indossava. Seguì la linea delle sue gambe, la caviglia, e poi su fino al ginocchio, alla pelle soffice delle cosce...

Risalì fino al suo interno coscia, afferrandola bruscamente per poterla avvicinare ulteriormente a sé.
"Gabriel... no," la sentì pregare tra un bacio e l'altro.
"Sta' zitta," tagliò corto, impossessandosi nuovamente delle sue labbra, smanioso di riempirsi la bocca di quel sapore dolciastro che gli ricordava il Messico e il deserto bollente al confine con gli Stati Uniti.
Scese a baciarle il collo, fino alla clavicola, e poi il petto che profumava così tanto... Dio, se profumava.
La sfiorò tra le gambe, senza alcun riguardo di sorta.

Sussultò violentemente, ma non sembrò volersi liberare dalla sua stretta.

"Liberami -," supplicò a mezza voce, con una nota di pura impazienza nel tono. "Liberami, Gabriel".
"Voglio...," fece una microscopica pausa, riprendendo fiato, "voglio che tu mi giuri che non te ne andrai."
Gli rispose soltanto il silenzio ed era... contento di non poter vedere i suoi occhi.
Spinse le dita contro di lei, con decisione, "voglio sentirtelo dire, Maya," sì lasciò uscire in una specie di preghiera.
"Andiamo, Maya... dimmi che resterai -" le scostò bruscamente l'intimo, concedendosi di poterla toccare pelle contro pelle.

Schiuse la bocca, gemendo senza emettere alcun suono.

"Maya...," la richiamò ancora, sussurrando piano, "voglio che tu me lo dica."
Lo ripeté per l'ennesima volta, riprendendo ad accarezzarla e a prendersi cura delle sue spalle - adorava le sue spalle.
"Resto -," smozzicò appena udibile, quasi strozzata, "ma tu liberami."
Sentì un calore improvviso assalirlo dritto al basso ventre mentre il suono vellutato della voce di lei gli riempiva le orecchie, quasi amplificato, facendo - nella sua testa - un fracasso incredibile.
Le passò un braccio sulla vita, strattonandola di peso contro di sé, costringendola a sederglisi cavalcioni. Per un riflesso, le gambe di lei si serrarono contro le sue.
Abbandonò per un attimo le sue operazioni, per cingerle i fianchi con entrambe le braccia.
Raggiunse le corde che le legavano saldamente i polsi l'uno all'altro, sciogliendone i nodi con la forza del pensiero.
Sentì il laccio ricadere pesantemente a terra, mentre Maya si portava le mani al viso, per potersi liberare da quella fastidiosa benda scura.
"No -," le scostò entrambe, bruscamente, "lasciala," sentenziò solamente, in un implicito ed insindacabile ordine.

Non se lo fece ripetere due volte, e bastarono solo pochi secondi perché quelle mani, graffiate di rosso a causa dei legacci, afferrassero il suo viso.
Lo baciò di slancio, riuscendo a trovare la sua bocca con estrema precisione.

Le fece perdere l'equilibrio, costringendola a stendersi sul pavimento sporco.
I suoi capelli neri si sparsero sul parquet ormai rovinato, dandogli un'aria così bella e decadente allo stesso tempo, che l'immagine gli si fermò in testa, come impressa a fuoco.
Le sollevò bruscamente il vestito lungo le gambe, sfilandole l'intimo con un'impazienza che raramente aveva provato prima.
Era quello che provava tutte le volte che era sul punto di impadronirsi di una nuova abilità, di impossessarsi di un altro potere da poter aggiungere alla sua innumeravole lista.
Era il piacere del possesso, che gli permetteva di stabilire la propria indiscussa supremazia su qualcosa.
E prima di conoscerla, mai avrebbe potuto desiderare di impossessarsi di qualcuno.

Maya singhiozzò, là sul pavimento, mentre Sylar la spogliava senza perdersi troppo in contemplazione.

Sentiva la pelle bruciargli. Quella di lei sembrava letteralmente ustionarlo solo al contatto.
"Ti faccio schifo, Maya?" Le chiese sussurrando, con una nota di rammarico misto a fastidio.
"No -," esalò lei in risposta.
"Non ti... ho sentita -," smozzicò lui, spingendosi contro di lei senza alcun preavviso.
"No!"
Risalì fino alle sue labbra, afferrandola per il viso e baciandola di nuovo. Con l'altra mano scese a sganciarsi i pantaloni, a liberarsi dai quei fastidiosi ed inutilissimi indumenti.
La manovra fu incredibilmente più facile del previsto, ma bastò una scarica d'eccitazione improvvisa a fargli rendere conto che le mani di Maya l'avevano aiutato.
Sentì le sue dita morbide spingergli i pantaloni scuri lungo le gambe, quel tanto che bastava per poterlo avere tutto per sé.

Affondò le unghie nella carne dei fianchi di lui, facendolo trasalire ed esortandolo ad andare avanti.
"Non ti fermare -," le uscì di bocca. "Non ti fermare, Gabriel."

Non gli importò poi molto di quel nome che si ostinava ad utilizzare per chiamarlo. In quell'istante era una questione totalmente secondaria.
Si spinse ancora contro di lei, realizzando solo in quell'istante di star tremando leggermente. Ignorò l'esitazione, mentre Maya gli cingeva la vita con entrambe le gambe, serrandolo volontariamente contro di sé.

La penetrò, immobilizzandosi senza fiato il secondo seguente.

Le labbra di lei si erano spalancate, boccheggiando in cerca di ossigeno.

I suoi muscoli si erano stretti attorno a lui, all'improvviso, costringendolo a chinare il capo sul suo torace.

Maya fece scendere una mano lungo le sue spalle, mentre il petto le si alzava e abbassava come impazzito, in concomitanza col battito accelerato del suo cuore.
"Non ti fermare -," lo ridisse per la terza volta, e non fece in tempo a finire la frase che Sylar finì per spingersi più a fondo, afferrandola saldamente per una gamba.

Avvamparono entrambi. Trovò buffo il non poter riconoscere il rossore sulle guance di lei, tanto sembrava brillare alla luce accecante del sole di mezzogiorno.

Non l'aveva fatto spesso. Anzi... era successo una volta sola, e ne era rimasto talmente disgustato e deluso, da non averci più riprovato.
Quanto alla ragazza con cui l'aveva fatto - non si ricordava nemmeno che faccia avesse, se fosse del quinto, o del sesto anno, quando e dove l'aveva conosciuta.
Si rese conto che non gli importava. Non gli importava affatto.

Riprese a spingersi in lei, senza lasciarla andare, senza fermarsi, quasi senza respirare.
Il sudore gli inumidiva la fronte e il viso. Ringraziò mentalmente ogni santo esistente quando Maya gli aprì la camicia, scoprendogli il petto, accarezzandolo e premendoci contro i palmi delle sue mani.

La sentiva contorcersi contro di lui ad ogni spinta, gemendo e sussurrando parole sconnesse, a volte in inglese, altre in spagnolo.
Non le comprendeva, ma ne amava dannatamente il suono. Lo cullavano e lo eccitavano allo stesso tempo, gli davano alla testa, lo animavano, lo esortavano a prendersela là dov'era, su quel pavimento sudicio, in quel motel dimesso, sperso su una statale deserta al sud del paese.

Chinò il capo sul suo petto, tra i suoi seni, mentre le dita di Maya si attorcigliavano attorno ai suoi capelli.
Respirò a fondo quel profumo agrodolce, inebriato e quasi ubriaco di quella sensazione di assoluta onnipotenza.
Quel corpo di rame fremeva sotto le sue mani.
Supplicava sotto il tocco delle sue dita, pregava di essere preso e piegato al suo volere.
"Maya...," si lasciò sfuggire un roco sussurro, quando gli sembrò di essere arrivato al limite.

La testa gli si fece leggera.
Credeva di essere sul punto di esplodere quando Maya chiamò il suo nome, in un soffocato sospiro, e si inarcò prepotentemente tra le sue braccia, gettando il capo all'indietro.
Il piacere li travolse di colpo.

Gemette forte contro la pelle bollente della sua scollatura.
Strinse la presa sulla pelle morbida dietro la curva del suo ginocchio, prendendo ad accarezzarla lentamente.
Sentì i muscoli cedere di colpo, e si lasciò definitivamente andare contro di lei, pronunciando la sua ultima, inudibile preghiera ad ignoti.

Rimase immobile per una manciata di secondi, prima che Maya, riprendesse a muovere le mani sul suo capo.
Sollevò leggermente la testa per poterla guardare.
Con riluttanza infranse quel contatto così caldo e profondo, spezzando quell'inquietante incantesimo che sapeva di polvere e sabbia.

Alzò un braccio, sfiorando il pizzo della benda nera che le copriva gli occhi, e poi le sue guance bollenti.

"E' un patto...," sussurrò appena, prima di ricrollare su quel corpo che era suo. Tutto suo.
Socchiuse gli occhi, stringendosi contro di lei, come a rivendicarne il possesso.
"E' un patto, Maya," ripeté di nuovo, incantato dalla sensazione dei suoi seni contro il suo petto nudo.

Ci fu solo un attimo di silenzio, prima che Maya gli desse il suo assenso.

"E' un patto," gli fece semplicemente eco, con una nota di pigra rassegnazione nella voce.

Era vero... non aveva pianto.

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