HEROES - Italiano - Sylar - "Cursed" (Primavera, Estate, Autunno, Inverno)

Feb 10, 2008 00:31

Titolo: Cursed
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar (Gabriel Gray)
Rating: PG
EFP: LINK.
Summary: Il tempo sembrò dilatarsi sotto il suo sguardo, allungandosi fino all'inverosimile. Stupidamente, gli sembrò che quell'attimo non sarebbe mai finito, che sarebbe stato eterno.
Tabella: TABELLA.

Prompt: Primavera
Parole: 291



Il cielo era azzurro e sereno.
Col naso all'insù osservava distrattamente la luce che pioveva tra le fronde degli alberi.
Tutt'intorno solo voci ovattate di altri bambini: chi piangeva, chi rideva, chi urlava dopo essere inciampato nel bel mezzo di una folle corsa senza meta.
Non conosceva esattamente l'attrativa del restarsene sdraiato su quella panchina, ignorando le grida di chi, intorno a lui, si stava impegnando maniacalmente in una partita di calcio improvvisata, con una palla altrettanto di fortuna: un po' di carta appallottolata e fermata con dello scotch da pacchi.
Era stato lui a spiegar loro come fare.
Non amava particolarmente parlare con gli altri bambini, ma a volte gli piaceva mostrar loro di cosa era capace.
Si divertiva così.
Tornò a chiudere gli occhi, per un attimo abbagliato dallo splendore del sole.
Faceva caldo, e sua madre cantava sommessamente mentre lavorava qualcosa all'uncinetto.
"Gabriel?"
"Sì, mamma?" Sollevò pigramente una palpebra, occhieggiando la donna che lo stava guardando con estrema attenzione.
Il tempo sembrò dilatarsi sotto il suo sguardo, allungandosi fino all'inverosimile.
Stupidamente, gli sembrò che quell'attimo non sarebbe mai finito, che sarebbe stato eterno.
Trattenne il respiro senza nemmeno accorgersene.
"Niente," soggiunse lei, mentre un ampio sorriso le distendeva i tratti del volto.
Increspò le labbra in una smorfia che doveva assomigliare ad un sorriso di risposta e benché sapesse di non essere stato convincente, sua madre parve accontentarsi.
Seguì il basso volo di un uccello, guardandolo mentre si fermava su uno dei rami più alti dell'albero dirimpetto alla panchina, per poi spiccare nuovamente il volo.
Fu costretto a richiudere gli occhi non appena la traiettoria della tortora andò a tuffarsi dritta nel cerchio luminoso del sole.
Avrebbe voluto seguirla.
In alto.

Prompt: Estate
Parole: 275



Abbassò con un gesto secco le tapparelle del negozio: la luce che vi filtrava attraverso portava gli unici spicchi di sole in quella tetra stanza che ticchettava senza sosta.
Il condizionatore si era rotto la settimana prima. Nonostante Gabriel sapesse esattamente cosa non andasse in quella dannata macchina, non aveva intenzione di spendere un solo minuto del suo tempo per ripararla.
Si era accontentato di un vecchio ventilatore che aveva ritrovato nella cantina della bottega.
Muoveva pigramente la testa da una parte e dall'altra, emettendo un sinistro gracchiare che riusciva ad infastidirlo fino all'inverosimile.
C'era puzzo di chiuso là dentro.
Stantio mischiato all'odore che emanava la sua pelle bollente.
Sua madre l'aveva pregato di prendersi un periodo di ferie e andare a trovare la nonna o uno degli zii, "per cambiare aria" aveva detto.
Ma Gabriel non aveva bisogno di cambiare aria: era lì che si sentiva a casa.
Lontano dal caos della metropoli e rinchiuso nella sua ticchettante condizione di emarginato.
Aveva sviluppato l'opprimente convinzione di essere nel giusto, di non essere compreso... ma sapeva che prima o poi si sarebbero dovuti ricredere su di lui.
Perché le foglie ingialliscono, e attendono la nuova stagione per cadere.
E sembrano talmente tanto belle e tanto forti quando verdeggiano sotto gli occhi di tutti, che nessuno oserebbe mai pensarle polverizzate sotto un passo un po' più deciso in una strada qualunque di quell'enorme città.
Eppure era così che si sentiva.
Aspettava solo una nuova stagione.
Aspettava un altro tempo.
"Beati gli ultimi," gli ricordava sempre sua madre, "perché saranno i primi".
Gabriel ci aveva sempre creduto.
Ci doveva credere.

Prompt: Autunno
Parole: 270



Il cielo si stava già tingendo di rosso quando la luna lo sorprese.
Aveva una camminata lenta, ma sostenuta.
Tremava.
Forse per il freddo: non si era nemmeno messo una giacca, come se non gli importasse minimamente della propria salute.
Senza rendersene conto, aveva imboccato la strada per il parco.
Già gli alberi costeggiavano la strada, proiettando sinistre figure sull'asfalto: allungate e deformi.
Irriconoscibili.
Tentò di focalizzare la sua attenzione solo sul suono dei suoi passi... ma era tutto così tremendamente amplificato nella sua testa che anche solo il cadere di una goccia d'acqua sarebbe riuscito a farlo impazzire.
Solo dopo qualche attimo si rese conto del continuo scricchiolare delle foglie sotto le sue scarpe.
Lo infastidiva.
L'assurda certezza che ogni cosa fosse nata per essere infranta, riusciva a destabilizzarlo.
Le mani si muovevano frenetiche nelle tasche del golf macchiato.
Possibile che non sentisse più l'odore acre del sangue che gli impregnava gli abiti?
Possibile che fosse talmente abituato alla morte, da non esserne più toccato?
L'aveva guardata in faccia, di questo era certo... ma l'aveva realmente vista?
O erano soltanto i tratti confusi di un viso che non esisteva affatto?
Come uno scatto sfocato che non ci si prende nemmeno la briga di guardare.
Eppure, mentre il vento gli sferzava impietosamente il volto, il rumore di quelle foglie polverizzate riusciva a terrorizzarlo.
Come puoi rimettere insieme i miliardi di minuscoli pezzettini in cui si spezza dopo essere caduta?
Come si ripara qualcosa che non puoi riparare?
Non può nemmeno tornare sui rami più alti.
E' solo destinata ad una lenta, ma inesorabile dissoluzione.

Prompt: Inverno
Parole: 411



Era una mano scarna quella che faceva capolino dall'ingombrante piumino scolorito che indossava.
La neve incessante l'aveva costretto a rifugiarsi nel primo locale aperto: un'anonima tavola calda, frequentata da persone anonime, su un'altrettanto anonima strada statale.
L'ululare del vento l'aveva spinto sin lì.
Non amava particolarmente la neve, ma, come la pioggia, gli dava una piacevole idea di catarsi.
Era come se quel manto bianco potesse ricoprire e cancellare tutto lo schifo che l'anno aveva portato con sé, per poi ricominciare da capo.
Di nuovo.
Prese posto ad uno dei tavoli più lontani dall'entrata, assicurandosi di essere abbastanza nascosto per poter sfuggire a occhiate indiscrete.
Le detestava.
Ordinò un caffè senza zucchero, con un tono di voce basso e rauco al quale non si era ancora abituato.
Non si ricordava come fosse una volta la sua voce.
Adesso c'era solo quella, e per quanto sgraziata fosse, aveva deciso di non dispiacersene troppo.
Le mani gli tremavano, ma non era per il freddo.
Era qualcos'altro.
Qualcosa che lo stava lentamente divorando dall'interno.
Col passare degli anni, aveva semplicemente affibbiato a quella sensazione il nome di "senso di colpa" o "rancore", che dir si voglia.
Non gli importava il come, era il cosa che lo interessava.
O il perché.
Perché il tempo gli avesse permesso di vedere così tanti inverni, ad esempio.
Non era passato un giorno, uno solo, in cui non se lo fosse domandato fino alla nausea.
Ma si era anche abituato a quel sordo mutismo che riceveva in risposta.
Nessuno gli avrebbe rivolto né una parola di conforto, né un crudo insulto urlato a squarciagola.
Sylar non esisteva.
Gabriel non esisteva.
Si era annullato in se stesso per la peggiore delle condanne.
Era morto per tutti, ma non per se stesso.
Forse se lo meritava. Si meritava tutto quel silenzio.
Non c'era altra spiegazione logica.
Non ringraziò la cameriera quando gli portò la sua tazza di caffè.
Volse il capo verso il vetro che dava direttamente sulla strada deserta.
Il sole stava tramontando, pronto a portarsi via il giorno ancora una volta.
Si chiedeva perché non potesse portarsi via anche lui.
Lontano da lì, una volta per tutte.
Soffocato dalla neve e spazzato via con il nascere della nuova stagione.
Non ci sarebbero state più primavere per lui, o estati... solo un gelido e duraturo inverno che non avrebbe avuto pietà.
Non per lui.
Non stavolta.

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