Titolo: Giochi o non giochi? {2.0}
Beta:
eliviFandom: Harry Potter
Personaggi: Ron Weasley, Hermione Granger + altri loschi individui
Pairing: Ron/Hermione
Rating: PG13 (per linguaggio, nient'altro)
Parole: 4796 (W)
Warnings: One-Shot, Fluff, Crack!Fic XD
Timeline: post-DH, direi un po' d'anni dopo Hogwarts.
EFP:
LINK.Riassunto: Una serata, l'ennesimo litigio, una strana sfida... cinque anni dopo.
Note.
Questa vuole (*vorrebbe*) essere una ripresa di una mia vecchissima fic (aiutatemi a dire vecchissima?),
Giochi o non giochi?, appunto, postata nel lontano 28 dicembre 2004. Mi sento vecchia. In ogni caso, è probabilmente la fanfiction più commentata che io abbia mai scritto, nonostante la forma DAVVERO discutibile XD Non lo so, resta forse la fic alla quale sono più affezionata XD E ora che sono passati cinque anni *ehm* ho pensato di scrivere una specie di tributo sì proprio a me stessa, e così ho ripreso la stessa *trama* messa in un contesto diverso, più adulto... e così via. Sto parlando molto, ma mh XD Amen!
Giochi o non giochi? {2.0}
"Ron, ti prego cambia canale."
La voce di Hermione risuonò tesa e infarcita di malcelata isteria, mentre si massaggiava insistentemente le tempie con entrambe le mani.
Qualsiasi cosa Ron stesse guardando (wrestling? Giapponesi impazziti che si inseguono su tronchi rotanti? O magari un programma di cucina estrema in cui i cuochi si lanciano grossi coltelli affilati mentre controllano la cottura del cavolo-verza?), la mora ne aveva decisamente avuto abbastanza.
Se c'era una cosa che aveva imparato dopo quei cinque, lunghissimi mesi di convivenza con Ronald Weasley, era sicuramente che il suddetto pretendeva di avere il controllo del telecomando ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, eccetera eccetera.
Non che a Hermione interessasse particolarmente il dominio e la gestione del tubo catodico di casa, ma la riteneva una questione di principio. Non era semplicemente possibile che ogni dannata sera fosse costretta a sorbirsi la peggior spazzatura mediatica del paese solo perché il suo ragazzo aveva perso completamente la testa.
"Scherzi?!" Sbottò prima di scoppiare a ridere come un matto, iniziando a sbattere la mano sul divano ripetutamente, come a sottolineare l'euforia di cui era vittima. "Questo è il programma migliore della storia della veletisione!"
"Televisione, Ronald," specificò lei, mettendo da parte il romanzo che stava inutilmente tentando di leggere da almeno un paio d'ore.
Avrebbe voluto dire di avere la situazione totalmente sotto controllo, ma in realtà quelle erano circostanze che si ripetevano puntualmente e quotidianamente; in pratica soccombeva ogni volta sotto il peso dell'unico cromosoma Y di casa Granger-Weasley.
"Quello che è," la liquidò lui, gli occhi fissi sullo schermo, come rapiti e impossibilitati a guardare altro.
Hermione gli lanciò un'occhiata incredula: non l'aveva ascoltata per un solo secondo, ne era certa.
"Ron, mi senti?"
Nessuna risposta, solo un grugnito incomprensibile seguito dall'ennesima risata sguaiata e scomposta.
"Ron...," riprese lei, riaprendo il proprio libro, "Jake dell'Atrium mi ha chiesto di uscire con lui domani sera."
Ancora niente.
"Gli ho detto che non ci sarebbe stato alcun problema, tu sei d'accordo vero?"
Niente di niente.
"Ron?" Lo richiamò con aria spazientita, ottenendo che si voltasse verso di lei con uno sguardo ebete stampato sulla faccia e la bocca dischiusa nell'espressione più stupida che avrebbe potuto tirar fuori.
"Ah - mh?"
"Sì o no?"
"Ehm... sì?" Tentò, stringendosi nelle spalle a mo' di scusa.
"Merlino, Ron! Sei veramente insopportabile!"
Hermione si era alzata definitivamente in piedi, scalciando via il lenzuolo con cui si era coperta. Il libro cadde a terra con un tonfo sordo, mentre la donna prendeva a gesticolare come una folle.
"Eh? E adesso cosa ho fatto?" Protestò lui, inorridendo visibilmente allo scatto nervoso della mora; finì per ritrarsi sui cuscini del divano, giusto per evitare qualsiasi ritorsione fisica - Hermione picchiava duro, quando necessario, e Ron sapeva bene che 'necessario' ben si applicava a tutte le volte in cui gliela voleva far pagare in qualche modo. Una situazione tipo quella, insomma.
"Cosa hai fatto?!" Domandò lei incredula, intrecciando le braccia al petto con aria di sfida.
"Eh! Cosa ho fatto?" Insisté Ron, azzardandosi ad alzare il tono di voce, giusto per ristabilire le gerarchie della casa.
"NIENTE!" Urlò Hermione, "assolutamente niente! Ecco qual è il problema!"
"S-Scusa?" Bofonchiò il rosso, cominciando a non capirci più niente.
(I giapponesi si stavano rincorrendo su delle piattaforme scivolose sistemate su un laghetto di fango, e lui era costretto a prestare attenzione ad Hermione proprio nel momento clou dell'intero programma! La cosa non gli andava molto a genio.)
"Ooooh! Lascia stare, okay? Vado a dormire, buonanotte," dichiarò lei infine, dando un taglio netto alla conversazione.
Ron allargò le braccia, sbigottito: era incredibile come riuscisse a farla incazzare senza muovere un dito. Era un potere speciale (nonché totalmente inutile) di cui si sentiva l'unico detentore - si chiese persino se non ci fosse la possibilità di aggiungerci un riferimento speciale sotto la dicitura "segni particolari" dei suoi documenti di identità.
La seguì con lo sguardo, impotente, troppo intrippato nei propri pensieri per poter ordinare alle gambe di alzarsi e seguirla per evitare danni peggiori.
Passarono cinque fastidiosissimi secondi in cui Ron si voltò verso la tv, appena in tempo per vedere una giapponese impazzita cadere di faccia nella melma fangosa dopo aver sbattuto contro una parete gommosa.
Non rise, però.
Un altro minuto, due, tre, dieci, allo scadere dei quali si rimise in piedi, diretto verso la camera da letto, deciso a sistemare le cose nell'unico modo efficace che conosceva - no, non il sesso riappacificatore, ma la prostituzione psicologica. Si sarebbe prostrato ai suoi piedi e le avrebbe chiesto scusa, poi - forse - le sarebbe anche saltato addosso, passando alla parte dei loro litigi che preferiva in assoluto.
"Herm?" La chiamò a mezza voce, bloccandosi sulla soglia della loro stanza.
Nonostante fosse immersa nel buio, riuscì a scorgere il profilo della donna, distesa sul letto in fissa della parete opposta alla sua.
"Hermioooooone," ritentò, avvicinandosi di un paio di passi prima di lanciarsi letteralmente sul letto a peso morto, beccandosi un cazzotto in pieno petto.
"Che vuoi?!" Squittì lei, afferrando il cuscino e cambiando rapidamente fianco d'appoggio, mentre Ron soffriva e annaspava per il colpo ricevuto.
"Mi hai ucciso," si lamentò rauco, massaggiandosi distrattamente la parte colpita.
"Bene!"
"Oh andiamo, Herm!" Le passò un braccio attorno ai fianchi, sporgendosi verso di lei, "perdonami, ti prego."
"Non fare il ruffiano," sussurrò lei, tentando in tutti i modi di suonare abbastanza indispettita da farlo sentire in colpa.
Ron affondò il viso tra il collo e la spalla di lei, prendendo a baciarla sotto il mento, a ripetizione, ovunque.
"Non so neanche cosa voglia dire," ammise.
"Ruffiano?"
"Mmmmh, già -" continuò a torturarle la pelle morbida delle guance, posandole un bacio all'angolo della bocca.
"Ron, smettila," si costrinse a dirgli.
"Ma tu non vuoi che smetta, mh?"
"Non giocare al so-tutto-io con me!"
Hermione scattò a sedere, costringendolo a spostarsi di lato.
"Sei l'essere più prevedibile sulla faccia della Terra, Ronald Weasley!"
"Puoi gentilmente smetterla di chiamarmi Ronald? Mi fai sentire vecchio e calvo."
"Ma tu non sei né vecchio, né calvo, sei soltanto prevedibile come la morte e i maglioni di Natale di tua madre!"
"Ehi! Cosa c'entra mia madre adesso?"
"Niente! Stavo solo cercando di farti capire il mio punto di vista."
"Com'è che siamo sempre fermi a capire il tuo di punto di vista? Mai il mio!"
"Rieccolo che parte con la manfrina dell'uomo incompreso. Prevedibile."
"Smettila di darmi del prevedibile, vuoi?"
"Prevedibile anche questo."
"HERMIONE GRANGER!" L'urlo gli partì di bocca più brutalmente di quanto volesse.
"Intendi dire che non sei prevedibile?"
"Perché tu non lo sei?"
Stavolta la donna non seppe esattamente come rispondere, limitandosi a boccheggiare a corto di parole per una manciata di secondi.
"Ovvio che sì," finì per dire, pentendosene amaramente un attimo dopo.
La luce si accese immediatamente, rivelando un Ron che la fissava con l'espressione più scettica dell'universo, e un'Hermione che ricambiava con aria piccata, le braccia saldamente immobilizzate all'altezza del petto.
"Sfida?" Propose infine lui.
"Sfida?"
"Sì, sfida."
"Stai scherzando," sentenziò la donna, rifiutandosi categoricamente di prendere in considerazione l'ipotesi che fosse serio.
"No, dimostrami che non sei prevedibile."
"Sei tu che devi dimostrarmelo!"
"Bè, così prenderemo due piccioni con una fava," disse, fiero dell'utilizzo perfetto del modo di dire, "e io non sono la fava," si sentì però in dovere di specificare subito dopo.
Hermione tacque: non aveva il coraggio di rispondere. Se avesse accettato se ne sarebbe sicuramente pentita, se avesse rifiutato, Ron gliel'avrebbe rinfacciato per almeno i cinquant'anni successivi.
"Giochi o non giochi?"
L'unica cosa sensata da fare era dirgli...
"Gioco."
Ron le rivolse un ampio sorriso soddisfatto: ce l'aveva in pugno.
"Bene," dichiarò, "siccome sono un signore ti lascio la possibilità di iniziare."
"Oh quanto sei magnanimo e saggio, Ronald Weasley!"
"Ho detto di smetterla di chiamarmi Ronald."
"Okay, okay."
Finì per zittirsi, guardandosi curiosamente attorno alla ricerca di qualcosa di abbastanza drammatico da fargli fare. Il ticchettio dell'orologio accompagnava il fluire dei suoi pensieri, un'ipotesi scartata dopo l'altra, finché...
"Ora andiamo in cucina e assaggi quella torta al limone che ti ho fatto ieri," decise.
Ron sbiancò, lanciandole un'occhiata impanicata - il sorriso sornione improvvisamente svanito dalla faccia.
"Ma... l'ho già assaggiata la torta al limone. I-Ieri notte, te l'ho detto," balbettò, tentando di fuggire la tremenda punizione in qualche disperato modo.
"Ho ritrovato la fetta mancante nel cestino della spazzatura," lo informò lei, "sotto i cartoni del latte e le scatolette di Grattastinchi."
Il rosso finì per rivolgerle un'occhiatina imbarazzata e un sorrisetto isterico che vacillò appena sotto lo sguardo altezzoso della donna.
Quale persona sana di mente scava nella spazzatura? Era tutto quello che Ron riusciva a pensare in quell'istante, mentre quattro semplici parole prendevano forma sulle labbra di Hermione: "giochi o non giochi?"
"Sappi che temo per la tua salute mentale, Hermione."
"Giochi o non giochi?" Ripeté, senza voler sentire ragioni.
"Gioco, gioco," accettò lui, aggiungendo una serie di improperi incomprensibili subito dopo, accompagnando la propria discesa dal letto e successiva partenza per la cucina.
"Guarda che ti ho sentito," gli fece sapere lei, seguendolo con calma snervante, spengendo tutte le luci di troppo che, al suo passaggio, Ron amava accendere a casaccio.
Fu lui ad aprire il frigorifero, a tirare fuori la torta dal ripiano più alto, a recuperare una forchetta dal cassetto delle posate pulite e a fissare il dolce quasi fosse stato una carcassa in putrefazione, o qualcosa di altrettanto disgustoso.
Hermione guardava alternativamente lui e la torta, la torta e lui, con aria vagamente spazientita e una mano ferma su un fianco.
"Non può essere così male," protestò incredula, "è la ricetta di tua madre!"
Ron avrebbe voluto ribattere che sì, la ricetta poteva pure essere quella di sua madre, ma il prodotto finito non ci assomigliava neanche lontanamente.
Decise di tagliare la testa al toro: ficcando la forchetta nella superficie anomalamente dura del dolce, ne prese un bel po', prima di infilarsi tutto in bocca, senza neanche stare a pensarci più di tanto.
Hermione era sicura che avesse cambiato colore, qualcosa di tendente al giallognolo, probabilmente. Inorridì mentre Ron si premeva una mano sulla bocca per impedirsi di sputare. Fu persino costretto a masticare per non ingoiare tutto e, presumibilmente, morire soffocato, tanto che alla fine - quando riaprì gli occhi e riprese a respirare - aveva l'aria di chi ha appena visto Piton nudo in un locale a luci rosse per soli uomini.
Lo guardò con aria disperata, prima di occhieggiare tristemente il frutto di ore ed ore di lavoro in cucina: decisamente un altro buco nell'acqua.
Fu Ron a destarla dai suoi drammatici pensieri, ormai ripresosi dal trauma culinario cui Hermione l'aveva crudelmente sottoposto.
"Tocca a me."
La donna si limitò ad annuire.
"Allora...," iniziò, guardandosi attorno con aria circospetta finché non fu la portafinestra che dava sul giardino di casa a cogliere la sua attenzione. Si illuminò, sorridendo con aria trionfante, prima di tornare su Hermione: già la dava per spacciata. "Voglio che tu vada dalla signora Filcher, qui di fianco, che le suoni il campanello e che tu le dica che mi ami alla follia."
"C-Cosa? Ma la signora Filcher va a dormire alle otto e mezza di sera," protestò Hermione.
"Appunto," fu la laconica quanto soddisfatta risposta di lui, che adesso la osservava così come si farebbe con un animale raro in via d'estinzione. "Giochi o non giochi?"
La donna esitò, ma cancellare quell'odioso sorrisetto dalla faccia di Ron diventò improvvisamente la sua prima e unica priorità: "gioco."
Il rosso batté le mani, sfregandosele subito dopo, "benissimo, questa non voglio veramente perdermela."
Tre minuti e quaranta secondi dopo, il campanello della signora Filcher squillò per ben quattro volte prima che qualcuno si decidesse ad andare ad aprire. La visione non fu decisamente delle più auliche: di fronte a due Ron ed Hermione particolarmente tesi, si materializzò una donna dall'aspetto aquilino e malsano, avvolta in una vestaglia floreale che - nel migliore dei casi - risaliva alla prima età della pietra. Aveva una cuffietta giallo canarino tra i capelli, attraverso cui si riuscivano a distinguere i bigodini variopinti che acconciavano inesistenti ricci grigiastri. Ron inorridì, Hermione sorrideva statica, come in preda ad una paresi improvvisa: era sicura che l'avrebbero sepolta con quell'espressione lì, il giorno del suo funerale.
"Weasley?" Gracchiò lei, con l'aria di chi è pronto a tirar fuori un fucile a canne mozze e fare piazza pulita.
"Salve signora Filcher," balbettò Hermione, voltandosi per un misero attimo verso Ron, in cerca di un sostegno che l'uomo non era affatto intenzionato ad offrirle.
"Che c'è?" Domandò scontrosa la vecchia.
Il rosso finì per concentrarsi sui lembi cadenti di pelle che si alzavano e abbassavano sul viso della donna: pensò che sembrava una borsa di camoscio con le rughe e, contemporaneamente, provò pena per quell'uomo costretto a dividere il letto con un mostro simile, sentendosi anche piuttosto fortunato di essersi accaparrato una come Hermione, che alle borse di camoscio non ci assomigliava per niente. Al massimo, l'avrebbe paragonata ad una cinghia stretta attorno alle palle, ma decisamente non per motivi estetici.
"Signora Filcher, volevo soltanto farle sapere quanto amo Ronald Weasley," la informò accoratamente, portandosi entrambe le mani al cuore, in una dichiarazione veramente sentita.
La donna le lanciò un'occhiata indecifrabile, ipotizzando una sbronza domestica appena consumatasi tra i due: giovani! Non li avrebbe mai capiti fino in fondo.
"Ah. Bene."
Non disse altro, perché subito dopo la porta si richiuse con uno schianto in faccia ad un'Hermione particolarmente paonazza, e un Ron a metà tra il divertito e lo schifato. Soltanto quando metabolizzò l'immagine dell'ingresso ormai sbarrato, si lasciò andare ad una sonora risata che mandò Hermione su tutte le furie.
"Sei un idiota," lo insultò gratuitamente, facendo dietrofront e cominciando ad allontanarsi sul vialetto di casa Filcher, per tornare in strada e poi a casa loro.
"La fine del mondo!" La contraddisse lui con aria estatica.
"Mi cogli una rosa dal giardino di Pete?"
Ron non capì la risposta di Hermione, sicuro di essersi perso un passaggio piuttosto importante della conversazione.
"Eh?"
"Coglimi una rosa dal giardino di Pete."
Il rosso sgranò gli occhi e spalancò la bocca, lasciando la mascella in caduta libera in balia della forza di gravità.
"Mi ucciderà," esalò con aria terrorizzata.
"Oh lo sai che non ti ucciderà, sai come tranquillizzarlo, no? Pete ce l'ha detto."
Ron biascicò qualcosa che Hermione non capì affatto - e gli fu grata per questo - prima di portarsi le mani ai fianchi e valutare attentamente le opzioni possibili con l'aria di chi sta combattendo una guerra all'ultimo sangue.
"Giochi o non giochi?" Cantilenò lei con vocetta insopportabile, ballonzolandogli intorno, sicura di aver già la vittoria assicurata.
"Stronza," la accusò lui, "gioco."
Finì per cedere e in pochi passi furono entrambi affacciati sul giardino di Pete - un altro vicino di casa - silenzioso e immobile come non mai.
Pete era uno col cosiddetto pollice verde; c'era una sola cosa che amava più delle sue rose: Bill, il suo mastino affetto da un grave complesso di inferiorità nei confronti di qualsiasi scoiattolo incrociasse la sua strada. Bill, Ron lo sapeva bene, aveva una certa passione per i fondoschiena dei rompiscatole, e un'ammirazione sfegatata per I will survive di Gloria Gaynor. Più precisamente, quella canzone, era l'unico modo che essere umano conoscesse per placare la furia del povero, uggiolante Bill.
Ci vollero dieci minuti buoni affinché Ron si fosse deciso a scavalcare la staccionata e muovere passi incerti verso i cespugli di rose dell'uomo.
"La voglio rossa," lo informò Hermione, non richiesta, indicandogli il punto esatto.
Ron si sforzava di tenere un occhio sulle rose, e uno sulla cuccia di Bill, sistemata all'ombra del patio d'ingresso. Non si azzardò neanche a respirare, maledicendo qualsiasi scricchiolio sospetto provocassero i suoi passi sul praticello del vicino.
In men che non si dica aveva raggiunto il roseto. Si piegò lentamente sulle ginocchia, cercando con lo sguardo una vittima appropriata tra tutti i fiori disponibili. Scelse la più bella, allungandosi un po' per poterla cogliere.
Pochi secondi, ed era sua. Fece attenzione a non pungersi con le grosse spine che ne costellavano il gambo e sorrise tra sé, incredulo di fronte a tanta fortuna.
Sentiva dei bisbigli incomprensibili alle spalle - forse Hermione che si malediceva per non avergli proposto qualcosa di più pericoloso - ma non ci fece molto caso.
Solo quando si voltò, ritrovandosi il musone bavoso di Bill davanti e la donna a sbracciarsi come una matta al sicuro oltre la staccionata (nel vano tentativo di avvisarlo del pericolo senza destare i sospetti dell'enorme cane. Aveva evidentemente fallito.) si rese conto di essere in guai veramente seri.
"Buono, bello -," balbettò nervosamente, sorridendo a stento, mentre Bill reclinava leggermente il grosso capo di lato, osservandolo con aria curiosa. Forse non gli avrebbe sbranato la faccia, dopotutto... no?
Ron si rimise lentamente in piedi, evitando qualsiasi movimento brusco. Fu un attimo: e il cane gli stava mostrando la sua enorme dentatura giallastra - tutta! Non si era dimenticato di fargli vedere neanche un dente.
L'uomo lanciò un'occhiata allucinata in direzione di Hermione, in una muta, disperata richiesta d'aiuto, ma la donna rimase immobile, pietrificata di fronte alla scena che le si proponeva davanti agli occhi: non aveva di certo messo in conto di poter perdere il suo ragazzo per uno stupido scherzetto! Men che meno il fondoschiena del suo ragazzo - che Hermione teneva in altissima considerazione.
"O-Okay, Bill," biascicò Ron, "va tutto bene, m-mh?"
Il cane, per tutta risposta, decise di iniziare a ringhiare con così tanta costanza da far fare una capriola al provatissimo stomaco del rosso: sarebbe stata la sua fine, ne era sicuro. Se solo...
"First I was afraid," iniziò a cantare senza neanche rendersene conto, "I was petrified," riusciva a sentire la propria reputazione scivolare sempre più in basso ed iniziare a scavarsi un tunnel per un luogo in cui la dignità non esisteva affatto, "kept thinking I could never live without you by my side."
Bill aveva abbandonato l'aria ostile: aveva drizzato le orecchie, riprendendo ad osservarlo con aria curiosa.
Ron si fece coraggio, "but I spent so many nights thinking how you did me wrong, I grew strong, I learned how to carry on and so you're back from outer space," cominciò a tenere il tempo della canzone con i movimenti della testa e delle braccia (se Harry l'avesse sentito cantare quella canzone, l'avrebbe sfottuto a vita. Confidò nel buonsenso di Hermione, sperando ardentemente che una cosa del genere non venisse mai a galla durante occasionali conversazioni con il loro migliore amico).
Il mastino parve apprezzare, e si accucciò a terra, seguendo l'uomo - che nel frattempo lo stava abilmente aggirando per poter tornare dal lato di Hermione - con sguardo estremamente attento.
"- I just walked in to find you here with that sad look upon your face, I should have changed my stupid lock, I should have made you leave your key," pareva averci preso gusto perché, per uno stupido attimo, parve dimenticarsi totalmente delle tragiche circostanze in cui si trovava, sculettando forsennatamente al ritmo della canzone che mai, mai, avrebbe ammesso di conoscere a memoria.
"RRRooooooonnnn!" Sibilò Hermione, in preda ad una crisi di riso improvvisa, intervallata da occhiate preoccupatissime lanciate in direzione di Bill e poi di Ron.
"- If I had known for just one second, you'd be back to bother me," alzò un braccio al cielo, concentratissimo e fogatissimo dalla propria sfavillante performance, voltandosi soltanto al richiamo di Hermione.
Allora comprese. E si voltò di scatto, mettendosi a correre come un pazzo e lanciandosi letteralmente oltre la staccionata, ricadendo dall'altra parte, faccia a terra, accompagnato dall'abbaiare isterico di Bill che aveva preso a grattare come un matto sulle assi di legno che, in quel momento, erano l'unica cosa a separarli da morte certa.
"Ouch," biascicò Hermione, figurandosi il dolore di un impatto simile, limitandosi però ad inginocchiarsi accanto all'uomo.
Ron le allungò la rosa senza neanche guardarla, "mi hai interrotto sul più bello," si lamentò invece, mentre un sopracciglio della donna schizzava verso l'alto in un'espressione incomprensibile.
"Sono stata anche fin troppo buona," gli rispose, "se qualcuno ti avesse visto dimenarti in quel modo mi avresti supplicata di trasferirci immediatamente in un altro quartiere, possibilmente a migliaia di chilometri da qui," spiegò saccente.
Il rosso, nel frattempo, si era rimesso in piedi, spolverandosi alla meno peggio le ginocchia sporche di terra.
"Adesso me la paghi," sentenziò, giusto a titolo informativo, tornando finalmente a guardarla.
Hermione aveva seppellito il naso tra i petali profumati della rosa, fingendo una certa indifferenza: sapeva che il peggio doveva ancora arrivare. Ebbe la saggia idea di stare zitta e aspettare che il triste destino scendesse su di lei senza intaccare il suo proverbiale contegno.
"La moto di Oliver," riprese Ron; un inquietante scintillio negli occhi che le fece sprofondare lo stomaco a livelli improponibili, "voglio che tu ci faccia un giro sopra... con me."
La mora prese a torturarsi il labbro inferiore coi denti, impedendosi di saltargli addosso e picchiarlo a sangue, o correre in casa per recuperare la bacchetta e obliviarlo una volta per tutte (ricominciare da quel Ron, ti prego cambia canale non le avrebbe fatto particolarmente schifo).
Ron sorrise tronfio, sicuro di aver colto dritto nel segno.
"Giochi o non giochi?"
Hermione guardò prima lui, poi la moto, poi di nuovo lui, poi contemplò il loro giardino, alla ricerca del posto più adatto ad ospitare una lapide commemorativa in suo onore subito dopo la sua drammatica morte per opera di uno Weasley spericolato a caso.
"Gioco," sussurrò inudibile.
Lui, che si era ficcato le mani in tasca, finì per sporsi teatralmente verso di lei, un'espressione confusa sul volto: "scusa, potresti ripetere? Non credo di aver sentito."
Uno stronzo le sfuggì dalle labbra prima che potesse impedirselo. Strinse i denti e respirò a fondo, rilasciando il fiato subito dopo: "gioco."
"Ottimo."
L'ennesimo sorrisone soddisfatto ed Hermione gli avrebbe tirato volentieri un calcio da qualche parte (un'idea ce l'aveva, ma sapeva che avrebbe finito per danneggiare più che altro se stessa con una mossa del genere).
Non capì granché di quello che seguì: Ron era già riuscito a mettere in moto il folle mezzo di trasporto blu metallizzato; le stava facendo cenno di avvicinarsi, esortandola a salire assieme a lui.
Hermione fece per accomodarsi subito dietro il ragazzo, ma lui, per tutta risposta, alzò una mano, bloccandola: "davanti."
In qualsiasi altra circostanza, avrebbe trovato un ordine del genere veramente molto sexy, ma siccome c'era la sua morte sul piatto del destino, Hermione decise che non poteva trovare eccitante qualcosa di così sconsiderato - anche se non riuscì ad impedirsi di arrossire furiosamente in zona guance.
Prese posto, e Ron l'aiutò a poggiare le mani sul manubrio, coprendole poi saldamente con le proprie.
Un nanosecondo e stavano sfrecciando a velocità sostenuta sulla strada principale del quartiere.
Hermione teneva gli occhi sgranati e impanicati fissi sull'asfalto, si era irrigidita talmente tanto che Ron era sicuro di poterla mandare in mille pezzi solo dandole un colpetto sulla spalla.
Divertito dalla sua reazione, si spinse maggiormente contro di lei, costretto ad appoggiarle il capo sulla spalla per togliersi la massa informe di capelli ricci dalla faccia - un inconveniente che non aveva affatto preso in considerazione.
"Pronta?"
"No."
"Cerca di esserlo?" Tentò lui.
"Ti odio."
Ron prese ad accelerare sistematicamente, facendole saltare il cuore in petto e lo stomaco un po' ovunque, su e giù, su e giù - finché... okay, questa Hermione, non se l'aspettava proprio. La strada cominciò a sembrarle sempre più lontana, sempre più piccola e stretta, sempre più... in basso.
Comprese immediatamente e si voltò di scatto verso l'uomo seduto dietro di lei: "RON, NO!" Urlò come impazzita.
Non aveva accettato di salire su una moto volante - e comunque dov'è che Ron aveva tenuto quella stramaledetta bacchetta per tutto il tempo?
Quello per tutta risposta si mise a ridere, sinceramente divertito, stampandole un bacio sulla guancia, "rilassati, baby, ci godiamo la notte."
"Chiamami di nuovo 'baby' e giuro che ti butto di sotto."
"Mi piaci quando fai la difficile."
"Ron, va' al diavolo!"
"Oh sì!" Fece un verso strano - qualcosa di simile ad un gemito - ed Hermione rinunciò a qualsiasi possibilità di serio dialogo, non senza risparmiarsi, però, uno stupido scimmione appena borbottato.
*
Ci volle un'ora intera affinché si stancassero di quello stupido giochetto, ma dopo che Ron ebbe infilato una foto che lo ritraeva quattrenne, piangente e nudo con un orsacchiotto di peluche in mano nella cassetta delle lettere della bellissima e statuaria Claire che viveva nella casa di fronte alla loro (Hermione gli tirava una gomitata tutte le volte che lo beccava a guardare in quella direzione); che Hermione ebbe fischiettato e canticchiato la sigla di apertura dei Simpsons ad un volume indecente in mezzo alla strada; che Ron - di nuovo - ebbe regalato a Grattastinchi una toilette completa sotto lo sguardo omicida dell'animale, e quello amorevolmente commosso di Hermione; che la donna si fu infilata nella doccia, completamente vestita, ma con un'imbarazzante cuffia rosa a fiori gialli sulla testa per permettere a Ron di scattarle una foto abbastanza ridicola per i posteri... decisero che ne avevano davvero avuto abbastanza.
Ricaddero contemporaneamente sul divano, rilasciando due sonori sospironi: volevano soltanto andarsene a dormire.
Hermione si avvolse nel suo accappatoio, tirando su col naso: "okay, fa' in fretta e chiudiamo qui questo penosissimo round, mh?"
Ron fissava il soffitto in contemplazione mistica, rantolando e grugnendo a tratti. Starnutì di colpo - possibile che fosse diventato allergico a quella bestiaccia?
"Fammici pensare...," biascicò poi, coprendosi il volto con entrambe le mani.
Un altro starnuto. Un lamento incomprensibile. Ancora starnuto.
Qualche secondo dopo Hermione fissava la parete e Ron fissava il soffitto.
(Un'idea assurda.)
Cinque minuti dopo Hermione fissava la parete e Ron le fissava distrattamente le mani.
(Okay, era veramente troppo assurda per tentare la fortuna.)
Dieci minuti dopo Hermione fissava la parete e Ron fissava Hermione.
(Gli venne persino da ridere per aver pensato una cosa così ridicola!)
Quindici minuti dopo Hermione fissava la parete sonnecchiando abbandonata sul divano e Ron fissava Hermione ridacchiando come un perfetto imbecille.
La donna corrugò la fronte, e finì per voltarsi verso di lui.
"Perché ridi?" Gli chiese stancamente, con aria vagamente seccata.
"Perché vinco."
"Ah sì?"
"Già."
"Sentiamo, allora."
Il rosso riprese a fissarla, e dopo un attimo che parve dilatarsi fino all'eternità intera, Hermione cominciò seriamente a farsi delle domande sulla salute mentale del convivente.
Cinque secondi, trenta, un minuto, due minuti, cinque minuti e venticinque secondi...
"Sposami."
Le ci volle una quantità di tempo non indifferente per metabolizzare e processare l'informazione: sgranò gli occhi e dischiuse le labbra in una smorfia orripilata, cosa che di certo non sfuggì a Ron.
"Visto?" Bofonchiò, a metà tra l'isterico, l'imbarazzato e l'assolutamente impanicato, "ho vinto."
Hermione non si era mossa neanche di un millimetro, nemmeno aveva osato respirare - se non avesse riaperto la bocca sarebbe, probabilmente, diventata cianotica in pochi secondi.
Ron aveva iniziato a canticchiare nervosamente (I will survive, per la cronaca), rimettendosi in piedi, pronto a lasciare la stanza e andare a sotterrarsi sotto cumuli di vergogna e brandelli della propria autostima.
Fu la leggera pressione della mano di Hermione sulla sua a costringerlo a voltarsi.
Le lanciò un'occhiata vacua e - nonostante stesse cercando in tutti i modi di non darlo a vedere - delusa.
"Che c'è?"
"Non mi fai la... domanda?"
"Che domanda?" Scostò la mano.
"Giochi o non giochi?"
"Non credo ce ne sia bisogno, hai già risposto."
"Io non ho detto niente, veramente."
Bè, non poteva obbiettare: che non aveva aperto bocca era vero.
Si obbligò a deglutire, sentendo la gola inaridirsi di colpo, e il nervosismo serpeggiargli impietosamente nello stomaco.
Si fece coraggio e...
"Giochi... o non giochi?"
Hermione si umettò le labbra, alzando leggermente le braccia per afferrargli le mani con le proprie.
Ron aveva il cuore in gola, e qualsiasi altro organo sparso a caso per il corpo, come in un flipper impazzito.
"Gioco."
"Ah?"
"Gioco."
"Non... non ho sentito," balbettò, preso in contropiede.
"Gioco, Ron," Hermione si tirò su per poterlo fronteggiare, "ho detto che gioco."
Gli strinse le mani, per un riflesso incondizionato, e gli sorrise ampiamente.
"Ci sposiamo?" Biascicò lui.
"Ci sposiamo. A meno che non fosse tutta una pessima idea per vincere la sfida e in quel cas -"
"NO!"
Hermione sgranò gli occhi all'impeto con cui le schiaffò in faccia quel misero monosillabo.
"No, ci sposiamo!" Esclamò lui, improvvisamente euforico, forse un tantino isterico, anche.
"Sì?"
"Sì!"
"OMMIODDIO!" Urlò la donna, saltandogli letteralmente in collo.
Ron si preoccupò di suggellare la promessa con un bacio in piene labbra, che Hermione si affrettò ad approfondire, cingendogli le spalle con entrambe le braccia e sollevandosi un poco per poter aver maggior accesso alla sua bocca.
"Se è un modo carino per chiedermi di bruciare la foto della doccia, ti sei sbagliata di grosso," sussurrò dopo qualche attimo, a corto di fiato, contro la pelle accaldata di lei.
"Mmmh, no," mugugnò, "in realtà non ci stavo pensando."
"Ottimo."
"Sì... però, ecco, se tu potessi... come dire -"
"No."
"Okay."
Scoppiarono a ridere come due imbecilli.
Hermione decise che baciarlo di nuovo era decisamente la cosa migliore da fare; Ron non parve avere intenzione di dissentire.
Iniziò a trasportarla verso la camera da letto, senza lasciarla andare.
"Credo che dovremmo discutere i dettagli dell'accordo più approfonditamente."
"Concordo," convenne la donna, mentre Ron apriva la porta della loro stanza con un calcio ben assestato.
"Che bello quando andiamo d'accordo."
"Ma anche quando litighiamo non è male," fece notare lei.
Lo schianto seguente, avvisò entrambi che erano chiusi dentro.
"E' vero," dovette concederle lui, "ora però voglio testare quanto andiamo d'accordo," dichiarò, buttandola sul letto senza troppe cerimonie. La osservò per un lungo attimo prima di mettersi a ridere, "con questo accappatoio sei uno schianto, baby."
"RON!"
"Okay, non ti chiamo più baby... baby," scoppiò a ridere senza nessun motivo apparente, ed Hermione lo fulminò con lo sguardo.
Lo afferrò per la maglia, strattonandolo verso di sé, "passiamo alle cose serie, per favore?"
Il rosso le stampò un bacio sulle labbra, "certo."
Hermione sorrise contro la sua bocca, "e... senti... per quella foto non c'è d -"
"NO!"
"Okay, okay."
Non avrebbero parlato molto, quella sera.