Titolo: Living On Ecstasy
Series:
She is electric, can I be electric too?Fandom: Heroes
Personaggi: Elle Bishop, Sylar [menzione di Bob]
Pairing: Sylar/Elle
Rating: PG
Parole: 1296 (W)
Prompt: 4. Le vecchie abitudini sono dure a morire @
syllablesoftimeWarnings: One-Shot, post-Powerless, Villains hints/speculation.
EFP:
LINK.Riassunto: Avrebbe passato ore a guardarlo senza dire niente.
Tabella:
TABELLA. Note.
- Scritta anche per il prompt Interiorità @
fanfic100_ita {
Tabella}.
- Non betata, se ci sono errori, ditemelo! Thanks!
Living On Ecstasy.
One heart angel
One cool devil
Your mind on the fantasy
Livin on the ecstasy
Give it all, give it,
Give it what you got
Come on give it all a lot
Pick it up move it
Give it to the spot
Your mind on fantasy
Livin on ecstasy
Rock N'Roll Train (AC/DC)
C'era qualcosa nell'odore della sua pelle, che riusciva a rassicurarla.
Le piaceva osservarlo mentre si muoveva per la stanza, silenziosamente. Non faceva alcun rumore: i suoi piedi sfioravano appena la moquette. Sembrava quasi che non la toccassero affatto.
Le sue mani, poi, parevano avere una coscienza propria. Toccavano gli oggetti, aprivano giornali, accarezzavano pareti, e strumenti che Elle non sapeva riconoscere.
Il pensiero che fosse proprio con quelle che uccideva, che immobilizzava le sue vittime prima di scoperchiare loro la testa, la faceva rabbrividire.
Ma non era una sensazione spiacevole... la rendeva eccitata e spaventata allo stesso tempo. Un qualcosa di adrenalinico che le incatenava lo stomaco in una morsa gelida e bollente allo stesso tempo.
Avrebbe passato ore a guardarlo senza dire niente.
Era come se la lingua le si attaccasse al palato quando lui era nei paraggi.
Si dimenticava tutti gli insulti che aveva preparato appositamente per lui la sera precedente, offese su cui si era diligentemente spremuta per tutta la notte.
Accostava termini taglienti, e studiava il modo in cui avrebbe dovuto rivolgerglieli.
Era sua prigioniera, era vero, ma nessuno le impediva di essere un ostaggio fastidioso.
Tutto quello che Elle voleva fare, era scuoterlo. Scuoterlo, costringerlo a guardarla, e a toccarla così come faceva con qualsiasi altro oggetto della stanza.
Si mordeva la lingua tutte le volte che quelle riflessioni sfociavano in qualcosa di estremamente sbagliato.
Ma c'era il suo odore ovunque, e le sue mani nella sua testa, e lei detestava non essere guardata.
Avrebbe dato chissà cosa per sentire la sua voce.
Vicino al suo viso.
Di nuovo.
*
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò i suoi - neri, profondi, bui - piantati nei propri.
Il cuscino era scomodo e si era fastidiosamente appiattito sotto la pressione del suo capo.
Le sue mani erano ancora legate l'una all'altra e i polsi le facevano male.
C'era qualcosa, in quello sguardo, che la metteva terribilmente a disagio. Era come se riuscisse a trapassarla, a vedere oltre, a scavare sotto tutti quegli strati di incomprensione e odio e insicurezza, fino ad arrivare ad Elle.
Quella vera, quella che voleva essere, quella che era.
Si sentiva vulnerabile.
Voleva dirgli di andarsene per sempre, o di ucciderla una volta per tutte.
(L'idea che fosse il suo viso - i suoi occhi, la sua bocca, la sua barba sfatta - l'ultima cosa che avrebbe visto, non le dispiaceva affatto.)
Si rese conto di essere come di fronte ad uno specchio.
Si rivedeva in quelle pozze di pece che nascondevano e proteggevano Gabriel Gray, e benché le sue iridi fossero così chiare e limpide, sapeva benissimo che il marcio che celavano era torbido e nauseante e orrendo.
Per un attimo l'idea di essere se stessa le sembrò così semplice, così immediata... perché fingere?
Lui già vedeva, che differenza avrebbe fatto?
Socchiuse gli occhi, impedendogli di arrivare fin dove nessuno era mai stato. Perché lei non voleva, perché non aveva il coraggio di farlo, perché non ne aveva l'intenzione, perché allo stesso tempo supplicava che un giorno, qualcuno, sarebbe stato in grado di scavare, e trovarla e scoprirla e dire di conoscerla.
Nemmeno suo padre poteva dire di averlo fatto. Sebbene tentasse di convincersi del contrario, Elle sapeva che non gli interessava.
Era un'arma, era mortale, era solo uno strumento. Uno strumento che suo padre amava e di cui necessitava.
Sussultò impercettibilmente quando le mani di Sylar scivolarono sul suo collo, proprio come quando l'aveva fatta bere.
Le solleticarono il collo e andarono ad incastrarsi tra i suoi lunghi capelli biondi, serrando la presa, quasi avesse avuto paura di vederla scivolare via.
Era come se le stesse dicendo: ti ho presa e non ti lascio andare per niente al mondo.
Tenne chiusi gli occhi, perché non voleva vedere e non voleva essere vista, ma non si mosse.
E poi sentì le sue labbra sulle proprie. Proprio come era successo con Peter... ma stavolta, stavolta c'era qualcosa di profondamente diverso.
Sbagliato.
Peter stava soltanto cercando di distrarla, di approfittare della sua ingenuità per poter scappare.
(Era una mancanza che suo padre non gli aveva ancora perdonato.)
La sua bocca era perfetta e le sue labbra morbide.
La barba le pungeva le guance, ma non ci fece caso perché la sensazione era troppo piacevole.
Tentò di soffocare l'impazienza e la paura di averlo così vicino, sforzando di rilassarsi e calmarsi.
Chiuse le mani a pugno, l'una sull'altra, dischiudendo le labbra contro le sue, come aveva visto fare nei film.
Le sembrò di non aver mai fatto fino ad allora.
La sua lingua le sfiorò le labbra e poi toccò la sua.
Trasalì bruscamente, quasi avesse preso la scossa, ma sapeva benissimo che stavolta lei non c'entrava niente, che il suo potere non era stato chiamato in causa, che era lui e nessun altro.
Si sporse maggiormente verso di lui, maledicendo i lacci che le immobilizzavano le mani: voleva toccarlo, voleva avvicinarlo, voleva sentire se i suoi capelli erano morbidi e soffici quanto la sua bocca.
Sylar l'afferrò per la vita, strattonandola contro di sé, facendo aderire i loro corpi con un gesto deciso.
Poteva sentire il suo cuore battere in corrispondenza del suo, e le sue dita tremare contro il suo collo e i suoi fianchi, là dove ancora la toccava.
La baciò a lungo, quasi volesse avere tutto e subito.
Il suo sapore si mischiava al suo, il loro respiri pesanti si fondevano, i loro nasi si sfioravano, in un incastro perfetto.
Si scostò solo per un attimo e Elle desiderò ardentemente che non l'avesse fatto.
Voleva che ricominciasse da capo, voleva che riprendesse a stringerla in quel modo, che le facesse scordare come ci si sentiva ad ostinarsi ad essere qualcuno che non sei.
La figlia del capo, la sociopatica, la psicopatica, la punta di diamante della Compagnia.
Non era niente di tutto ciò, era solo Elle, e avrebbe dato chissà cosa perché qualcuno - finalmente - se ne accorgesse.
Sentì il suo respiro solleticarle le labbra arrossate, e il suo sapore invaderle la bocca.
"Elle," mormorò il suo nome quasi fosse sempre stato là, sulla punta della sua lingua, pregando di poter uscire.
Non disse niente.
Avrebbe voluto, ma i muscoli del suo viso sembravano essere immobili.
"Elle," ripeté ancora, in un debole sussurro. La sua voce suonava così lontana e morbida e... debole.
"Elle."
Ancora. Mentre qualcosa sembrava scuoterla per trascinarla via da quel calore rassicurante.
"Elle."
*
"Elle."
La colpì alla spalla con una mano, sperando che avrebbe finito per aprire gli occhi una volta per tutte.
La vide sussultare, e spalancarli di colpo. Non sapeva dire se si sentiva sollevato o spaventato o solamente perplesso.
Magari tutte e tre.
Aveva un'espressione strana sul viso, quasi di placido appagamento. Si chiese cosa stesse sognando per renderla così soddisfatta e tranquilla.
"Credevo fossi morta," la prese in giro, rimettendosi dritto, aggirando nuovamente il letto.
Era tempo di muoversi. Proporre lo scambio.
Elle in cambio di Bob. Sempre di Bishop si trattava, che differenza avrebbe fatto? Suo padre avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, per riaverla indietro, e Sylar se ne sarebbe approfittato.
"Che diavolo -," borbottò lei, rimettendosi seduta sul materasso, troppo morbido per essere comodo.
Tentò di muovere la mani, ma si rese conto di averle ancora saldatamente immobilizzate l'una contro l'altra.
"Stavi dormendo," tagliò corto Sylar, "ed è tempo di alzarsi Bella Addormentata," la apostrofò, rivolgendole un'occhiata divertita.
Lo fissò con disprezzo, sebbene avvertisse ancora quella piacevole sensazione allo stomaco.
Si era immaginata tutto. Di nuovo.
Ricadde all'indietro sui cuscini, più esausta che mai.
Era successo con Adam, poi con Peter, e adesso con Sylar.
Sbuffò sonoramente, maledicendosi per la propria stupidità.
Le vecchie abitudini, pensò, sono dure a morire.