[Fanfic - House MD] Gift per el_defe

Dec 01, 2011 13:57

Gift for: el_defe
Title: Little Red Riding Whatever
Author: Secret Santa
Beta-Reader: io stessa /o\
Fandom: House MD
Pairing/Characters: Robert Chase/Gregory House
Rating: PG
Warning: slash, vago linguaggio, House
Word Count: 1136 (OOo)
Summary: È per un’insensata smania di riscrivere le favole, all’inizio; perché House è il lupo cattivo, scorbutico e furbo ed egoista e affamato, e Chase, col suo accento e i suoi occhi chiari, Chase quanto è facile immaginarselo vestito d’azzurro, in sella ad un cavallo candido?
NdA: Il recipient chiedeva una PWP (with or without plot), e mi addolora tantissimo dover lasciare entrambe le P, - p0rn e plot, - alla fantasia del lettore /o\ Già così ho sudato sangue a gestire House (devo chiaramente scriverlo più spesso! *ride*), e piuttosto che sfondare la caratterizzazione ho preferito andarci coi piedi di piombo sul resto.
IN COMPENSO PERO’, cosa che spero basterà a farmi riguadagnare un po’ di karma, ho combinato una serie di cosi, delle grafiche scaricabili qui che raccontano una sorta di storia parallela. (Why yeah, volevo fare un fanmix ma a quanto pare la mia concezione del Chouse non trova espressione in nessuna canzone conosciuta all’umanità) La cosa più divertente è che probabilmente sono più IC i blend che la fic.

È per un’insensata smania di riscrivere le favole, all’inizio; perché House è il lupo cattivo, scorbutico e furbo ed egoista e affamato, e Chase, col suo accento e i suoi occhi chiari, Chase quanto è facile immaginarselo vestito d’azzurro, in sella ad un cavallo candido?

Perciò, all’inizio è così, una sciocchezza.

Chase, poi, lascia che l’ossessione gli metta le radici nel petto per la stessa ragione per cui, in quell’altra vita, mordeva i grani del rosario finché quelli non gli si spezzavano tra i denti: perché si annoia, e perché è curioso di scoprire quanto ancora può continuare, prima che qualcuno se ne accorga.

Se Chase glielo spiegasse, se, a metà di una qualsiasi delle mattinate pigre e plumbee in cui non hanno un caso su cui lavorare, Chase si presentasse nel suo studio sempre un po’ troppo freddo e gliene parlasse, House capirebbe - capirebbe la noia, soprattutto. Capirebbe anche la curiosità, se gli riuscisse di prestare attenzione a qualcosa, di Chase, che non siano le sue labbra, le sue mani, l’onda dorata dei suoi capelli.

Non succede mai, e Chase se ne accorge, lo sa; ha quasi imparato a leggere l’ego di House, a forza di tenergli gli occhi incollati addosso, e a forza di osare un po’ in più - alzando una mano senza sapere la risposta, sorridendogli succhiando una penna, guardandolo da sotto le ciglia, - e di temerlo un po’ di meno - azzardando diagnosi e dandogli ragione in uno schiocco di dita e fidandosi di lui, - di quanto non facciano Cameron e Foreman.

Non è che ci sia molto altro da fare, si giustifica con se stesso. Lavorano insieme, in fondo, o meglio: Chase lavora per House, e tutti e due, per la maggior parte del tempo, non lavorano affatto; e House, comuque, quando tutto manca, perlomeno è un affascinante caso clinico.

È un interesse - annoiato, costretto, - poco più che scientifico, si dice Chase, certi giorni, e tutti gli altri soltanto si butta sul divano ogni sera, chiude gli occhi e si addormenta. Non gli dà fastidio, sotto la schiena, il rigonfiamento un po’ duro del telecomando dello stereo, sepolto in mezzo ai cuscini.

È un principe strano, Chase, e House è un lupo fin troppo affamato, fin troppo furbo.

Si presenta da lui, un giorno, una sera, e Chase - la paziente era affetta da una tale accozzaglia di patologie che, dopo averli tenuti lì per tre turni di sedici ore tutti di fila a fare un centinaio di analisi una più inconcludente dell’altra, per venirne fuori House ha avuto bisogno di un pomeriggio intero a far rimbalzare la sua maledetta palla contro la parete dello studio, - è così abituato a vederselo ronzare attorno che non ci trova niente di strano.

Spalanca la porta e gli volta le spalle, il divano è lì che lo aspetta e lo tenta, ma House ha intenzioni diverse. House ha sempre intenzioni diverse.

Gli infila il bastone tra le caviglie, e Chase è troppo assonnato, esausto e comincia ad essere persino un po’ incazzato per poter avere anche solo voglia di mantenere l’equilibrio. Inciampa, ruzzola a terra. Il dolore gli risale come una scarica elettrica dalla base della spina dorsale, e lui soffia, offeso, come un gatto.

«Sei impazzito?» dice, strizzando gli occhi contro la luce improvvisamente troppo forte del lampadario. House chiude la porta con un calcio sorprendentemente fluido - chissà quanto Vicodin s’è già calato, - e zoppica tranquillo fino al divano, scavalcando Chase senza neppure guardarlo. Appoggia il bastone allo schienale, si sfila la giacca. Ha addosso la stessa maglietta verde ramarro che portava in ospedale, il che non è una sorpresa.

«Non ce l’hai un appendiabiti?» domanda, decidendosi infine ad abbassare gli occhi - un po’ sgranati, la pupilla una macchia scura e ben visibile contro l’iride azzurra, - su Chase e sollevando le sopracciglia, in attesa.

Chase, ancora un po’ intontito dalla caduta, scuote la testa.

«Da quando ti interessano gli appendiabiti?» brontola, dopo un momento, e si rialza un po’ a fatica. Voleva soltanto dormire, dieci minuti fa, ma ora House è in casa sua, t-shirt di pessimo gusto e jeans sdruciti e scarpe da ginnastica e bastone e occhiaie e tutto, e Chase si è appena ricordato che, nella favola, è il cacciatore che uccide il lupo. Il principe non c’è, e probabilmente, se ci fosse stato, avrebbe fatto pure lui una brutta fine, spada e armatura e principi morali e capelli biondi.

House, intanto, ha dato uno sbuffo e ha gettato la giacca su un tavolino già ingombro di scartoffie, libri, custodie vuote di DVD.

«Non m’interessano, ma volevo sottolineare le tue incapacità di arredatore d’interni,» dice, lasciandosi cadere senza grazia sul divano. Chase rimane lì, accanto al bracciolo, a guardarlo piegarsi in avanti a prendere il telecomando della televisione, e poi afferrarsi la gamba ferita con due mani e sollevarla per piazzare i piedi sul suo tavolino da caffè.

House fa zapping un po’ a caso tra i canali, e alla fine si ferma su una soap opera portoricana. La protagonista ha una scollatura vertiginosa e gli occhi verdi, ma neppure lei gl’interessa più di Chase, che sta ancora lì, congelato per la sorpresa e forse un pochino per l’orrore.

House, comunque, non dà il minimo segno della divertita curiosità che lo tiene inchiodato a quel divano, gli occhi incollati allo schermo extralarge di fronte a lui. Chase sospira.

«Vuoi una birra?» chiede, e senza neanche aspettare una risposta s’avvia in cucina. Ne riemerge un momento dopo, con due bottiglie stappate e imperlate di brina, e mentre si siede educatamente accanto ad House gliene porge una - quella da cui ha già rubato un sorso, di là, schermato dietro l’anta del frigorifero.

Nemmeno la sente, la battuta inevitabile sulle bionde naturali che House gli scodella subito dopo, perché se l’aspettava, e non gli interessa. Incrocia le caviglie sul tavolino, piuttosto.

«Nessuno ti impedisce di controllare,» dice, e il tono distratto che ha non avrebbe ingannato nemmeno un bambino, ma forse basta per House, che è sempre così felice quando può fare l’acrobata sul filo di cose non dette e permessi dati a metà. Lo guarda da sotto in su, un angolo delle labbra che si arriccia in un sorriso quasi malizioso. House gli si avvicina talmente tanto che, per un momento, Chase ci crede davvero, che voglia baciarlo.

«Non sei abbastanza ubriaca, Dorothy, o minorenne,» bisbiglia, invece, e a Chase sfugge uno sbuffo contento, quasi una risata, ed è un bacio, più o meno, tanto quanto la smorfia che per un attimo spezza il viso di House è un sorriso.

Chase beve un sorso di birra. Alla sobrietà si può rimediare facilmente, e, nonostante i suoi trent’anni, è piuttosto sicuro di essere ancora tenero, buono abbastanza per un lupo cattivo.

warning: linguaggio, warning: slash, pairing: robert chase/gregory house, - fanfic, rating: pg, recipient: el_defe, fandom: house md

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