[Fanfic - RPF Calcio] Gift per innocence8

Dec 26, 2011 15:57

Gift for: innocence8
Title: I just wanna make love to you
Author: Secret Santa
Beta-Reader: nada
Fandom: RPF Calcio
Pairing/Characters: Sergio Ramos/Fernando Torres, Steven Gerrard/Xabi Alonso
Rating: PG
Warning: Slash, (vago) angst
Word Count: 2471 (WCT)
Summary: Stavano parlando di Spagna e compagni di squadra, cene tra amici e magliette sporche d’erba, quel pomeriggio dopo gli allenamenti. Stavano parlando e Fernando doveva aver fatto una faccia davvero molto strana, perché subito Steven l’aveva guardato, con l’espressione pensosa di chi sa cosa sta succedendo, e gli aveva detto di andare con lui.
NdA: Innanzitutto buon Natale, perchè alla fine era quello lo scopo dell’iniziativa, no? XD In secondo luogo, scusa se non sono riuscita a trattare il prompt o gli avvertimenti come avresti voluto. Sarebbe potuto venire fuori qualcosa di meglio magari, ma io spero che alla fine sia un regalo accettabile. Forse ci sarà anche qualche errorino, ma io ce l’ho messa tutta per evitare che questa tastiera sdreusa scriva “ance” al posto di “anche” e simili ç_ç Perdonami in anticipo, se dovesse succedere qualcosa del genere. Altro? Umh, buona lettura e ancora buon Natale! :D

All I want to do is wash your clothes;
I don’t want to keep you indoors
There is nothing for you to do
But keep me makin’ love to you

Stavano parlando di Spagna e compagni di squadra, cene tra amici e magliette sporche d’erba, quel pomeriggio dopo gli allenamenti. Stavano parlando e Fernando doveva aver fatto una faccia davvero molto strana, perché subito Steven l’aveva guardato, con l’espressione pensosa di chi sa cosa sta succedendo, e gli aveva detto di andare con lui.
Per quel motivo adesso erano lì, ricorda distrattamente lo spagnolo con una bottiglia di birra in mano. È un po’ brillo, ma riesce ancora a capire quello che Steven gli sta raccontando, il tono allegro e nostalgico, un po’ stanco. Anche il capitano è brillo, altrimenti non parlerebbe così liberamente di tanti argomenti, ma è decisamente cosciente di ciò che sta dicendo, anche con più alcool in corpo di quello che Fernando potrebbe solo pensare di riuscire a reggere. Dopotutto è risaputo che Steven Gerrard e le birre hanno una relazione stupenda da circa… sempre. Non per niente il capitano è fiero di portare la scritta Carlsberg sul petto un giorno no e trenta sì.
Proprio di scritte sta parlando in quel momento mentre tiene ferma sul bancone la sua bottiglia, neanche fosse in grado di alzarsi e scappare all’improvviso verso un posto tipo Madrid. Fernando è seduto di fronte a lui e con un’espressione vagamente confusa cerca di seguire il filo del discorso, che ora si è sposato su argomenti più gravosi. Per l’esattezza la tonalità di rosso che le maglie della nazionale spagnola dovrebbero avere.
« Stevie, scusa se ti interrompo, ma come siamo arrivati a questo punto? » chiede allora Nando, aggrottando le sopracciglia e guardando il suo compagno. Steven si blocca e, a bocca aperta, cerca di ricordare quale fosse l’argomento precedente, ma l’unica cosa che gli viene in mente è il colore delle magliette della sua squadra, il logo della Carlserg impresso sulla stoffa e il numero quattordici scritto a caratteri cubitali, giusto per non rischiare di confondersi. Allora capisce da dove esattamente è partito non solo il discorso, ma l’intero racconto che sta sciorinando a Fernando. Sospira abbassando lo sguardo.
« Nando, perché voi spagnoli parlate con queste fottute “esse” sibilanti? » chiede poi, prendendo un altro sorso di birra. Fernando lo guarda, aggrottando la fronte.
« Eh? »
Non riesce davvero a immaginare come il rosso possa essere collegato con le “esse” degli spagnoli, davvero non ce la fa. Forse Stevie ha bevuto troppo.
- Dai amico! Le vostre “esse” tutte strascicate e strane. Non farmi trovare altri aggettivi che li ho finiti. - cerca di spiegare il capitano, ma tutto quello che ottiene è l’espressione ancora più confusa del suo compagno. Allora Steven sbuffa, esasperato.
« Le “esse” di Xabi… » dice a voce più bassa, per poi attaccarsi di nuovo alla bottiglia. E finalmente Fernando capisce. Apre la bocca per iniziare a dire qualcosa, neanche lui sa esattamente cosa, ma l’altro lo interrompe prima che possa emettere il più piccolo suono.
« La prima volta che Xabi ha detto quella “esse”, ho pensato che non sapesse parlare. Voglio dire, che avesse qualche problema di pronuncia o che balbettasse o Dio solo sa cosa. Era davvero troppo strano, non avevo mai sentito nessuno parlare così. »
Fernando beve e guarda Stevie prendere l’ennesimo sorso, pensando che forse dovrebbero smetterla di innaffiarsi a quei livelli, visto che non è molto normale tenere un comizio sulla pronuncia della “esse” made in Xabi Alonso. No, non è una corsa normale, ma un po’ per la birra e un po’ perché stanno parlando di argomenti delicati, Nando non può far altro che pensare alla prima volta che lui ha sentito la voce di Sergio. Gli sembrano passati secoli e il ricordo è anche un po’ sfocato, come una foto consumata in una cornice vecchia e sporca.
Era successo nel tunnel degli spogliatoi, durante l’intervallo della partita contro il Siviglia. Partita che stavano perdendo per uno a zero e in cui stava giocando non male, di più. Nando era poggiato al muro con gli occhi chiusi, cercando di tenere alta la concentrazione mentre si incazzava per quel dannatissimo goal che non serviva né a lui, né alla squadra, né ai tifosi, né al povero disgraziato che aveva scommesso sull’Atletico e avrebbe perso i suoi miseri - neanche tanto - duecento soldi a causa sua. Proprio in quel momento era passato accanto a lui Sergio, che all’inizio non l’aveva calcolato neanche più di tanto, contento e sorridente per la propria prestazione, ma poi aveva fatto retrofront. Quello era l’attaccante che doveva fermare anche a costo di perdere entrambe le gambe e qualche capello, così aveva iniziato a fissarlo.
« Ehi, riccioli d’oro, non avrai intenzione di addormentarti qua? » gli aveva detto allegramente. Nando allora aveva aperto gli occhi con tutta l’intenzione di mandarlo al diavolo per il soprannome che gli aveva appena affibbiato, ma quando si era trovato davanti quelle iridi tanto gentili e vivaci… non se l’era sentita. Era rimasto zitto a guardarlo, immobile, atono. Sergio aveva sorriso di più e gli aveva dato un leggero schiaffetto sulla guancia.
« Ci vediamo fuori. » gli aveva detto, prima di allontanarsi lungo il tunnel e scomparire nel suo spogliatoio. Nando era rimasto lì fino al nuovo fischio dell’arbitro.
Quella partita alla fine l’avevano persa, ma Nando era tornato a Madrid con il sorriso sulle labbra. Quel “fuori” infatti non era riferito solo al campo, e Sergio si era dimostrato un ragazzo davvero simpatico quella sera, oltre che un difensore fortissimo. Chissà, magari avrebbero condiviso la maglia della nazionale maggiore, un giorno…
I pensieri dello spagnolo vengono interrotti dal suono sordo e potente della bottiglia di Steven contro il legno del bancone. Sobbalza leggermente, guardando il suo capitano che è scoppiato a ridere per un qualche motivo segreto.
« Ehi ragazzo, ce ne porti altre due? » chiede al barista che sta passando in quell’istante e che, con una faccia seccata, esegue l’ordine un po’ controvoglia. Pare che gli torni vagamente il buonumore quando poi Fernando gli sorride comprensivo: non dev’essere bello ricevere ordini da un inglese abbastanza ubriaco. O almeno è quello che Steven sembra essere.
« Dai Nando, tutta d’un sorso quella. » lo incita, indicando con un cenno della testa la bottiglia mezza vuota che lo spagnolo ha ancora in mano. Fernando ridacchia e beve un altro po’, ma non la finisce. Al che Steven si altera un pochettino.
« Cazzo Nando, voi spagnoli siete leeenti! » sbuffa, prendendo un’altra bella sorsata.
« Cosa c’entrano adesso gli spagnoli, Stevie? »
Sospira. I collegamenti del suo capitano sono già abbastanza complicati da intuire normalmente, figuriamoci quando ha in corpo quelle due o tre bottiglie d’alcool.
« Certo che c’entrano! Xabi è spagnolo, no? Sì, Xabi è spagnolo. »
Nando annuisce, poi finisce la sua birra. E certo che c’è di mezzo Xabi, quando mai non c’è di mezzo Xabi? Se si tratta di Steven che parla di Spagna, si tratta anche di Xabi. In effetti si tratta di Xabi anche quando Steven non parla di Spagna.
« E quindi? » chiede, spronando l’amico a cominciare l’ennesimo racconto.
« Niente. Anche Xabi era lentissimo a bere. La prima volta che è venuto a casa mia, per bere una birra ci ha messo tutta la serata. Io ero arrivato alla terza, ma solo perché c’erano le bambine e non potevo esagerare. » dice, poi prende un altro sorso e Nando lo imita.
Sergio non era lento a bere, pensa. Sergio era veloce, in tutto. La prima volta che lui era andato a casa sua, si era stupido di trovarla perfettamente ordinata. Si era appena trasferito, certo, ma gli sembrava davvero strano per un tipo come Sergio.
« Hai messo tutto a posto negli ultimi cinque minuti, sì? » aveva chiesto, senza rifletterci troppo su. Non si era mai preoccupato di quello che potesse pensare di lui Sergio, in quell’annetto in cui si erano sentiti spessissimo. Aveva sempre avuto l’impressione che qualsiasi cosa avesse detto o fatto, a lui sarebbe andata bene, anche troppo per conoscersi così poco.
Sergio aveva riso, chiudendo la porta dietro di sé.
« Uno a zero, hombre. Dammi la giacca. »
Fernando aveva eseguito sorridendo, poi aveva iniziato a guardarsi intorno curioso, come se stesse pensando al metodo migliore per sfruttare quella casa. Quando Sergio era tornato da lui e l’aveva visto aggirarsi in quel modo e osservare ogni minimo dettaglio, aveva sorriso. Era rimasto fermo sullo stipite della porta che collegava cucina e soggiorno, senza dire una parola. Quando finalmente Nando si era accorto di lui, era arrossito leggermente.
« Non vai girando a vuoto per le case di tutti i tuoi amici, vero? » aveva chiesto Sergio, ridacchiando.
« Stavo cercando di capire dove hai appeso il mio poster gigante, Ramos. » aveva ribattuto Nando, complimentandosi con se stesso per la prontezza di spirito. Anche Sergio era rimasto spiazzato.
« Provvederò subito a farmene recapitare uno, signore. Ora se vuole seguirmi, vedrò anche di non farla morire di fame. » e con un inchino gli aveva mostrato la porta da cui era appena entrato. Nando aveva sbuffato, ma poi si era degnato di seguire le sue indicazioni con un sorriso.
Avevano mangiato, scherzato, riso, commentato le ultime sul mercato, parlato, bevuto. Un bel po’ di tutto quanto. E Nando ricorda che Sergio non era lento a bere, proprio per niente.
Quando avevano finito, non gli aveva permesso di toccare neanche un misero cucchiaino.
« Che non si dica in giro che Sergio Ramos non tratta bene i suoi ospiti vip! » aveva detto per giustificare il suo comportamento, ma Nando si era sentito molto più di un ospite vip quel giorno. Non solo gli aveva preparato un pranzo da re - e chi si sarebbe mai aspettato che Sergio sapesse anche cucinare? - ma non gli aveva fatto muovere un muscolo più del necessario, neanche fosse reduce da un terribile infortunio.
« Sergio, guarda che non mi offendo mica se mi fai prendere un bicchiere d’acqua da solo. » gli aveva detto a un certo punto, ma l’altro lo aveva guardato con uno sguardo strano e gli aveva sorriso.
« E’ casa mia e decido io. Non c’è niente da fare qui per te, Niño. » gli aveva risposto. E quindi Nando aveva eseguito, come sempre. Con una bella ciotola di pop corn in mano, spaparanzato sulla poltrona grande e comoda, aveva visto con Sergio un film a caso di cui non ricorda assolutamente niente. Era troppo concentrato a sentirsi un re per badare a quello. Era troppo concentrato a sentirsi… importante.
« Quella è stata proprio una bella serata. » dice Stevie, riportandolo al presente. Nando prende un altro sorso di birra, tanto per schiarirsi un po’ le idee e sintonizzarsi sul discorso del suo capitano. Se fosse più lucido, forse si fermerebbe a pensare che è un po’ strano che lui ricolleghi ogni parola che Steven spende su Xabi, a Sergio. Forse capirebbe anche che c’è un perché se non lo fa quando parla di Jaime. Forse ci rifletterebbe un po’, anche solo qualche secondo, se fosse sobrio. Ma non lo è, quindi non si preoccupa assolutamente di niente e torna ad ascoltare l’inglese.
« Alex non c’era e Xabi per far divertire le piccole aveva iniziato a cantare una strana canzoncina in spagnolo. Faceva più o meno… Ah, non lo ricordo come faceva. Però doveva essere divertente. Avevano riso tutto il tempo. » dice Steven, senza accorgersi che Nando ha ricominciato ad ascoltarlo solo adesso.
« Si divertivano a giocare con lui. Lexie e Lily mi chiedono sempre quando tornerà zio Xabi. Che gli posso rispondere io? Ho tanti di quei disegni a casa... Pensi che dovrei mandargliene qualcuno, eh Niño? Forse sì, così non si dimenticherà subito di noi… »
Di me. Non lo dice, ma Nando lo sente come se glielo stesse urlando addosso.
La sua voce adesso è seria, un po’ strascicata magari, ma la tristezza che Fernando riesce a percepire non può avere niente a che fare con la sbronza.
« Stevie… Ti manca Xabi? » gli chiede, senza capire il perché. E’ ovvio che gli manchi, cavolo! Lo capiscono anche i tubi dell’acqua sotto le strade, perché allora gliel’ha chiesto?
Il capitano, d’altra parte, resta zitto. Per la prima volta in tutta la serata non apre bocca e guarda fisso davanti a sé. Forse è rimasto spiazzato dalla domanda, o forse dal fatto che sia proprio Nando a fargliela. Non dice nulla, ma alza la bottiglia verso di lui.
« A chi ci dà una scusa per bere come turchi. »
Lo spagnolo annuisce, colpendo il vetro della bottiglia con la sua, poi prende il sorso più lungo di tutta la serata. Con un cenno della testa Steven chiede altre due birre, le ultime due spera Fernando, perché non vuole rischiare di svenire sullo zerbino di casa sua.
« Turchi… oh cazzo… » dice Steven sottovoce, scuotendo la testa e prendendo l’ennesimo sorso.
« Cosa? » si incuriosisce Nando. Adesso avrà qualcosa da raccontare anche sui turchi?
« Istanbul… » si limita a rispondere l’altro, ma Nando non capisce e fa una smorfia confusa, una di quelle che gli riescono tanto bene. Sospirando, l’inglese si decide a raccontare anche quell’ultima avventura.
« A Istanbul è successo tutto per la prima volta. Il Milan, Orecchie Grandi, la rimonta… E’ successo tutto a Istanbul, in Turchia. Quella è stata la notte più bella della vita. E penso che lo sarà anche della sua… » e, in onore di quel ricordo, decide di scolarsi tutto quello che gli resta da bere in un solo sorso.
Fernando resta immobile, lo sguardo fisso oltre una spalla del compagno e le nocche quasi bianche, tanto sono strette intorno al collo della sua bottiglia.
La sua prima volta non è stato nulla di troppo particolare. Niente coppe, niente rimonte incredibili, niente urla di tifosi innamorati della tua squadra nelle orecchie. Semmai piccoli sussurri scappati dalle labbra di qualcuno che, forse solo per sbaglio, si è detto innamorato di te.
Fernando vorrebbe ricordarla meglio, vorrebbe poter conservare nella mente più di qualche immagine, qualche tocco più profondo degli altri, qualche gemito un po’ più forte. Vorrebbe riuscire a sentire ancora la consistenza dei capelli di Sese tra le dita, il profumo della sua pelle. Vorrebbe ricordare meglio la sfumatura che aveva negli occhi Sergio quando gli aveva detto di voler solo fare l’amore con lui.
Vorrebbe, soprattutto, poter dire che quella fu l’unica volta, e fu senza significato. Sa bene, però, che non è così. E come sarebbe potuto essere altrimenti?
Quando una persona dimostra di conoscerti tanto a fondo, di capire chi sei e come stai solo dal tuo modo di camminare, di parlare, di trattare la tua ragazza, come fai a rimanere impassibile?
Quando una persona dice di voler fare tutto ciò che è in suo potere per vederti felice, solo sempre ed esclusivamente felice, come fai a non desiderare di ringraziarla in ogni modo che conosci?
Quando una persona ti ama in un modo così totale e completo, dal primo sguardo che avete scambiato, come fai a non innamorarti anche tu un po’ di lei?

rating: pg, warning: angst, recipient: innocence8, warning: slash, - fanfic, fandom: rpf calcio, pairing: steven gerrard/xabi alonso, pairing: sergio ramos/fernando torres

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