un paio di pensieri nati in piena notte

Nov 20, 2008 23:30

Pioveva la prima volta che l’ho vista.
Il suo ombrello rosso sembrava l’unica chiazza di colore in quella città, riflesso nelle pozzanghere tutte uguali, come una ferita tra il grigiume dei palazzi tormentati dalla pioggia, frustati dal vento.
Me la immaginai come una di quelle cartoline che si mandano a San Valentino, quelle in bianco e nero, in cui solo una rosa ha mantenuto il suo colore. E chi sarebbe così folle da dire di no ad un fiore donato, nel mezzo di un autunno freddo come questo?
La seguii.
Lei camminava piano, quasi cauta. Io la guardavo in silenzio, dal marciapiedi di fronte, seguendo i suoi passi lentamente, uno dopo l’altro, quasi avessi paura di scoppiare una bolla di sapone troppo fragile.
Avevo avuto una meta prima di incontrarla? Un luogo dove andare, un destino da assecondare?
Forse, ma adesso la mia destinazione era Lei, poco importava dove conducesse quel cammino o che fosse folle seguire quell’unica ciocca di rame che sfuggiva dal cappello. Non sarebbe bastato il Fato, l’idea della mia solita vita, di quei fogli tutti uguali che, inesorabili, giorno dopo giorno, si spargevano atterra attorno al calendario, coi loro numeri scuri come sangue rappreso. No, non bastava quello per fermarmi. Nulla poteva allontanarmi da quei pantaloni ormai inzuppati, da quel cappotto stretto sui fianchi.
Ancora quel passo lento, pigro, come se Lei avesse finalmente capito che era il mondo a doverle qualcosa, e non il contrario.
I palazzi, la pioggia, immutabili intorno a Lei, tranquilla, mentre la gente scorreva troppo rapida, le passava accanto come in un film troppo veloce di cui era la protagonista, intrappolata in un fotogramma a rallentatore.
Non la persi di vista mentre i graffiti sui muri perdevano colore al suo cospetto, sbiaditi dal tempo, dall’esistenza, sporchi contro l’ombrello rosso, contro i capelli di rame.
La seguii tra gli alberi dei viali, mostruosi come scheletri scossi dal vento nelle false tenebre del temporale.
Continuò per strade sconosciute, tra persone la cui pelle di colori diversi diventava tutt’uno sulla tavolozza dell’abitudine.
La persi di vista solo un attimo, proprio lì, davanti alla vetrina di quella pasticceria, a quegli odori, a quei sapori, dati per scontati fino a dimenticarne la dolcezza.
Un istante senza di Lei su quel marciapiedi e il mondo sembrò tornare alla sua velocità, ai suoi rumori, quelli di sempre, di chiacchiericcio e di sirene, di vento e di animali. Ma come poteva quel sempre, quel grigio, avere un senso, ora che avevo visto come Lei fosse in grado di fermarli, di adattarli al suo scalpiccio nelle pozzanghere?
Lei, che di colpo era davanti a me, fatta di spigoli e curve, di abiti neri e pelle candida. Lei le cui labbra mantenevano il calore dell’estate e i cui occhi verdi raccontavano una storia più antica del mondo stesso.
“Mi hai seguita” e non dissi nulla, perché cosa avrei potuto rispondere al destino che mi parlava con la voce di mille sirene incantatrici?
“Tu non sei come loro…” e se abbassai lo sguardo fu solo per seguire il suo, per non perdere mai, neppure per un attimo, la vista di quegli smeraldi preziosi.
Fu solo allora che me ne accorsi.
Il mio ombrello rosso si specchiava nella pozzanghera tra di noi.
Identico al suo.

Grazie per le tue parole, Fra

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