[Titolo: Slaving Slaver]
[ Rating: Rosso ]
[ Genere: Introspettivo, Romantico, Triste ]
[ Capitolo 2/? ]
[ Note: Lemon, Slash ]
[Serie: Original]
In poco tempo ero diventato famoso ed esperto, il che mi permetteva di avere davanti a me, quando entravo in un locale, già decine di persone ai miei piedi, in attesa di un mio gesto per fare tutto ciò che io desiderassi da loro.
Inoltre, siccome le voci facilmente giravano, ormai tutti sapevano cosa preferissi a letto e così mi era ben facile trovare qualcuno che lottasse e si ribellasse proprio come desideravo.
La fama era una gran cosa.
Mi accostai al bancone, alzando appena una mano per ordinare il mio solito bicchiere di vodka, lasciando che gli sguardi eccitati e vogliosi di chi avevo attorno mi scivolassero addosso.
Dopo le prime scopate del tutto casuali, grazie alle quali si era risvegliato un certo interesse mediatico nei miei confronti, avevo capito che per farmi davvero notare e per assicurarmi che Natan sapesse esattamente cosa stavo facendo dopo che lui mi aveva lasciato, dovevo scoparmi persone molto in vista e molto seguite.
Avevo ormai smesso da molte scopate di cercare persone che rassomigliassero a Natan, tanto bastava non toccarle e stringere forte gli occhi per fingere che chi avevo sotto di me fosse chi avrei davvero voluto.
Inoltre, ricercare esattamente la fisionomia di Natan l’avrebbe portato a capire che tutto ciò che stavo facendo lo stavo facendo pensando a lui ed io non volevo assolutamente che potesse avere un dubbio del genere, doveva essere certo che io l’avessi totalmente dimenticato.
Solo così il mio piano di vendetta avrebbe avuto successo.
Finii il bicchiere in un sorso, stringendo poi gli occhi, scuotendo appena il capo per far passare l’appannamento immediato e momentaneo, ordinando poi altri due bicchieri.
Quando li ebbi, li presi tra le mani e finalmente mi decisi a voltarmi verso la sala.
La stagione degli amori era aperta e tutti lo sapevano bene e cominciavano a mostrare le loro code multicolore per farsi belli davanti ai miei occhi.
Persino le ragazze si sistemavano i capelli, tirando più su il vestito e più giù la scollatura nonostante sapessero bene che non erano neanche parte del campionario.
I ragazzi si allargavano il colletto della camicia, mostravano la gola, le clavicole, socchiudevano appena gli occhi lanciandomi un invito sensuale.
Non erano loro quelli che mi interessavano.
Chi davvero faceva parte delle mie possibili scelte erano quelli che -probabilmente fingendo, ma m’illudevo di no- non mi guardavano neanche o mi lanciavano appena un’occhiata da sopra la spalla, volgendomi la schiena, mostrandomi solo la giacca elegante e il bel fondoschiena fasciato da pantaloni più o meno stretti.
Erano loro, quelli che volevo, quelli che non si curavano di me.
E tra di loro, tra le loro schiena, qualcuno mi attirò particolarmente.
Si chiamava… Gabriel, forse, o qualcosa di simile ed era un cantante, o qualcosa del genere.
Fisicamente, a dire il vero, mi aveva attirato già quando avevo visto il poster appeso in camera di Eli, la sorella di Natan, per quei suoi occhi viola -decisamente rari- che rompevano la piattezza delle due dimensioni per colpirti direttamente al centro del cervello, spegnendolo, attivando la seconda mente.
Era nettamente diverso da Natan.
Ritrovarlo lì, quella sera, mi parve un segno del destino per dirmi che era proprio lui che dovevo portarmi a letto quella sera e potevo capirne il perché: Eli amava molto quel cantante e sicuramente seguiva tutto, della sua vita privata; sarebbe stato certamente facile giungere alle orecchie di Natan, portandomelo a letto.
Inoltre, la mia scelta sarebbe caduta su di lui comunque: dal mio ingresso nel locale lui era stato l’unico ad ignorarmi davvero. Aveva continuato a leggere il libro che aveva davanti e a sorseggiare birra come se di me non gli importasse assolutamente nulla.
Ed era quello che volevo.
Con passo sicuro, e cercando di tenere il più possibile distanti le persone che avevo intorno, mi avvicinai al suo tavolo sul quale, poi, posai i bicchieri.
“Posso sedermi?”
Lui mi guardò e dal suo sguardo capii immediatamente che tutto il disinteresse fino a quel momento mostrato era stata solo una tattica -vincente, dovevo ammetterlo- per portarmi a scegliere proprio lui.
Il gioco, con mia somma gioia, non era ancora finito.
“Veramente sto aspettando un amico.”
Avrei potuto adorarlo.
Era quello, ciò che volevo, qualcuno che non mi cadesse immediatamente ai piedi, ma che, anche se solo fingendo, mi tenesse lontano.
“Possiamo aspettarlo insieme.”
Mi lanciò un’occhiata poco convinta -l’adoravo sempre di più- ma annuì.
“Certo, perché no.”
Ed era mio.
Passammo tre ore a chiacchierare del nulla e a giocare con gli sguardi prima che entrambi decidessimo che avevamo giocato abbastanza e che decidessimo di trasferirci in un privè e furono tre delle ore più intense della mia vita, da quando Natan mi aveva lasciato.
Per un attimo pensai che non dovevo per forza portare a compimento quel piano di vendetta nei confronti di chi mi aveva fatto soffrire, che potevo provare ad avere un rapporto sincero, con il ragazzo che avevo davanti, a frequentarlo sinceramente.
Fu un pensiero che svanì subito. Non era ciò che voleva. Non era neanche ciò che volevo io.
Ci trasferimmo in un privè e lì non lasciammo alcuno spazio ad alcun gioco.
Lì c’era spazio solo per noi, per il nostro desiderio, per la nostra passione.
Anche in quel campo, lui era esattamente come lo desideravo, tanto perfetto che -immaginai- doveva aver passato intere settimane a organizzare l’atteggiamento giusto per attirarmi e tenermi come riusciva a fare.
Entrati, lo sbattei contro il muro e sebbene lui avesse accettato quell’imposizione, i suoi baci furono da subito carichi d’ira e di un desiderio che si opponeva nettamente alla sottomissione. Non passò molto tempo prima che mi spingesse lontano da lui, contro il divano, sul divano, parandosi davanti a me mentre rapidamente si liberava da ogni vestito, rimanendomi davanti completamente nudo.
Splendido.
“Prendimi ora, Dravko. Prendimi subito.”
Non mi feci ripetere l’invito.
Mi rialzai, dandogli una spinta.
“Contro il muro.”
Con una smorfia sinceramente seccata -forse sperava che, essendosi comportato così egregiamente, io lo premiassi con una posizione più intima, ma non era certo il mio obiettivo- che mantenne bene il tono della giocata che stavamo vivendo, assecondò la mia richiesta, poggiandosi con le mani contro il muro, piegato in avanti per mostrarmi la perfetta curva del suo fondoschiena.
Mi liberai dai vestiti nell’accostarmi a lui, posando la mani sul muro e chiudendo gli occhi mentre mi spingevo rapidamente nel suo corpo, cominciando da subito a muovermi con quelle spinte violente che ormai erano parte integrante di me.
Natan si inarcò a quei movimenti, gemendo forte, con voce alta.
In tutto quel tempo non avevo ancora trovato qualcuno che trattenesse i gemiti come faceva lui, ma ormai ero talmente abituato che non era più neanche un problema.
Che gridassero quanto gli pareva, io e Natan eravamo troppo lontani per sentirli, completamente persi nel nostro amplesso, nell’umiliazione che ad ogni spinta gli infliggevo sul corpo e sul viso rosso di imbarazzo e piacere e di imbarazzo per il piacere.
Ogni gemito urlato non faceva che allontanarmi da quel mondo e mi spingeva a muovermi ancora più violentemente, per punire quel piacere troppo vocale, quella voce troppo intensa e troppo alta.
E Natan, sotto i miei colpi, gemeva e lacrimava, chiedendomi perdono.
Ma io non l’avrei mai perdonato.
Ringhiai un gemito quando lui raggiunse l’orgasmo, con un urlo acuto e uno spasmo che lo portò a contrarsi attorno alla mia eccitazione e ancora di più affondai nel suo corpo, gettandovimi dentro quasi anche con i testicoli, sentendo netta la botta del mio bacino contro il suo fondoschiena, riversandomi il più profondamente possibile nel suo corpo.
“Non male.” Mi concessi di complimentarmi mentre uscivo dal suo corpo e mi rivestivo.
Lui rise, senza fiato.
“Potremmo rifarlo qualche volta.”
Era stato bravo nel comportamento sia prima che durante la scopata, ma questo non bastava a farmi venire voglia di ripetere quella scena.
Una sola scopata a persona, hai consumato il biglietto, io non concedo bis.
“Vattene.” Gli dissi soltanto.
Lo osservai chinarsi per prendere i vestiti, posando poi un piede sui boxer mentre lui cercava di raggiungergli con la mano.
“Questi lasciali qui.”
Gabriel trasalì sorpreso, guardandomi dal basso, confuso.
“Cosa?”
Cosa non gli era chiaro?
Credevo ormai tutti avessero capito che il mio intento principale non era tanto scopare ma umiliare, che mi piaceva inventare ogni giorno un modo nuovo per far sì che chi veniva con me provasse tanto piacere nel provare dolore da rimanere disgustato da sé.
Mi pareva chiaro.
“Questi lasciali qui. Vattene senza.”
Sembrò volersi ribellare, voler rompere quel gioco, ma alla fine, rosso in viso, chinò semplicemente lo sguardo e, rivestitosi, corse via.
Dei suoi boxer, in effetti, non mi interessava nulla, ma li presi lo stesso.
Prima o poi li avrei mostrati a Natan come trofeo e lui ne avrebbe sofferto e come un cane bastardo sarebbe rimasto con me nonostante tutti i calci che gli davo, proprio come io avevo fatto per anni con lui.
Gli avrei messo il mio collare e l’avrei lasciato in mezzo a una strada, dandogli il cibo solo quando ne avevo voglia, facendogli una carezza solo per sbaglio.
Avrebbe sofferto fino a voler morire per non soffrire più, ma io… io non gliel’avrei permesso.
Doveva soffrire in eterno e l’avrebbe fatto.