Titolo: Good men still exist
Fandom: Doctor Who
Characters: Human!TenthDoctor; Tenth Doctor, Joan Redferm (nominated); Martha Jones (nominated)
Pairing: Human!TenthDoctorxJoan
Raiting: Pg-13
Genre: Introspective, Drammatic, Death
Word: 1107
Note: Non credevo avrei mai scritto su DoctàWho. Non pensavo avrei mai scritto su Tenth, Non mi piace particolarmente, forse perché adoravo Ninth e lui ne ha preso il posto, ma più probabilmente è perché è diverso da lui in un modo che, boh, non riesce a farmici affezionare come con chi l'ha preceduto. Nonostante tutto le puntate sulla Famiglia di Sangue le ho amate, sono entrate direttamente nella mia top ten delle preferite, su al primo posto e il character di John Smith, alla fine, mi è piaciuto così tanto che non ho saputo resistere alla voglia di dedicargli questa flashfic (sarebbe carino riuscire a scrivere anche di Baines, che ho a dir poco adorato, ma non mi illudo).
Solo un'ultima cosa: sto ancora finendo di vedere la terza season, quindi non fatemi spoiler, thanks.
Disclaimers: I personaggi di Doctà Who appartengono a chi di diritto
Ispirata agli episodi 3x08 ~ Human Nature & 3x09 ~ The Family of Blood
John Smith era un brav'uomo.
Nato a Gallifrey e cresciuto a Nottingham.
Capitava raramente che raccontasse di sé, della propria gioventù o dell'infanzia di cui non aveva custodito nessuna fotografia e nessun particolare oggetto come ricordo di quei giorni lontani. Aveva con sé soltanto un orologio da taschino poggiato su una mensola della propria stanza. Per quanto se lo rigirasse tra le dita, carezzando il planisfero inciso sul coperchio, sentendone il freddo metallo argentato che si scaldava in fretta nella propria mano (quasi volesse rispondere a quel suo tocco), non ne aveva mai fatto scattare il piccolo bottoncino che lo apriva.
Non c'era altro nella stanza che descrivesse che tipo di uomo avesse desiderato di essere da bambino e che tipo di bambino fosse stato. Tutto quello che si sapeva del suo passato erano nozioni di geografia sui luoghi in cui aveva vissuto, che qualcun altro, per lui, aveva imparato tra le stelle, circondato dalla meraviglia di un intero universo.
Era figlio di un orologiaio e di un'infermiera, gente per bene che lo aveva cresciuto con principi e valori, trasmettendogli la gentilezza materna ed il rispetto ed insegnandogli a sentire il suono del tempo che scorre, ma a non rimanerne schiavo.
Con lui era arrivata Martha, una cameriera dalla pelle color caramello e gli occhi grandi e scuri, rimasta al suo servizio dopo la morte dei genitori. Gli sguardi che lei gli regalava erano carichi di un'attesa che non aveva mai compreso, né aveva mai chiesto spiegazioni, intuendo non senza un certo disagio che la ragazza cercava in lui qualcuno che non era e qualcosa che, sapeva, non sarebbe mai stato in grado di darle.
( Ma sarebbero bastati tre mesi. Tre mesi soltanto e Martha avrebbe ascoltato nuovamente il suo bizzarro accento del nord-est, avrebbe rivisto il sorriso scanzonato accendersi infantile sul suo volto e, insieme, sarebbero tornati a viaggiare tra le stelle, tra la polvere delle galassie e la luce dei loro soli. )
John Smith era un insegnante.
Il collegio maschile di Farringham gli aveva aperto i suoi cancelli e lui l'aveva ripagato con la disciplina, la lealtà e la cultura. Aveva avuto cura delle menti dei suoi studenti, riconoscendo e premiando i più brillanti, coltivando la loro curiosità e voglia di imparare, insegnando ai ragazzi l'importanza della Storia, raccontando loro di guerre vinte e perse, di grandi uomini e grandi donne, di città create e città distrutte.
E di storie ne scriveva anche, appuntandole tutte in un piccolo quadernetto dalla copertina rilegata in pelle, ingannando se stesso, mentre si ripeteva che si trattava nient'altro che di sogni, avventure di un uomo che aveva il suo volto, ma che non era umano. C'erano disegni ad accompagnare la grafia veloce e ricurva, volti di altri nove uomini oltre al proprio, legati in qualche modo a lui da un filo invisibile, simili a lui eppure completamente diversi e, in quasi tutte le pagine, c'era un richiamo alla strana cabina blu che poteva trasportare l'Altro Lui in pianeti lontani. Oh, se solo fosse stato possibile, quali meravigliose avventure avrebbe vissuto.
Aveva cucito alla copertina un laccetto di cuoio, affinché di giorno potesse tenere chiuse quelle pagine frutto del sonno notturno; inconsciamente consapevole del valore che racchiudevano e dei segreti che celavano.
( I sogni non sono mai solo sogni. Non per chi ha visto quanto immenso e sconfinato può essere l'universo e non per chi ha assistito al primo respiro della Terra e all'ultimo dell'Essere umano. )
John Smith amava Miss Redfern.
Forse era stato attratto dalla divisa da infermiera che indossava nel college e che gli riportava alla memoria sporadici ricordi di sua madre.
Gli piaceva il profumo dei suoi capelli del colore del granturco, imbrigliati in una crocchia severa sulla nuca che, tuttavia, non privava il suo volto di dolcezza, la stessa che le leggeva negli occhi azzurri, timidi e pieni di femminile dignità.
Joan Redfern. Perfino il suo nome era incantevole, con quell'incontrarsi di vocali che ne allungavano il suono, lasciando filtrare il fiato tra le labbra socchiuse a baciare l'aria.
Sempre più spesso cercava pretesti per parlarle e percorrere con lei lo stesso corridoio. Era stata la prima e l'unica a leggere dei sogni fedelmente riportati tra le pagine del Journal of Impossible Things e l’amicizia con la donna si era trasformata in qualcosa di più profondo.
La desiderava. Senza prepotenza od egoismo, ma con tenerezza; dolcemente l'aveva invitata ad avvicinarsi a sé e, pazientemente, aveva fatto lo stesso, sperando di essere tanto fortunato da diventare l'uomo che lei avrebbe amato per il resto della sua vita.
( Per la seconda volta, aveva condannato il proprio cuore a spezzarsi. Per la seconda volta avrebbe amato una donna che, prima o poi, avrebbe dovuto lasciare. )
John Smith era un soldato.
La notte dell'11 novembre 1913, in piedi accanto alle barricate di sacchi di sabbia dietro cui si riparavano giovani studenti cresciuti come soldati, non un colpo venne sparato dal suo fucile.
Guardò con orrore i ragazzi prendere la mira con la vista appannata e piangere ad ogni grilletto premuto.
Vide la paglia vomitata da spaventapasseri che camminavano nella notte, obbedendo gli ordini di ladri di corpi, e bossoli fumanti riempire il terreno di una scuola.
Vide innocenti morire in una sala da ballo e un'arma stretta da piccole mani di bambina sparare e polverizzare un uomo ben più grande di lei.
Pianse perchè la guerra si era affacciata alle porte di Londra e lui ne era stato la causa.
( Ovunque il Dottore giunge, porta con sé morte e distruzione. )
John Smith era nulla più che una bozza, un personaggio secondario di un racconto più ampio, una nota nella vita di un alieno.
Portava il nome dell'anonimato, di un uomo qualunque che sarebbe potuto diventare chiunque, che aveva rappresentato tutto per una donna, ma che, in realtà, non era nessuno. Solo l'invenzione della mente di un Dottore, solo il suo nascondiglio perfetto.
Aveva un cuore soltanto che batteva ardente e pieno di vita come fossero stati due ed era grande, forse più grande di quanto lo sarebbero mai stati quelli del Dottore, ma era stato deciso fin dall'inizio che avrebbe continuato a battergli in petto soltanto per pochi mesi.
( Così brevi e così intensi, dopotutto. Così pieni, così speciali, così crudeli, così indimenticabili. E quell'ultima notte era stata così lunga... )
John Smith era un brav'uomo.
E, la notte dell'11 novembre 1913, con un ultimo bacio a Joan ed un orologio da taschino tra le dita, scelse di sacrificare la propria vita per salvarne molte altre.
«The Time Lord has such adventures. But he could never have a life like that.»
Joan Redfern