Titolo: The shadow man
Serie: Supernatural Rps
Capitolo: 2/?
Character: Misha Collins, Jensen Ackles, Jared Padalecki {sullo sfondo}
Pairing: Jensen/Misha {jensha},
Rating: Nc-17
Genre: Angst, Drama, Erotic, Death
Warning: Slash, Contenuti forti, Tematiche delicate, A/U
Words: 2.724
Note: Solo dal numero di volte in cui scrivo il nome di Jared si capisce la mia voglia di farlo arrivare per metterlo al posto Jensen, vero? Sob, è più forte di me, la mia vena mishaleckiana continua a pulsare incessante e boh, continuo ad avere il timore di andare troppo OOC con 'sti due. Vabbeh, spero possa risultare verosimile anche così, con un Jensen che sarò-gay-ma-so'-troppo-virile.
A parte questo, ho deciso che per il bene di qualsiasi coppia slash, tutte le mugliere dei tre Spn-guys non ci saranno, per un motivo o per l'altro, Genevieve, tra l'altro, per ora non esiste neppure, sarebbe stato troppo difficile trovare una buona scusa anche per lei e mantenerla lontana da Jared.
Disclaimers: Gli attori appartengono a loro stessi e qui non sono altro che un'idealizzazione personale, la fic non vuole in alcun modo riportare i loro gusti sessuali e gli avvenimenti qui descritti sono totalmente frutto della fantasia.
Capitoli:
01 -
02
#02. Who?
Aveva avuto di nuovo momenti di lucidità in cui gli occhi si erano aperti e la vista aveva riportato al cervello qualche immagine appannata: una parete bianca, scarponi da uomo sporchi di fango, un tappeto e una televisione, la porta di un bagno e una vasca enorme. Poi gli occhi si chiudevano di nuovo e il capo tornava a ciondolare in avanti, abbandonato alla forza di gravità.
«Giuro che per questo mi sarai debitore fino alla morte, Misha.» borbottò Jensen, ritrovando la familiarità dei panni di Dean e del suo strano rapporto con Castiel. A molti piaceva vederli come amanti, gli stessi membri del cast scherzavano sulla loro relazione -alludendo ad una bromance anche fuori dal set, aggiungendosi a quelle tra lui e Jared e tra Jared e Misha-, ma non aveva mai riflettuto seriamente su questioni sentimentali e sessuali tra quei due.
Castiel magari poteva avere qualche confusione riguardo la propria sessualità di angelo, ma Dean era etero fino al midollo.
Come lui.
«Fanculo.»
Imprecò, un po' per il peso di Misha che iniziava a farsi sentire sulle proprie braccia indolenzite e un po' a se stesso e alle cazzate che continuava a raccontarsi.
Etero fino al midollo, ma vaffanculo.
Non seppe come riuscì a infilarlo nella vasca, riprendendo fiato mentre girava la manopola dell'acqua calda, facendola scendere sulle sue gambe, bagnando i vestiti che ancora indossava.
Si sedette sul bordo della vasca, il petto che si sollevava e si abbassava svuotandosi per le grosse boccate d'ossigeno che prendeva e gli occhi piantati sull'uomo. Il timore di vederlo scomparire o darsela a gambe per rimettere di nuovo le distanze tra sé ed il mondo, lo obbligò a guardarlo a lungo, assicurandosi che fosse ancora addormentato prima di dedicarsi a tirar su le maniche della propria felpa e chinarsi verso di lui per recuperare la propria giacca dalle sue spalle. La buttò in terra, dietro di sé, senza curarsene troppo.
Non si aspettava di rivedere gli occhi blu di Misha e, quando si spalancarono di colpo, fissandolo con tanta intensità, allarmati come se si fosse appena svegliato da un incubo, ebbe un brivido.
«Vic! West!» urlò l'uomo, scattando in avanti col busto, tendendo le braccia oltre il bordo della vasca con le dita allungate verso il vuoto, prima di venir fermato da Jensen.
«Fermo, Misha, stai fermo. Loro non sono qui. Sei a casa mia.»
«No, no, loro...»
«Misha.»
«CHIUDI QUELLA FOTTUTA BOCCA!»
Non pensava avesse di nuovo la forza di dargli addosso a quel modo, ma subito dopo averlo urlato, lo sguardo si riempì di panico; nevroticamente iniziò a guardarsi intorno, senza riconoscere il luogo, iniziando a realizzare che c'era qualcosa di sbagliato, tornando a ricordare che sua moglie e suo figlio non c'erano più, che non esistevano più da nessuna parte...
Da quasi due lunghissimi mesi.
«Loro sono...» mormorò, la voce rotta dal pianto «Il... il mio bambino, non c'è più... mia moglie...»
«Lo so, Mish, lo so.»
Jensen era finito con le braccia nella vasca, bagnate fino al gomito, si piegò maggiormente verso di lui, poggiandosi con le spalle e con il petto contro il corpo di Misha, soltanto per fargli sentire la propria presenza, per fargli capire cosa fosse reale e cosa no e tranquillizzarlo.
«Mi dispiace, Mish, non sai quanto.»
Non aveva la più pallida idea di quello che stava facendo o di cosa avrebbe dovuto fare e dire, non riusciva neppure ad immaginare cosa si provasse dopo un trauma del genere e, sentire il tremore di Misha contro di sé, lo fece sentire impotente.
Fu grato al fatto che fosse troppo spossato per mantenersi vigile tanto a lungo e, dopo qualche minuto, lo vide chiudere di nuovo gli occhi e abbandonando la schiena contro la ceramica fredda della vasca, dandogli il tempo per spogliarlo. Con un sospiro pesante iniziò a sbottonargli la camicia, gettandola in terra, per poi sfilargli la cintura e faticare a liberargli le gambe dei pantaloni.
Lo guardò riverso nella vasca, vestito solo da un paio di boxer che non aveva avuto il coraggio di togliergli.
Vedere nudo un altro uomo poteva capitare, le frequentava anche lui le palestre e le loro docce, ma spogliarne un altro era una cosa fottutamente diversa e, spogliare Misha, lo faceva sentire sbagliato.
Si chiese se non fosse il caso di chiamare Jared e chiedergli una mano, in fondo era lui il cuoredipanna del trio, non si sarebbe tirato indietro dal mostrare un po' d'amore gay in una situazione del cazzo come quella.
Chiuse gli occhi.
C'mon, Jensen, smetti di fare il coglione, non c'è nessuno che può vederti e giudicarti. Si disse, per poi affondare le mani nell'acqua calda, che ormai riempiva la vasca fin quasi al bordo, e stringere tra le dita i fianchi di Misha, più sottili del solito. Non avevano niente a che vedere con i fianchi morbidi e stretti di una donna, ma era sempre stato ovvio a prima vista che l'attore avesse una fisionomia più sottile rispetto alla propria, una figura più asciutta e, perdendo tutto quel peso, la differenza si era accentuata.
I boxer fecero la stessa fine della camicia, portando completamente alla luce la pelle sporca di sudore che Jensen iniziò a rischiarare, facendola tornare all'originario rosa pallido, sotto i colpi della spugna, frizionandola contro il corpo con decisione.
Obbligò il proprio cervello a non pensare a niente, non guardarlo tra le gambe e non toccarlo troppo, convincendosi che non si trattava dell'amico, che poteva essere una delle tante scene ambigue dello show in cui recitavano e che, in mancanza di alternative, Dean l'avrebbe fatto per Cass. Non che ne fosse così sicuro, c'era una cosa in cui sicuramente lui e Dean erano diversi, non solo perché lui sapeva perdonare, ma lui dimostrava il proprio affetto nelle piccole cose della vita di tutti i giorni, non poteva permettersi di aspettare che qualcuno a cui teneva rischiasse di morire, finire all'inferno, diventasse lo spuntino di un mostro o assurdità del genere. E Misha era qualcuno a cui teneva. Più di quanto avrebbe dovuto... troppo di più...
Mezz'ora dopo, era ancora lì, rimasto con la semplice maglietta bianca che indossava al di sotto della felpa, entrambe zuppe d'acqua e riempite di schiuma, il volto arrossato da un imbarazzo per cui, fortunatamente, non ci sarebbe stato nessun testimone e aveva appena realizzato che avrebbe dovuto tirarlo fuori dalla vasca e asciugarlo.
«Cazzo...»
Ora sì che due braccia in più gli sarebbero state utili.
«Ti prego, non svegliarti. Non svegliarti. Non svegliarti...»
Era diventata una nenia che lo accompagnava ad ogni passo, mentre si era lasciato il bagno alle spalle e teneva in braccio il corpo di Misha, con i muscoli completamente tesi e gonfi sotto la stoffa della maglia, a causa dello sforzo.
Si sentiva ridicolo, non solo per la situazione in cui si era cacciato di propria spontanea volontà, ma per quello che stava provando, per quelle farfalle nello stomaco che gli accartocciavano le budella ed il calore che lo aveva colto a tradimento al bassoventre, per le proprie dita che premevano contro il fianco e le gambe nude di Misha sentendone la pelle umida contro il proprio corpo e le labbra che sfioravano di volta in volta la sua fronte, il suo orecchio ed i suoi capelli, ad ogni passo.
Ne aspirò l'odore, trovandolo inebriante, per quanto si trattasse dello stesso docciaschiuma che usava di solito lui; eppure addosso a Misha aveva un odore diverso, maledettamente buono.
Per un solo colpevole istante, la bocca si schiuse contro il suo orecchio, mettendo in mostra i denti, come se volesse mordicchiarne il lobo.
«Cazzo.»
Sollevò di colpo la testa, ritrovando con stupore lo stipite della stanza da letto contro cui stava per sbattere.
La situazione si stava facendo surreale, oltre che ridicola, e lui iniziava ad avere problemi a trattenere i proprio impulsi.
Si morse il labbro inferiore, ferendolo e sentendo il sapore del sangue sulla lingua, entrando nella stanza degli ospiti, in cui il letto ad una piazza e mezzo era sempre ben fatto ed ospitava sempre un paio di cuscini.
Era una buona abitudine iniziata un anno prima, per merito di Danneel che amava vedere le stanze sempre in ordine; dopo la separazione, a lui era rimasto il pallino.
Supernatural doveva averli maledetti tutti: Danneel lo aveva lasciato all'altare, troppo devastata dalla scoperta di non potergli dare un figlio, Jared aveva avuto solo storie che lo avevano lasciato a terra e Misha... oh, Misha.
Lo sistemò con cura sul letto.
Gli ci volle altro tempo e parecchia forza di volontà per risollevarsi e dargli le spalle, puntando verso l'armadio, alla ricerca di un paio di boxer e una maglietta da prestargli, sbuffando al ricordo di aver, proprio da pochi giorni, liberato l'armadio della roba di qualche anno prima, quando era più giovane e aveva una taglia in meno guadagnata per la muscolatura più sviluppata.
«Per questa notte ti accontenterai di quello che passa il convento, buddy.»
Il sorriso ironico che fece sparì non appena si voltò di nuovo, inquadrando nuovamente il corpo di Misha.
Nudo.
Sul letto del proprio appartamento.
Illuminato dalla flebile luce della luna, che filtrava dalla finestra, la sua bellezza apparve fragile, di una tristezza commovente.
Ebbe perfino paura a tornare sui propri passi e sfiorarlo con le dita, paura di vederlo sfaldarsi sotto al proprio tocco, mentre gli infilava i boxer.
Si obbligò a puntare lo sguardo sul materasso sottostante o sulla parete, e quando fu il momento della maglietta, lo sollevò gentilmente per le spalle, circondandogliele con un braccio, mentre l'altro lo vestiva. Paziente, con cura, come avrebbe fatto con un bambino spaventato o con la propria amata ferita.
Quando lo ridistese, si chinò con lui per accompagnare il movimento, con il corpo contro il suo ed il suo volto contro il proprio petto, affinché fosse il più delicato possibile, fino a quando la schiena di Misha non toccò di nuovo il materasso; anche allora rimase su di lui, tenendolo abbracciato.
Non si accorse subito della presa debole che stringeva la stoffa della propria maglia e delle dita di Misha al proprio fianco.
«Loro...» la voce arrivò appena sussurrata, impastata, masticata, ma così colma di disperazione che gli tolse il fiato «Loro sono... ancora dentro...»
Gli tremarono le braccia, per un attimo, ebbe paura cedessero e lo facessero cadere si di lui, schiacciandolo con il proprio peso. Lo sentì muoversi appena sotto di sé, forse ricercando istintivamente il suo calore, o forse cercava solo di uscire dagli incubi che ne avevano avvolto la mente e dai ricordi che lo torturavano nel sonno e nella veglia.
«Shssss.» gli mormorò tra i capelli e contro la guancia ruvida di barba «Va tutto bene, Misha. Sono qui io, ora. Va tutto bene. Va tutto bene.»
Bugiardo. Bugiardo. Bugiardo...
Ma che diavolo poteva dire? Che diavolo poteva fare...
Portò un ginocchio sul materasso, sovrastandolo completamente, per finire a sdraiarsi accanto a lui, trascinandoselo contro in un abbraccio un po' impacciato, ruvido ed imbarazzato, con le dita calde aperte alla sua schiena e alla sua nuca.
«Non puoi continuare a torturarti così...» gli mormorò piano contro l'orecchio, tenendoselo addosso a lungo. Aspettò che smettesse di tremare, sentendo il suo respiro regolare contro il proprio collo e poi rimanendo con gli occhi aperti nel buio della camera, immobile, per evitare di svegliarlo ancora.
Ci vollero quasi due ore perché decidesse di far rotolare lentamente il corpo di Misha lontano dal proprio, rimboccandogli le coperte alla bene meglio e poi uscendo in silenzio dalla stanza.
Tremava.
Per la rabbia. Per il dolore. Per il senso d'inutilità e inadeguatezza. Perché non aveva mai visto un uomo toccare tanto il fondo e poi rimanere a grattarlo. Perché era difficile credere che quell'uomo fosse Misha Collins.
Richiuse la porta alle proprie spalle, poggiandosi contro il legno, rimanendo in un silenzio pesante che gli rimbombava nelle orecchie. Portò la mano sinistra alla bocca, tappandola con forza insieme al naso, fin quasi a soffocarsi, finché non riuscì a ricacciare in gola qualsiasi lacrima, qualsiasi parola, qualsiasi cosa...
Non era certo lui quello che poteva concedersi di piangere e disperarsi, a lui, come amico, andava il compito di essere forte, più forte.
Fece sfilare la mano lontano dalla bocca, tornando a respirare normalmente, proprio poco prima che il cellulare, nella tasca dei jeans, vibrasse facendolo sobbalzare per lo spavento.
Lo estrasse, guardando sul display l'avviso di un nuovo messaggio ed il nome di Jared come mittente.
[ Found him? How r ya? :( ]
Sorrise tristemente, annuendo al nulla e digitando la propria risposta.
[ Yep, u r right, he was in that bar. We r fine. He's at mine, sleeping. Thanks 4 the car. :) ]
[ Ok, plz keep me info. Nait. ]
[ Sure. Nait, man. ]
Una parte di sé fu grata allo stupido infinito altruismo di Jared, a quel suo convincerlo ad andare a cercare Misha, nonostante quello che gli aveva fatto e a quel suo "Buddy, lo sai come cazzo è fatto Misha, è un cazzo di gatto, attacca quando si sente minacciato. S'è sfogato con me, ma tu puoi farlo ragionare e al massimo lo stordisci con un destro. C'mon, Jensen, lo sappiamo entrambi che anche tu stai morendo di preoccupazione".
Alle volte, l'intuito di Jared Padalecki faceva paura perfino a lui.
La mattina lo colse impreparato.
Sdraiato malamente sul divano della sala, con i muscoli doloranti e la schiena a pezzi per la posizione scomoda che aveva assunto, sbatteva in continuazione le palpebre a causa dei raggi del sole entrati dalla finestra che, con insistenza, cercavano di accecarlo.
Doveva anche essere piuttosto tardi, perché non aveva sentito l'abbaiare del solito cane dei vicini, contro il postino di turno che consegnava loro il quotidiano. Si strofinò gli occhi, mettendosi seduto, con i capelli arruffati, gli occhi di un lucido verde e l'aria ancora mezza addormentata, sbadigliando più e più volte.
Cercò in fretta di fare mente locale su cos'avesse fatto quella notte e perché si sentisse distrutto, pur non essendo uscito a bere insieme ai ragazzi, poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò dell'ospite che aveva lasciato nell'altra stanza.
Scattò in piedi ed in poche falcate aveva raggiunto la porta della stanza e la mano si era allungata alla maniglia.
«...»
La tenne così, a mezz'aria, senza il coraggio di aprirla e dover di nuovo fare i conti con il proprio cuore che si scioglieva alla vista di Misha nelle sue condizioni.
Muoviti.
Ordinò a se stesso ed il proprio corpo tornò a muoversi, bussando e aprendo subito dopo la porta, per entrare, nonostante non avesse sentito nessuno rispondere dall'interno.
Sveglio e seduto in un letto che, in quel momento, risultava troppo grande per lui, Misha era voltato verso la finestra.
Fin dal primo momento in cui Jensen lo vede, con le braccia abbandonate mollemente sulle gambe distese al di sotto delle lenzuola, le labbra schiuse e screpolate, che il freddo aveva segnato con qualche taglietto, e lo sguardo tanto lontano da non sembrare lì, aveva percepito la diversità. Quella che circondava il suo corpo in una patina invisibile, era qualcosa che, istintivamente, trovò spaventoso e, raggiungendo il letto, abbassò un po' il capo verso di lui.
«Sei sveglio, eh?»
Aveva programmato di sorridere alla fine, ma la propria bocca non ne volle sapere di collaborare e quando la risposta tardò ad arrivare, la lingua vi passò sopra, per ritentare.
«Credevo avresti dormito per tutto il giorno.»
Nessuna risposta, né un sospiro, un gemito. Niente.
Cazzo, rispondimi. Parlami. Guardami.
Aveva già visto quello sguardo prima, aveva già visto quel Misha, ma allora non era stato che una farsa, recitavano entrambi una parte e, per quanto inizialmente gli era stato difficile riconoscere il buon vecchio Cass in quegli abiti ospedalieri, sapeva che gli sarebbe bastato uscire dal personaggio per ritrovare Misha ed il suo sorrisetto canzonatorio.
Sapeva che era tutto finto.
«Misha...» tentò, poggiando la mano alla sua guancia ruvida, con il disperato bisogno di toccarlo, sapere che non si trattava solo di un sogno o della propria immaginazione e poter, soprattutto, riportare l'uomo in quella stanza con sé.
Ma quando lui si voltò a guardarlo, con occhi spaventosamente uguali e, allo stesso tempo, diversi dal solito, il cuore gli esplose.
Aveva già visto quegli occhi prima di allora, ma questi erano perfino peggio.
«...chi?»
Erano gli occhi di un completo estraneo.