Titolo: The shadow man
Serie: Supernatural Rps
Capitolo: 1/?
Character: Misha Collins, Jensen Ackles, Jared Padalecki {nominated}
Pairing: Jensen/Misha {jensha}, con possibili risvolti Jensen/Jared/Misha {j2m}
Rating: Nc-17
Genre: Angst, Melancholy, Erotic, Death
Warning: Slash, Contenuti forti, Tematiche delicate, A/U
Words: 2.077
Note: Uccidetemi. No ok, non uccidete né me, né Misha, sob. Ma rimane il fatto che non ho la più pallida idea di quel che sto scrivendo, e, soprattutto, del motivo. Si chiama ispirazione, bastarda e traditrice ispirazione che non ne vuole sapere di aiutarmi a completare il nuovo capitolo di J., ma galoppa invece per i fatti suoi e continuo a chiedermi come diavolo mi sia venuta in mente di iniziare una... argh, una Jensha!Fic! Una fic con una coppia in cui non c'è Jared? Io? Really? WTF?!
Se solo fossi avanti con le puntate di Supernatural e fossi arrivata al dannato Castiel, forse tutti i feelings che sento a causa della nuova canzone che mi ossessiona, li avrei riversati in una drammaticissima Sastiel o Wincestiel, invece... invece...
Non so fino a che punto questa sarà una Jensha!Fic, l'ho appena cominciata, finendo il primo capitolo le idee hanno iniziato a prendere realmente una forma, ma per il resto ho solo tanti dubbi ed i tasselli del puzzle di 'sta fic sono ancora tutti da sistemare e scoprire perfino per me. Di una cosa, però, sono sicura, non posso tenere Jared fuori dalle mie fic sul cast, così come non sono sicura di poterlo tenere lontano da Misha. E' semplice chimica (?), quindi non escludo che si potrebbe trasformare in una J2M, dal canto mio, ben venga, le Jensha non mi dicono molto (amo Jared e amo Misha, Jensen è solo un dippiù).
Immagino che solo vivendo scoprirò che diavolo è preso alla mia ispirazione traditrice.
Questioni importanti: Non è una vera a/u, sarebbe stato più giusto metterla sotto what if, ma per gli argomenti che vengono trattati mi sembrava più... mhm, rispettoso indicarlo come un universo assolutamente alternativo, diverso da questo in cui tutti stanno bene e sono vivi e vegeti, anche se è ovvio che gli attori di cui si scrive nelle fic, non sono mai realmente loro.
Spero comunque di averli caratterizzati il più somigliante possibile; se di solito trovo Misha l'uomo più complicato del mondo ed è difficile muoverlo come l'adulto che è, non potete immaginare quanto sia difficile per me muovere lui e Jensen insieme, abituata a vedere -e convintissima di questo- Jared come il collante del trio. Oh beh, fortuna che mi piacciono le sfide.
Disclaimers: Gli attori appartengono a loro stessi e qui non sono altro che un'idealizzazione personale, la fic non vuole in alcun modo riportare i loro gusti sessuali e gli avvenimenti qui descritti sono totalmente frutto della fantasia.
L'immagine è presa da tumblà (dimentico di specificarlo tutte le volte, ma il link da cui è presa è sempre inserito)
Capitoli:
01
#01. Touching bottom
Los Angeles.
La chiamavano la città degli angeli, ma più spesso gli angeli venivano portati via da quella cazzo di città, lasciando soltanto il freddo del metallo e del vetro dei grattacieli, l'indifferenza della gente, il grigiore dei marciapiedi, il rumore della pioggia scrosciante e, a lui, il puzzo del solito bar in cui si rintanava fino a tardi, affogando il cervello in litri di alcool bollente.
Sollevò il bicchiere tra le dita tremanti, qualche goccia si perse per strada bagnando il bancone a cui era seduto, finché non ne riversò tutto il contenuto in gola.
Il cervello faticò a sentirne il sapore, ricollegandolo a quello dello Scotch, ma aveva la lingua così impastata di liquore e rimpianti, che avrebbe potuto ingoiare qualsiasi velenoso intruglio e non avrebbe sentito alcuna differenza.
Appeso alla parete, accanto al bersaglio per le freccette, un calendario con i seni prosperosi di una bella donna in mostra, era sistemato sulla pagina del mese di novembre.
Quanti giorni erano passati? Dieci. Venti. Forse più di un mese o anche due, ma il tempo passava tutto così uguale a se stesso che aveva perso il conto.
E non solo quello.
Mosse stancamente la mano in un cenno verso il barista che poggiò un bicchiere pulito sul bancone, recuperando una nuova bottiglia di Scotch. Lo vide guardarsi intorno e storcere il naso, le seggiole già sollevate sui tavoli, il pavimento già pulito, i clienti già spariti.
Erano rimasti solo loro due.
«Non credi di star esagerando, amico?»
Gli occhi, di un blu annacquato, si affilarono in due lame fredde, liquide e che di amichevole non avevano niente.
«Ci conosciamo?»
La voce ruvida grattò la gola, poco abituata a farsi udire. Parlava pochissimo, ormai, solo quando doveva mandare al diavolo qualcuno o ringhiare contro qualche paparazzo troppo insistente, prima di cercare di avventarsi sulla sua macchina fotografica per distruggerla contro il muro.
«No.» rispose quello, piccato.
«Allora fatti i cazzi tuoi e versami da bere.»
Nelle ultime settimane lo avevano dipinto come un uomo cattivo e meschino, una sorta di rifiuto dell'umanità, troppo preso da sé, quando in realtà non era altro che un uomo disperato.
Disperato da fare schifo perfino a se stesso.
Guardò il bicchiere di nuovo pieno e lo strinse tanto forte che le nocche sbiancarono ma, quando fece per portarlo alla bocca, una mano bloccò il proprio polso, stringendosi sulla stoffa di una camicia biancastra e sgualcita che non vedeva un lavaggio e una stiratura da parecchi giorni.
Con un ringhio rabbioso sollevò lo sguardo, inquadrando un braccio, una spalla, il collo ed infine il volto familiare di una delle poche persone di cui ancora non era riuscito a liberarsi, volente o nolente.
Uno dopo l'altro tutti erano scappati da lui, ma non quell'Eyeoftiger, ora in piedi accanto al bancone, con la porta del bar che aveva appena sbattuto alle sue spalle per richiudersi e l'odore di pioggia che lo aveva seguito.
«Non ne hai avuto abbastanza, Misha?»
La voce, arrochita in un sussurro, era carica di preoccupazione e pena, la sentì nello stesso modo in cui avrebbe sentito un ferro rovente bruciargli la pelle.
God, fuck off Jensen Ackles.
«Non mettertici anche tu a farmi prediche, Father Ackles.»
Cercò di liberare il proprio polso dalla sua presa, ma si dimostrò più difficile del previsto.
Imprecò a denti stretti.
Era solo un fottuto marmocchio quello che si trovava davanti, non piccolo ed infantile quanto Jared, ma avevano quattro dannati anni di differenza che facevano di lui l'uomo della situazione, l'adulto, il bastardo da rispettare e...
«Non puoi limitarti a lasciarmi in pace...?»
...e lo stupido ridotto a pregarlo di lasciarlo da solo e di andarsene come avevano fatto tutti gli altri, senza voltarsi indietro.
Era riuscito a mettere un muro tra sé ed il resto del mondo, sbattendoli fuori dalla propria vita, facendosi semplicemente odiare. Perfino Jared alla fine aveva capitolato, il giorno in cui gli aveva vomitato addosso tanta di quella merda che neppure un gigante buono come quel ragazzo sarebbe riuscito a rimanerne indifferente. L'averlo, poi, sbattuto contro il muro, con le dita strette alla sua gola tanto da sentire il sangue pulsare, era stata la ciliegina sulla torta, per quanto fosse stato faticoso sopportare i suoi occhi verdi che lo fissavano confusi, spaventati, delusi. Era abbastanza grosso da poter scambiare le posizioni, difendendosi senza problemi, invece non era riuscito a far altro che guardarlo, incapace di riconoscere Misha Collins.
«No, mi sento in vena di buone azioni.» scherzò Jensen, senza alcun entusiasmo, stringendo maggiormente il polso dell'uomo, trovandolo sottile sotto la propria presa, più sottile di quanto ricordasse. Doveva aver perso peso; solo in quel momento si accorse che la camicia che indossava, gli stava così larga, che dal colletto riusciva a vederne le clavicole e parte del petto glabro, sembrava sparire in mezzo a tutta quella stoffa.
Gli venne in mente la frase "you're basically just a baby in a trench coat" che gli aveva rivolto una volta, nei panni di Dean, e, per quanto quella che indossava ora si trattasse di una camicia, non poteva suonare più calzante.
Non avrebbe mai creduto che, un uomo come Misha, potesse apparire tanto fragile, nonostante lo sguardo che gli tirò, fatto di spine di ghiaccio blu, ancora in grado di fargli sentire il gelo sottopelle, facendolo rabbrividire per un attimo. Non era la prima volta che accadeva, nessuno rimaneva immune agli sguardi di Misha, neppure lui che vantava anni passati a contrastare i puppy-eyes di Jared e aveva imparato a gestire la bellezza degli occhi profondi di Castiel.
Ma quelli dell'attore erano diversi, erano in grado di fargli perdere la testa.
«Come mi hai trovato?.»
«Quando ti hanno scelto come Castiel, durante il provino, ti hanno impiantato un chip sottopelle per rintracciarti.»
Non lo fece ridere, per niente.
«Non te l'ha detto il tuo amico stanga che cosa gli ho fatto?»
Strattonò il braccio.
Jensen lo lasciò libero, appiattendo le labbra l'una contro l'altra, sforzandosi di mantenere la calma.
«Sì.»
«Allora che cazzo ci fai qui?»
«Volevo guardarti in faccia e assicurarmi che l'avessi fatto solo perché sei impazzito.»
«Già...» sorrise beffardo, con un sarcasmo crudele sulle labbra, forse rivolto più a se stesso «Ora che mi hai visto... quella è la porta.» aggrottò la fronte, guardando verso il vetro della porta «..anche se io ne vedo due, in questo momento, ma sono sicuro che tu troverai quella giusta.»
Jensen scosse il capo, rimanendo fermo al proprio posto, troneggiando sull'altro e guardandolo dall'alto. Il giubbotto dalla pesante stoffa marrone era riempito di chiazze più scure sulle spalle e sul colletto, la pioggia era riuscita a bagnarlo nel tratto percorso dall'auto al bar e anche i capelli gocciolavano, più appiattiti sulla fronte per il peso dell'acqua.
Misha osservò senza troppa attenzione una goccia d'acqua che gli rigava il volto, seguendo la linea del naso e abbattendosi sulle labbra carnose, per poi sparire oltre il mento, infrangendosi nella pozza formata ai suoi piedi. Tornò voltato al bancone, riprendendo il proprio Scotch da dove lo aveva lasciato, riversandolo in gola in un sorso soltanto e sentendola bruciare come l'inferno.
Jensen gli strinse una spalla, obbligandolo a voltarsi di nuovo verso di sé.
«C'mon, man, non puoi fare così.»
«Ah no?»
«Mishi...»
«Fuck off.»
«Mish, non puoi ridurti a...»
«Smettila di dirmi come gestire il mio fottuto dolore!» sbottò, esasperato, la voce alzata in un urlo rabbioso che quasi gli spezzò le corde vocali «Non voglio sentirti, non me ne frega niente di quello che hai da dire!»
Scattato in piedi, un po' tremante sulle gambe troppo pesanti, aveva fatto cadere rumorosamente lo sgabello a terra.
Gli occhi si fecero lucidi, con le lacrime che pungevano imprigionate agli angoli, senza che venissero piante; tremava per la disperazione, fronteggiando il texano e si sentiva piccolo e misero, non solo perché fisicamente il ragazzo era sempre stato più alto e più piazzato di lui, ma perché stava crollando a pezzi e non aveva più la forza o la volontà di rimetterli al loro posto.
Dio, voleva soltanto sparire.
Voleva soltanto bruciare in quella casa insieme a Victoria e West...
Voleva solo... non soffrire più tanto da sentirsi morire.
Chinò il capo, nascondendo il volto tra le mani, vergognandosi di quello che era diventato.
«Non valgo un cazzo senza loro... non... non so neppure perché mi alzo dal letto la mattina...»
Non lo faceva per lavoro, perché aveva mollato il set, aveva smesso di presentarsi ai provini e non rispondeva più alle chiamate del proprio agente. Una barba ispida e poco curata gli macchiava il mento, a malapena si ricordava di mangiare di quando in quando, giusto per non svenire per strada e dio solo sapeva da quanto non si faceva una doccia.
Si era ridotto ad essere la patetica ombra di se stesso.
Una pietosa imitazione di Misha Collins che Jensen guardò col cuore spezzato e le braccia già allungate verso di lui, in un gesto istintivo, fatto senza pensare; fu meglio così, perché altrimenti non ci avrebbe mai neppure provato, non in uno squallido bar, davanti allo sguardo annoiato e irritato del barista che non vedeva l'ora di tirare giù le serrande.
Si strinse addosso il corpo dell'uomo, circondandogli le spalle e sentendolo singhiozzare contro la propria giaccia.
«It's ok, buddy.» gli mormorò, contro i capelli spettinati, più lunghi del solito «It's ok.»
Mai, neppure per un secondo, neppure per sbaglio e neppure leggendo le cretinate che certe fan scrivevano su di lui ed i colleghi, avrebbe pensato di poter provare il bisogno fisico di abbracciare Misha e cullarlo tra le proprie braccia e mormorargli con dolcezza che andava tutto bene, che sarebbe andato tutto bene e che ci avrebbe pensato lui a rimettere a posto le cose, che avrebbe raccolto lui i cocci rotti del suo cuore infranto e lo avrebbe ricostruito.
Eppure era lì, che piano si spogliava del proprio giaccone per lasciarlo cadere sulle spalle dell'uomo e avvolgerglielo addosso, mentre lo spingeva gentilmente verso l'uscita. Lanciò un'occhiata veloce e disinteressata al barista, abbandonando un paio di banconote da cinquanta dollari sul bancone per pagare il conto di Misha e, con un passo alla volta, lo condusse fuori dal bar, verso un'auto parcheggiata lì vicino.
Non apparteneva a nessuno dei due, lui non ne possedeva una da un sacco di tempo, con la scusa di non averne bisogno o di star aspettando il momento giusto per comprarsi una Chevrolet Impala che non avrebbe dovuto guidare solo sul set di Supernatural. Ringraziò mentalmente Jared per avergliela prestata, l'auto era abbastanza grande da permettergli di farsi largo nell'abitacolo insieme a Misha, quando dovette trascinarlo di peso sul sedile; debole e stanco, l'uomo non aveva fatto altro che strascicare i piedi e pesare completamente addosso a Jensen.
Chiuse la portiera, assicurandosi di averlo sistemato bene sul sedile accanto a quello del guidatore e fece il giro dell'auto, mettendosi al volante.
Attese a mettere in moto, dandogli il tempo di allacciarsi la cintura, ma l'altro se ne stava immobile, le braccia abbandonate a peso morto ai lati del corpo, il capo che ciondolava di lato e l'espressione vuota dello sguardo. Non sembrava neppure umano, una statua di marmo sarebbe sembrata più viva di lui.
«Shit...»
Jensen si morse il labbro inferiore, tendendosi verso di lui, recuperò la cintura e gliela fece passare davanti al petto, facendo scattare la chiusura. L'altra mano si portò dietro la sua nuca, spingendola verso di sé, così da poggiarla alla propria, rimanendo tanto vicini che i respiri che si confondevano.
Riusciva a sentire il gelo della sua pelle, in contrasto con la propria umida di pioggia, ma parecchio più calda.
Scorse a fatica i suoi occhi, ridotti a due sottili fessure zaffirine che vennero nascoste dalle palpebre e Misha cadde addormentato.
Gli sistemò meglio il proprio giaccone addosso perché lo coprisse il più possibile e, per qualche lungo minuto, non fece altro che guardarlo, fronte contro fronte, naso contro naso e labbra che si sfioravano in tocchi casuali, mai troppo profondi da sembrare baci reali, separate solo da una sottile parete fatta d'aria, di fiato caldo e di odore di alcool.
Si ritrovò a serrare i denti, per ingoiare un debole gemito di dolore, lo sentì ripercuotersi in tutto il corpo in un tremito, affondandogli nel petto, finché non riuscì più a trattenere quell'unica dannata lacrima che solo come Dean si permetteva di piangere e che ora gli bruciava la pelle, rigandola insieme alla pioggia.
«Dannazione, Misha... che diavolo ti stai facendo...»