Titolo: I just can't stay here in heaven
Serie: Inception
Character: Arthur, Ariadne
Rating: PG-14
Genre: Angst
Pairing: ArthurxAriadne
Conteggio parole: 776
Note: Così come le strofe presenti nella flashfic, anche il titolo è tratto dalla canzone di Eric Clapton: Tears in Heaven.
TUMBLR mi ispira. Mi ispira perfino su Inception... peccato che sul mio pairing preferito ci sia così poco in giro, ma prima o poi una DomxArthur riuscirò a scriverla. Ok, forse no, ma vabbeh.
Would you know my name, if I saw you in heaven?
{Tears in Heaven - Eric Clapton}
L'odore di benzina aleggiava fastidosamente nell'aria, mischiandosi a quello degli alcolici al bancone e del piatto di patate e bistecca al sangue che la cameriera gli aveva appena servito.
Le dita di Arthur tamburellarono sulla superficie di legno lucido, scuro e scheggiato in più punti, aveva anche avuto la fantasia di creare una macchia di bruciato proprio accanto al bicchiere di whiskey che non aveva toccato e che non aveva intenzione di toccare, mentre si dondolava appena sulle due gambe dello sgabello alto.
Tirò indietro il capo, passandosi una mano tra i capelli scuri. Li aveva fatti crescere, gli davano un'aria più giovane (forse troppo, aveva pensato la prima volta che Eames aveva riso spettinandolo e chiamandolo "puppy", per prenderlo in giro) e un'aria più insicura; si stupì a notarlo, guardando il proprio riflesso allo specchio del bancone, davanti a sè.
Chinò il capo, inspirando a fondo.
L'odore di benzina era fastidioso, sapeva di essere l'unico a sentirlo lì dentro, in un silenzio rotto solo dai bisbigli delle proiezioni del proprio subconscio, dal rumore di posate e bicchieri che tintinnavano e dal ronzio di un vecchio jukebox a cui nessuno si era avvicinato per far partire qualche vecchia canzone degli anni novanta. Non c'era musica nei sogni del Point Man, aveva paura di non poter sentire quella del conto alla rovescia che gli avrebbe permesso di svegliarsi. Aveva paura di rimanere intrappolato nei propri sogni, troppo stabili, costruiti con la precisione di un chirurgo, senza tralasciare alcun particolare, ma creati senza fantasia, senza immaginazione o libera ispirazione.
Non era un architetto, Arthur. Quello era sempre stato il compito di Ariadne, della stessa Ariadne a cui un mese prima aveva chiesto di smettere di fare quel lavoro, di smettere di seguirlo, di smettere di rischiare la vita.
Sapeva che non lo avrebbe mai ascoltato, lui stesso amava quello che faceva. Era la propria vocazione.
Per questo non si stupì di vederla entrare dalla porticina del bar di periferia -di una città qualsiasi, di una città finta- avvolta in un dolcevita caldo e bianco, con i capelli sciolti che le scivolavano in onde castane giù per le spalle sottili e gli occhi che esprimevano determinazione ed un'intelligenza che lo aveva affascinato fin dalla prima volta.
«Che cosa hai ordinato?» domandò lei, sedendosi allo sgabello accanto, come nulla fosse.
«Bistecca e patate.»
«E riesci a sentirne il sapore?»
Arthur la guardò a lungo, cogliendo l'ironia della domanda, chiedendosi se la vicinanza con Eames non le avesse fatto troppo male, ma Ariadne aveva ragione.
«Vagamente.» rispose, con un sorriso amaro, stentato.
Ariadne gli si avvicinò, scivolando con una mano alla sua spalla, carezzando la stoffa di una giacca elegante, di un colore nero fumo (non un semplice nero, perchè Arthur aveva occhio per queste cose, per i dettagli), chinando il volto verso il suo, per rubargli un bacio morbido e fresco, troppo breve.
«E di questo?» gli mormorò a fior di labbra, con il proprio respiro che soffiava nella sua bocca e gli occhi nocciola del Point Man che la guardavano prima stupiti, poi confusi ed infine rassegnati.
I'll find my way through night and day
'Cause I know I just can't stay here in heavenQualcuno aveva acceso il Jukebox, proprio nel momento in cui il sedativo aveva terminato il suo effetto ed il sogno di Arthur si sgretolava, riportandolo alla realtà, dandogli soltanto il tempo tempo di rispondere con un debole «...no...» che si perse, insieme al volto di Ariadne e al suo sorriso genuino.
L'odore di benzina ristagnava nel vecchio garage sotterraneo in cui si risvegliò.
Accanto a sè, sul tavolo, il materiale per entrare nei sogni era rimasto intoccato da quando lo aveva sistemato solo dieci minuti prima e le sdraio bianche che aveva trascinato fino a lì erano ancora vuote. Non c'era nessuno insieme a lui.
Arthur carezzò le labbra con le dita, cercando di ricordare come fosse, cosa si provasse, che sapore avesse... ma erano dettagli troppo difficili da ricostruire anche per lui. Ora che Ariadne non c'era più, gli sarebbe stato impossibile immaginare di cosa sapessero la sua bocca ed i suoi baci.
Le aveva chiesto di smetterla di seguirlo in quel lavoro, di smettere di rischiare la vita per i sogni, di tornare ad essere come tutte le altre ragazze e dare vita al suo mondo nella realtà, diventando un architetto vero.
Ma Ariadne non lo aveva ascoltato...
Would it be the same if I saw you in heaven?
I must be strong and carry on
'Cause I know I don't belong here in heaven