Character: Tony Stark; James Buchanan Barnes; Steve Rogers; Alexander pierce { nominated }; Nicholas Fury { nominated };
Pairing: Steve/Bucky/Tony { stuckony }
Words: 1.917
Note: Non credevo ce l'avrei fatta ad essere onesta e, a essere ancora più onesta, speravo di riuscire a tirare fuori qualcosa di più lungo di questa che sì, per ora non ho assolutamente intenzione di ampliare e rimarrà come pura esemplice oneshot dal finale un po' troppo aperto.
E' la mia prima stuckony... e non avrei potuto scegliere un battesimo peggiore, lo so: un'au? Che parte praticamente da vicende già avviate? Forse avrei fatto meglio a scrivere direttamente un original, lo so, ma avevo in testa quest'idea (beh, qualcosa di un po' più complesso a dire il vero XD) e mi son detta che da qualche parte, per questa threesome dovevo pur cominciare. E quindi eccola qua.
p.s. la maschera di cui si fa menzione nella fic si ispira un po' a
questa, con la differenza che la base invece di essere tutta di metallo è in cuoio nero.
Disclaimers: scritta per lo
Steamarch di
Piume d'ottone Nella stanza risuona il ticchettio degli orologi.
Dietro occhiali ad ingrandimento, Tony osserva uno scheletro d’ossa e giunture di ferro che avvita con forza.
Qualcuno geme.
Un giro di vite, un singulto soffocato. Un giro, un singulto. Batte il tempo, come le lancette degli orologi che si muovono tutte in sincrono.
Tic-tac.
«Hai poco da frignare, uccelletto. Ti avevo detto che non saresti dovuto tornare. Credevi ti avrebbero risparmiato solo perché al vecchio bavoso piace il tuo culo?» la voce di Tony cola acido, cruda - ha mani sporche di sangue affondate nella carne viva di un angelo, non è il tatto che serve, ma altre viti e bulloni. Gli ultimi affondano nelle scapole, scavano la carne e penetrano vertebre cave.
Sotto di lui, l’angelo trema a bocca chiusa. È quando la fiamma del ferro rovente salda la vite alla sua schiena, che urla, si dimena e fa gemere cinghie che lo tengono bloccato al tavolo di ferro.
Dall’altro lato del tavolo un busto meccanico, arrossato dalla ruggine, lo osserva dietro occhialetti da aviatore.
Tony schiocca le dita. «Aiutami a tenerlo fermo.»
Una sbuffata sbotta dal petto del busto, una vampata grigia riempie la cassa di un cuore a vapore e gli ingranaggi iniziano a girare per attivarlo. Con mani di ferro stringe i polsi dell’angelo.
Tony termina la saldatura - le urla dell’angelo che gli rimbombano in testa, tra le ossa, nei tendini, sfidando il velo di indifferenza con cui si ricopre che rischia di strapparsi di dosso e lasciarlo nudo, alle prese con sentimenti che non vuole avere, né accettare.
Non c’è tempo per quello. Non c’è tempo per quasi nulla.
Avrebbe potuto fare un lavoro migliore se il tempo fosse stato dalla loro parte, ma ogni orologio del suo laboratorio sembra ricordargli quanto poco ne sia rimasto.
Solleva un’occhiata alla cassa di mogano di un’elegante pendola a cucù. L’ha costruita, così grossa che da bambino passava ore a nascondersi al suo interno per osservare da vicino gli ingranaggi che la componevano.
A breve avrebbe battuto l’ora, le 7 e, come se non bastava avere sul collo il fiato dell’Inquisizione, sarebbe ricominciata la Cacciata dal Paradiso.
È solo questione di poco, prima che gli uomini di Pierce o i soldati di Fury bussino alla sua porta e trovino la preda più ambita dell’intera nazione.
I gemiti si fanno più deboli.
Tony guarda il corpo disteso; la schiena nuda e larga, tappezzata di cicatrici che fanno sembrare la sua pelle un patchwork malriuscito. Dalle scapole si innalzano ali imponenti - quella destra a fare da tappeto di piume su metri quadrati di laboratorio. Ha il piumaggio nero come la notte, dello stesso colore dei capelli lunghi che arrivano sino alle spalle dell’angelo e colano davanti al volto, rigandolo come lacrime di petrolio incollate alla pelle dal sudore.
L’ala sinistra è stato il problema. Quella che gli inquisitori di Pierce sono riusciti ad arpionargli e strappargli di dosso. È venuta via come radici sradicate dal terreno.
«Manca poco.» gli dice Tony ed è vero.
Ha usato quello che aveva - non molto dall’ultima retata di Pierce, ma c’è abbastanza - per ricostruire l’ala dell’angelo ed ora, piume di metallo argentato vengono saldate una ad una a uno scheletro di ferro. Inchiodate, imbullonate, sarebbe stato come non aver mai perso un’ala… eccetto averla persa eccome.
«Appena avrai finito… me ne andrò…» è la prima volta che l’angelo parla. Strascica parole e fiato rotto.
«Certo, adesso ti preoccupi. Non quando sei piombato a casa mia e hai aperto un buco nel tetto del mio laboratorio. Ti hanno mai spiegato che il tempismo è tutto, nella vita, e che il tuo fa schifo, Barnes?»
Le parole l’accettano ancora più della lama che Tony ha usato per segargli i frammenti d’ossa rotti, ma l’angelo - Bucky Barnes - si lascia scivolare via una risata e per un attimo le ultime piume che l’uomo stringe tra le mani e sta saldando, gli frullano tra le dita.
Tony si ferma ad osservarle. Il tintinnio del metallo è delicato, elegante e quando guarda l’insieme: ali d’argento e piume di seta nera, seppure non sarà il suo lavoro migliore, non può dire di non esserne soddisfatto.
La soddisfazione, però, dura poco.
«Intrusi. Alla. Porta.» Gracchia il busto meccanico, tra nuove sbuffate di vapore che salgono fino alla maschera di ferro e appannano le lenti degli occhialetti.
Bucky strattona le cinghie.
Tony gli piazza una mano sulla sua e scuote il capo.
«Devo… devo andare… se mi trovano qui…»
«Devi chiudere la bocca e startene buono, ecco cosa devi fare.» Fa un cenno al busto meccanico e gli indica le cinghie.
Mentre il busto si dedica a slegarle, Tony si rivolge di nuovo a Bucky. «Non fare cazzate, per quello ci sono prima io.»
Non aspetta che l’angelo ribatta; si toglie gli occhiali, li abbandona sul tavolo e scende le scale a chioccia che dal laboratorio portano ai suoi appartamenti. Quattro piani, stanze ovunque, la Torre di ferro la chiamano e lui l’uomo di ferro che la abita, Iron man.
Burattini di ferro e bambole a molla si animano quando passa. Li redarguisce con un’occhiata e questi si rimettono a riposo.
Il busto meccanico aveva ragione, qualcuno bussa alla porta e quando Tony guarda dallo spioncino, rabbrividisce.
La maschera dei Cacciatori di Fury è spaventosa come la ricordava.
È un’orrenda faccia di pelle di cuoio nero che ingoia l’intera testa, senza lasciare nulla scoperto. Al posto degli occhi vetri opachi incorniciati in ingranaggi dorati e tra bocca e mento si collega la camera d’ossigeno, un cilindro di ferro dai cui lati sibila in sottili fumate bianche l’anidride carbonica.
Fa vagare la mano di lato. Sfiora un appendiabiti da cui cade il suo cilindro - uno dei tanti - e cerca il bastone da passeggio che è sicuro di aver lasciato accanto al muro. Non che gli servirà a molto contro le armi dei Cacciatori, ma è sempre meglio di niente - e un giorno, se sopravvivrà, riuscirà a mettere a punto il progetto Ark.
Apre la porta stringendo il bastone dietro la schiena.
Perfino il resto della divisa del Cacciatore è inquietante come la maschera, completamente nera, perfino le mani sono coperte dai guanti.
«Posso fare qualcosa per -» le parole s’inchiodano e Tony indietreggia.
Il Cacciatore avanza verso di lui. Alto, molto più dell’uomo e con due spalle che perfino sotto la divisa sembrano essere fatte di pietra. Gli basterebbe un pugno ben assestato per mandare al tappeto Tony e rompergli il naso.
Ma quando il cacciatore richiude la porta dietro di sé, Tony piega le labbra in una smorfia e agita il bastone in sua direzione. «Volevi farmi venire un infarto?»
La maschera butta fuori respiri agitati. Il cacciatore deve aver corso per arrivare fino a lì e a Tony è bastato riconoscere lo scudo metallico alle sue spalle per sapere di essere fuori pericolo. Quando infatti si leva la maschera e la getta a terra, si rivelano occhi azzurri e gentili e l’espressione preoccupata di Steve Rogers.
«Sono venuto appena ho saputo di Bucky, come sta?» chiede guardandosi intorno nervoso, come se non sapesse fin troppo bene che non è a quel piano che lo troverà. Conosce la torre di Tony, per questo poco dopo alza lo sguardo alle scale e cerca Bucky al di là del soffitto e del resto dei piani, come bastasse tenere il naso all’insù per vedere l’angelo.
Tony rotea gli occhi. «Sto bene anche io, grazie per l’interessamento.»
Steve riabbassa lo sguardo. «Stai bene?» non è che si stia sforzando di chiederlo, è solo che è impaziente di raggiungere Bucky e sa già che Tony non è ferito, anche se davanti alla smorfia seccata dell’uomo annienta ogni distanza da lui gli apre una mano alla schiena, per tirarselo addosso.
È un abbraccio veloce il loro, una vampata di calore che passa da corpo a corpo e che rimane sulla pelle anche quando si staccano e Steve preme un bacio tra i capelli di Tony.
L’uomo sbuffa. «La prossima volta, magari, evita la tuta da spauracchio della notte.»
Steve riderebbe se non fosse che non la indossa per fare un dispetto a Tony o per scherzo. La indossa perché in quanto Capitano dei cacciatori non può fare altrimenti.
Quando salgono fino al laboratorio, Bucky è completamente libero dalle cinghie e siede sul tavolo che lo ha visto operato, sporco ancora del suo sangue.
È nudo dalla cintola in su, la schiena macchiata di sangue e di grasso, ma le ali lucenti come la prima volta che lo hanno incontrato, quando ancora vestiva l’effige degli Inquisitori.
Il soldato fedele di Pierce. L’angelo e il suo dio.
Steve gli corre incontro. Lo abbraccia, lo tocca, gli tasta le guance, gli assaggia le labbra ed è felice - dannatamente felice - di averlo trovato vivo. Ha temuto il peggio quando tra gli inquisitori è girata la voce che avessero spezzato l’ala dell’angelo.
«Sto… sto bene…» biascica Bucky. Ma non sta bene. È stanco, ferito e il sangue perso è stato troppo. Ha bisogno di riposto.
Steve gli sfiora l’ala metallica con le dita. La guarda e la sente muoversi, distendersi; gli ingranaggi si muovono con precisione, senza fare alcun rumore e le sottili piume d’argento gli solleticano la mano, tintinnando come una pioggia di monete. «No invece che non stai bene. E dobbiamo andarcene, non è sicuro rimanere qui.»
Bucky scuote il capo. Guarda l’uno e l’altro uomo. «…se rimanete con me…»
«Lo mandi tu a fanculo o ci penso io?» si inserisce Tony.
Steve lo segue avanzare. L’uomo apre una mano all’ala di Bucky, controlla la propria creazione e insieme l’accarezza lasciandogli un brivido che lo scuote più di quanto avrebbe immaginato.
Sa bene come le ali siano sensibili per l’angelo, ma non pensava sarebbe stato così anche per quella finta. È contento, però, di essere riuscito a mantenere la congiunzione coi nervi, così che Bucky possa sentire il peso di ogni suo dito e la carezza che sfrega tra le piume e scende lungo lo scheletro di ferro, giù, tra scapole sporche di sangue rappreso.
Il gemito che si perde dalle sue labbra non è più di dolore. È un suono caldo e umido che si appiccica ai timpani dei due uomini e li fa vibrare.
Steve tossisce.
Tony stacca la mano e finge indifferenza.
Bucky invece scende dal tavolo con un balzo che voleva essere agile ma che viene tradito da gambe tremanti. E quando cade in avanti, le braccia dei due uomini sono già lì, pronte a raccoglierlo.
«Alle volte non so chi tra te e Steve sia più testa di cazzo.» commenta Tony.
Bucky costruisce sulle labbra una debole smorfia divertita, che dura il tempo di un respiro e un sussurro appena udibile «Non temere… anche tu te la giochi bene…»
E Steve non può credere che stiano perdendo tempo a insultarsi. «Tony lascialo in pace. Bucky, Tony ha ragione, non possiamo lasciarti così. Ora fidati di me, ti porterò al sicuro... tutti e due.» dice e inquadra anche Tony.
Bucky si aggrappa alle braccia di entrambi, stringe con forza e penetra con le unghie nella camicia di Tony e nel cuoio della divisa di Steve.
Tony ha ragione su molte cose, anche sul fatto che non sarebbe dovuto tornare.
Eppure, mentre chiude gli occhi, divenuti ormai troppo pesanti, gli sembra che anche il proprio cuore si riempia di vapore come quello del busto meccanico, riempiendogli il petto di calore abbracciato al corpo degli altri due uomini.