[Original] V. Il Regno tra i cieli immobili

Mar 10, 2018 17:48


Characters: Arashi; Declan; Cassius Veritas; Ronan Blackscythe; Ismail Al-Doulat;
Pairing: Ronan/Arashi; Cassius/Declan;
Rating: Nc-17
Genre: Slice of life; Sentimentale; avventura;
Words: 6.301
Warning: slash; crossdressing;
Prompt: missione 6 - giustizia
Disclaimers: I personaggi appartengono tutti a me.
Scritta per l'8° Settimana del Cow-t8 @lande di fandom
L'ultima cassa di rum era stata svuotata da giorni. Rovesciata al centro del ponte, ospitava il sedere di Declan, quando questi si era lasciato cadere stanco morto.
«Dobbiamo attraccare da qualche parte, Ronan, la ciurma inizia ad essere stanca e perfino Arashi dev'essere ormai arrivato al suo limite.»
Sdraiato sulla curva di legno e metallo dell'enorme falce, stretta tra le dita schelettriche della loro polena, Arashi riusciva a malapena a sollevare le dita accarezzate dal vento del Nord che, gelidamente, aveva soffiato alle loro vele per settimane. Aveva il fiato corto e minacciava di cadere oltre la polena e piovere giù dal cielo da un momento all'altro, verso qualsiasi cosa si sarebbe trovata sotto di loro. Ogni boccata pesante erano nuvole di piombo e lampi che spezzavano il cielo e facevano rollare violentemente la Vecchia Signora e ogni volta che un nuovo lampo rombava, qualcuno urlava, imprecava o rimetteva quel poco rum che ancora aveva nello stomaco.
«Sono giorni che solchiamo i cieli a massima velocità, nemmeno i motori della Divine riusciranno a raggiungerci, ormai.»
La maggior parte degli uomini era accasciata sul ponte o piegata in due oltre il parapetto, mentre i due timonieri, Cassius e lo Storpio, si reggevano a malapena al timone, cercando di mantenere il governo dell'aeronave.
L'unico che ancora manteneva una postura dritta e fiera era Ronan, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo puntato oltre la polena, tra i cieli offuscati dalla tempesta.
Il Capitano della Vecchia Signora ringhiò a sentire il nome dell'ammiraglia della Celestia, il corpo militare che governava i cieli.
«Capitano?» insistette Declan, iniziando a sentire il bisogno di sdraiarsi a terra o su qualsiasi superficie orizzontale, stabile e, soprattutto, immobile.
«Cani...» borbottò Ronan. Sciolse l'incrocio delle braccia e spazzò la mano verso l'alto «Arashi, conducici all'isola più vicina!»
Declan sospirò di sollievo, contento di essere riuscito a far ragionare l'uomo.
«Grazie Saturnus.»
«Chiamami pure Capitano.»
«Pensa a non essere blasfemo, se non vuoi che la giustizia divina si abbatta su di te.»
Ronan scrollò le spalle e, mentre Declan cercava di ritrovare la forza di alzarsi e condursi a passi strascicati verso il timone, il Capitano si portò alla base della polena, facendo cenno ad Arashi di scendere da lì.
Il Signore dei Lampi emise un brontolio, un suono cupo come il rumore di un temporale in lontananza. Lo guardò dall'alto, senza però dargli il bado che avrebbe dovuto, concentrato in un compito alla volta. Non avrebbe avuto le energie per fare entrambe le cose, sentiva gli occhi iniziare a farsi pesanti e se fosse svenuto ora, l'aeronave sarebbe rimasta in bonaccia per chissà quanto, in attesa del suo risveglio. Erano cieli stranamente tranquilli, c'era un'aria calma, quasi rafferma, che con la forza aveva dovuto risvegliare ed agitare affinché soffiasse per lui. Mai, prima d'ora, aveva fatto tanta fatica a farsi obbedire.
«Maledizione, ragazzino. Tu e le tue dannate scalate...» Ronan gli tirò un'occhiata irritata che scuriva il color miele dei suoi occhi. Si slacciò la cintura che ospitava spada e moschetto e iniziò ad arrampicarsi sul legno della nave, verso la terrificante polena simbolo della Vecchia Signora. Non aveva l'agilità di quella scimmietta ammaestrata che era Arashi, ma possedeva muscoli sodi e allenati e doveva solo trovare appigli abbastanza saldi da sopportare il proprio peso.
Con la pianta di uno stivale posata sulla spalla dello scheletro e l'altra tra le dita della sua mano, si aggrappò al bastone della falce, tendendo il braccio libero verso Arashi.
«Non farmelo ripetere, moccioso.»
Il più piccolo sbuffò. Una nuova nuvola, questa volta più piccola e più soffice delle altre, nacque proprio sopra la loro testa, lasciando cadere una pioggerellina sottile che andò mischiandosi a quella temporalesca che già si era abbattuta sull'intera aeronave.
Ruotò gli occhi a cercare il profilo di Ronan e il suo sguardo feroce e gli sorrise appena.
«Ho trovato un porto a cui attraccare...» mormorò con un fil di voce.
Infine, cadde, scivolando giù dalla falce.
«Dannato moccioso!»

Nessuno degli uomini di Blackscythe aveva mai sentito parlare di Regno Sereno, la città flottante in cui Arashi era riuscito a farli attraccare.
Il porto si era presentato come una striscia di terra da cui il braccio di qualche banchina si allungava svogliatamente. La gente che avevano trovato sulla strada, anche spingendosi verso il centro città era stata poca, meno di quanto ci si sarebbe aspettati da un'isola che, dall'alto, pareva poter ospitare una popolazione decisamente più vasta.
«Siete stranieri, non è vero?» una ragazzina vestita da principessa mostrò un sorriso a trentadue denti, guardando in alto verso Cassius. Si sollevò sulle punte, tirando la testa più indietro che poteva, con un'aria buffa che strappò un sorriso al timoniere.
Accanto a lui Declan si chinò in avanti, verso la piccola.
«Lo sembriamo così tanto?»
Lei ruotò lo sguardo su di lui e ridacchiò, incrociando le manine davanti alla bocca.
«Certo, perchè non sapete che è la Festa della Pace. Per questo non c'è nessuno in giro, stiamo tutti andando al Castello. Dobbiamo ancora finire di preparare tutto e domani ci sarà perfino un gran ballo. Tutti lo sanno!»
«La Festa della Pace, ma certo» Declan le diede retta e la bambina, non contenta, iniziò a saltellargli intorno, continuando a parlare.
«E il ballo in maschera, non dimenticartelo. Dovete venire. Da cosa siete mascherati voi?»
«Da pirati?»
«Ohoooo!»
Cassius lo strinse per un braccio, guardandolo stupito e cercando di ignorare l'entusiasmo della bambina che non aveva smesso di far danzare l'attenzione dall'uno all'altro, come se avesse trovato un nuovo gioco con cui intrattenersi.
«Non dovremmo mantenere un profilo basso?»
Declan si rialzò, ridistese la schiena e poggiò il gomito alla spalla massiccia del timoniere, sfiorandogli con la dita una ciocca dei rossi capelli.
«È buffo che proprio tu, Cass, parli di profili bassi» scherzò.
Cassius comprese perfettamente la battuta e arrossì, quasi fosse stata una colpa essere alto oltre i due metri e spiccare, quindi, perfino in una folla.
«Ti ho mai detto che sei carino quando arrossisci? Mi fai venire voglia di -»
«Declan, c'è una bambina.»
Declan abbassò gli occhi, la piccola ancora lì, con il nasetto all'insù e la bocca spalancata in un'espressione curiosa.
L'uomo aggrottò la fronte.
«Non dovresti tornare da tua madre?»
«Sì, ma con lei mi annoio!»
«Principessa» lei emise un risolino felice ed imbarazzato a sentirsi chiamare a quella maniera e Declan le portò una mano tra i ricci biondi, accarezzandola con una delicatezza che, di certo, il resto dei pirati di Blackscythe (Capitano compreso) non possedevano, ma lui aveva sempre avuto un certo feeling con i bambini. Arashi, in fondo, era stato il suo rodeo e se riusciva a farsi apprezzare da un Signore dei Lampi, poteva farcela anche con una principessina in miniatura «qualcuno mi ha confidato che al Castello ci sarà una grande festa.»
La bambina ridacchiò, picchiettandogli la mano con una sberletta che a malapena gli fece il solletico - le dita erano piccole, minuscole e la pelle soffice.
«Ma te l'ho detto io!» lo rimproverò.
Declan finse di stupirsi «Davvero?»
«Sì!»
«Beh, ma se lo sai corri, la festa non si preparerà da sola e senza una principessa, nessun castello ha molto senso, non trovi?»
La piccola sembrò pensarci su. Si portò un'indice alle labbra e alla fine annuì, convinta dalle parole del pirata. Li saluto entrambi, sventolando il braccio e correndo via, solo per voltarsi più e più volte a salutarli di nuovo, finché non fu troppo distante per vederli.
Per tutto il tempo Cassius era rimasto impettito, un gigante dall'aria pericolosa che, in realtà, si era ritrovato a non saper cosa dire o fare in quella situazione. E quando Declan riuscì a gestirla così bene, sorrise intenerito dalla scena.
«Sei sempre stato bravo con i bambini» gli disse.
L'altro annuì e gli circondò il collo con le braccia, senza resistere all'impulso di baciarlo ora che, finalmente, erano rimasti di nuovo soli.
«Vero? Dovremmo averne uno tutto nostro, scommetto che sarei un ottimo padre.»
Rise con soddisfazione quando Cassius si bloccò in mezzo alla strada, come una torre infuocata e balbettante, incapace di trovare una ribattuta sagace alle stupidaggini dell'uomo.

Arashi riaprì gli occhi lentamente. Percepì immediatamente la pressione delle mani di Ronan che, tenendoselo in braccio, se lo schiacciavano contro il petto, mentre l'amaca appesa tra i due alberi di pura dondolava appena. Le gambe erano così lunghe da permettergli di toccare terra con gli stivalacci e, annoiato dall'attesa, si dava lo slancio per continuare a dondolare.
La maggior parte degli uomini era corsa immediatamente sulla terra ferma, cercando asilo in locanda. O altro rum.
Lui aveva detto a Declan di precederlo e andare in avanscoperta, scoprire che razza di Città Flottante fosse Regno Sereno - non era segnato su nessuna mappa, non c'erano storie su di esso, né sembrava un posto di particolare interesse, a guardarla, sembrava un'isola che se ne stava lì, sospesa tra i cieli con la sua aria banale. Non aveva avuto nulla da ridire quando il braccio destro aveva richiesto la compagnia di Cassius; il Capitano aveva sollevato un sopracciglio e puntato un'occhiata penetrante verso il timoniere e, come previsto, questo aveva chinato il capo ed era rimasto in un silenzio religioso, aspettando umilmente il suo consenso.
Per i fottuti dèi, se solo ci fossero stati più uomini come lui, che sapeva stare al suo posto, gli dava soddisfazioni e, cosa più importante, riusciva a soddisfare anche gli appetiti sessuali del suo braccio destro.
Invece si ritrovava tra le braccia il peggiore degli insubordinati.
«Finalmente» ruggì piano, con la bocca storta in una smorfia seccata, quando si accorse del risveglio di Arashi.
Ancor prima di riprendere totalmente coscienza, Arashi aveva sorriso, sentendosi istintivamente al sicuro tra le braccia dell'uomo. Teneva la testa premuta contro la sua spalla e gli occhi azzurri cercarono subito quelli del capitano.
Sollevò le braccia, che tremarono per lo sforzo e Ronan gliele riabbassò con una mano, riportandogliele in grembo.
«Ti ho preso al volo» gli disse, immaginando fosse di quello che voleva parlargli.
Arashi aggrottò la fronte, lo guardò a lungo con uno sguardo stanco, ma così pieno d'espressione che era difficile non credere che fosse umano. O forse aveva vissuto troppo a lungo tra loro.
Ronan, però, non era così bravo a scovare le sfumature nei non detti di Arashi. Declan era più bravo, Declan era quello che sapeva tutto ancor prima che lo stesso Arashi lo pensasse.
Ronan, invece, non riuscì a capire cosa avesse voluto intendere con quell'occhiata.
Lasciò perdere, passò oltre.
«Puoi riposare ancora un po'. Li raggiungeremo quando avrai recuperato le forze.»
Il più piccolo annuì debolmente, con di nuovo lo sguardo di prima negli occhi.
Li socchiuse e prese fiato.
«Roharnan...» bisbigliò - una follata di vento fece dondolare più forte l'amaca.
«Cosa?»
Il Capitano della Vecchia Signora si chinò, avvicinando il volto alle labbra morbide di Arashi. Qualcuna delle ciocche argentate del ragazzo erano state sollevate dal vento e gli solleticarono il naso.
«Lo sapevo... che mi avresti presto...» sospirò - piccole scintille bluastre pizzicarono la guancia del pirata, aprendo minuscoli taglietti sulla pelle che odoravano vagamente di bruciato.
Ronan piegò le labbra in una smorfia dalle vaghe sembianze di un ghigno storto, gli ordinò «Dormi» e gli chiuse la bocca con un bacio.

«Oste, altro rum!»
Era la cantilena che da qualche ora andava avanti alla taverna collegata alla locanda Spirito Felice, ricavata dalla carena rovesciata di una vecchia nave militare, più vecchia dell'invenzione del meccanismo a vapore che aveva permesso alle aeronavi di volare.
I pirati avevano praticamente preso possesso della locanda e svuotato gran parti delle cantine che, tuttavia, parevano essere ben fornite e c'era sempre qualcuno che riempiva i boccali degli uomini.
Seduto ad uno dei tavoli vicino alla finestra, più in disparte rispetto al resto del gruppo, Cassius continuava a tenere d'occhio la strada.
«Sei impaziente, Cass» gli fece notare Declan. Sedeva al suo fianco, vicino, tuttavia, non avrebbe reso abbastanza bene l'idea - aveva spostato la propria seggiola in modo da poter avere la coscia addossata a quella del timoniere e, col passare dei minuti, aveva iniziato un'arrampicata sul corpo alto e massiccio del rosso. L'altro aveva tentato senza molto successo di impedirglielo, ma ad un certo punto si era semplicemente arreso e Declan aveva avuto tutto lo spazio di manovra per salirgli a cavalcioni sulle gambe.
Cassius deglutì rumorosamente.
Non aveva ingerito abbastanza rum per non risentire dell'imbarazzo, specialmente quando Declan iniziò a spingersi in colpetti del bassoventre contro il suo bacino, strofinando con una certa insistenza la patta dei propri calzoni contro il cuoio nocciola di quelli del timoniere.
«Non dovremmo aspettare il Capitano?» tentò di mantenere lucido.
Declan rise. Aveva un modo di ridere che Cassius trovava irritante e, contemporaneamente, affascinante: tirava indietro il capo, mostrando il collo e il pomo d'Adamo che si muoveva, si umettava le labbra e, guardandolo con occhi divenuti sottili lame opali, buttava fuori la sua risata in suoni lenti e calcolati, seducenti.
«Penso che il Capitano abbia ben altro a cui pensare, piccolo.»
Cassius represse un brivido. Non aveva ancora deciso se essere chiamato piccolo da Declan (che superava di almeno una buona quindicina di centimetri) gli piacesse o meno.
Il Vice Capitano della Vecchia Signora, però, non era intenzionato a farglielo decidere proprio quella sera; appoggiò mollemente un braccio alla sua spalla, con le dita che scivolavano in tocchi casuali ai suoi capelli, arrotolandone ciocche rosse intorno all'indice e infilò senza troppi termini l'altra mano nelle sue brache.
Cassius annaspò, spalancando gli occhi.
«Dovremmo anche noi pensare ad altro, non credi?»
«Declan...» mormorò l'uomo, afferrandogli il polso e cercando di reprimere (inutilmente) il rossore che gli aveva reso il volto dello stesso colore dei capelli «Siamo ancora in taverna.»
«Ah sì? E cosa credi di farvi a proposito?»
La mano del Vice Capitano continuò il suo percorso accarezzando il membro di Cassius, facendolo sobbalzare per il contatto con le sue dita, nella frizione della pelle calda dei suoi polpastrelli che iniziò a scendere e risalire per l'intera lunghezza, in un massaggio lento.
«De-Declan...» si sforzò nel mantenere un tono fermo, cercando ancora di estrarre la mano del pirata dai propri calzoni, nonostante il piacere che iniziò a risalire lungo la spina dorsale.
«Cassius» chiosò l'altro. Poi aggrottò la fronte, studiando il volto dell'uomo più giovane - sei o sette anni di differenza che, tuttavia, si notavano a colpo d'occhio. Nonostante la sua stazza, Cassius sembrava più giovane, forse per quell'aria timida che l'altro si divertiva a stuzzicare, ma era anche probabile che fosse per il mento sempre perfettamente rasato e i capelli leggermente lunghi e ondulati che ne rinfrescavano l'aspetto.
E poi era bello. Ed enorme (enorme ovunque) e amava potergli stare addosso, strappargli i vestiti (generalmente coi denti) e ammirare la perfezione dei suoi muscoli, il modo in cui si tendevano sotto lo sforzo, quando gli teneva le gambe sollevate e si faceva spazio tra le sue natiche o quando a stento tratteneva i gemiti (ed arrossiva come una splendida vergine) mentre Declan glielo succhiava e ingoiava il suo seme. E, per Saturnus, se era bello durante l'orgasmo. Ogni notte Declan ringraziava il proprio dio perché gli aveva fatto dono di un giovane uomo come Cassius e ogni notte si chiedeva se quella fosse la vita addatta a lui.
Il timoniere gemette, mordendosi subito la lingua, per non essere riuscito a trattenersi. Chinò il mento contro la spalla, seppellendovi contro la bocca e socchiuse gli occhi.
L'erezione si era fatta dura nei pantaloni, aveva riempito e gonfiato il cavallo e ora pulsava nella mano di Declan che continuava a masturbarlo. Poi, d'un tratto, l'uomo si fermò.
Cassius represse a stento un lamento di dissenso, aprendo la bocca solo quando fu sicuro che ad uscirgli sarebbe stato un sospiro di sollievo. Non per il piacere interrotto a metà e che lo aveva lasciato insoddisfatto, ma perché ora poteva tornare a respirare e a pensare.
Il Vice Capitano gli pinzò il labbro inferiore tra i denti.
«Andiamo in stanza» gli soffiò direttamente tra le labbra.
Cassius non ebbe nemmeno il coraggio di ribattere, sentiva il sangue pompare direttamente tra le gambe e la propria erezione puntava dritta contro il cuoio dei calzoni, quasi a reclamare di nuovo la mano di Declan o la sua bocca.
Declan gli appoggiò il palmo della mano su una guancia, sorridendogli. Tra la malizia che ne bagnava la bocca, il timoniere riconobbe una dolcezza affettuosa che il più delle volte era rivolta solo a lui.
Nemmeno con Arashi aveva mai avuto quel sorriso e questo lo faceva sentire speciale. Importante. Lo faceva sentire qualcuno, a dispetto di quello che suo padre gli aveva urlato contro quando lo aveva diseredato. Un giorno era il primogenito della casata dei Veritas, il giorno dopo non era nessuno.
«Alzati, Cass. Non ti vergognare, nessuno oserà dirti nulla» Declan gli parlò tra i baci che, piano, aveva iniziato a premere contro la sua bocca.
Cassius ricambiò ogni bacio, gli circondò la vita con le braccia e, facendo pressione con le mani alla base della sua schiena, se lo premette addosso, trascinandolo in piedi in sieme a sè. Le erezioni si schiacciavano l'una con l'altra, la frizione degli abiti lo caricava di nuova eccitazione e camminare in quelle condizioni non era tra le cose più facili che avesse mai fatto, ma, obbiettivamente, nemmeno tra le più difficili.
Declan, comunque, aveva avuto ragione: nessuno gli disse nulla, tra brindisi e ciance al vuoto, gli uomini di Blackscythe avevano altro a cui pensare e, quasi tutti ubriachi, festeggiavano la fuga dalla Divine e dal suo dannato ammiraglio.
Il timoniere fece per avviarsi verso la porta, quando l'altro lo fermò agitando un braccio verso il tavolo.
«Aspetta, la bottiglia prendiamocela» gli propose.
Cassius lo guardò non del tutto convinto.
«Non credi di aver bevuto abbastanza?»
«Oh, piccolo mio, sono un cazzo di pirata, il rum non è mai abbastanza!»
Avrebbe dovuto immaginarlo.
«In questo caso, ai tuoi ordini, Vice.»

La Divine era uno squalo bianco nel mare del cielo con l'unico compito di portare Giustizia nel mondo.
Il suo legno speciale, ricavato dagli alberi della Foresta Santa dell'Arcipelago Flottante di Libertatum, rifletteva i raggi del sole e della luna e, nel cielo, diveniva una saetta bianca perfettamente visibile anche ad occhio nudo e a nodi e nodi di distanza.
La bandiera della marina celeste con sfondo blu e stemma dorato era sempre issata sull'albero centrale e il terrore che sollevava nei cuori di chi la vedeva era molto simile a quello della bandiera nera di una qualsiasi aeronave pirata.
L'Ammiraglio Ismail Al-Doulat poggiava le mani al parapetto solido della sua aeronave e, nella notte, scrutava il cielo alla ricerca della scia nerastra della Vecchia Signora.
Ronan Blackscythe poteva pensare di essergli sfuggito ed esser corso via come un dannato cane codardo, ma quello schifoso pirata non aveva realizzato che a nulla sarebbero valsi i suoi tentativi di fuga.
Era finito il tempo in cui l'intera flotta Celestia giocava ad acchiaparello con lui, aumentando la taglia sulla sua testa e aggiungendone di nuove per ogni pirata e ogni bastardo che si alleava con lui.
Aveva preso personalmente il comando delle ricerche. Nel momento in cui aveva dato l'ordine, erano riusciti a trovare Blackscythe in meno di una settimana e per giorni gli erano stati alle calcagna.
L'uomo poteva anche aver ammaestrato un Signore dei Lampi, perché lo portasse il più lontano possibile, ma non sarebbe mai riuscito a nascondersi.
Ismail sorrise, battendo la mano guantata di bianco sul legno della nave.
«La senti, non è vero?» bisbigliò, chinandosi per parlare direttamente con la nave.
Dietro di lui si fece avanti il suo tenente, secondo in carica, una donna dal volto nascosto dietro una maschera di ceramica bianca con delle cesellature in metallo argentato aggiunte lungo i bordi dell'ovale.
«Ammiraglio, l'arma è stata caricata. Siamo pronti per ripartire.»
Ismail voltò il capo, accennando un sorriso appena visibile.
«Molto bene» affermò.
Tornò rivolto alla nave e riprese ad accarezzarla con la stessa cura che avrebbe avuto con un'amante, forse perfino di più.
«Conosci la Foresta Sacra, Mia?»
Mia, il tenente, annuì con un cenno leggero del capo. Una ciocca corvina scivolò ad accarezzare la maschera.
«Naturalmente.Questa stessa aeronave è stata creata con gli alberi dal tronco bianco come l'avorio che riempiono quella foresta, a ovest dell'Arcipelago dei Veritas.»
Ismael si voltò, poggiando il fianco contro il parapetto.
«Gli alberi di quella foresta hanno un potere sacro, non sono solo in grado di risplendere di luce propria, come fari nell'oscurità, ma riflettono il male, indeboliscono i demoni e ogni essenza negativa perisce tra le loro radici.»
Mia iniziò a capire dove volesse andare a parare l'ammiraglio, ma rimase in silenzio, per lasciare che l'altro continuasse a parlare.
«La fine di Blackscythe è solo questione di tempo» decretò, allargando un sorriso spaccato a metà da un taglio che gli attraversava in obliquo la bocca. Anche la lingua era stata ferita e, ormai cicatrizzata, si divideva in due punte, come la lingua di un serpente «Quello che, tuttavia, non tutti sanno è che anche il legno della Vecchia Signora proviene dalla Foresta Sacra. È stata ricavata dagli alberi del peccato, dal tronco nero che, a differenza di quelli bianchi, respinge la luce. Vedi, la Divine e l'aeronave di Blackscythe sono gemelle e l'una è attratta dall'altra; per questo quello sporco pirata potrà anche provare a nascondersi alla fine del mondo o dei cieli, ma io lo troverò ogni dannata volta.»
Mia, finalmente, comprese la sicurezza che per tutte quelle settimane d'inseguimento aveva pervaso l'Ammiraglio.
Blackscythe non aveva la minima chance, contro di lui.
«Faremo impiccare lui, Death Sentence, chiunque si opporrà e quel Signore dei Lampi che è riuscito a catturare, finirà nelle mie mani.»
«Ottimo, signore.»

Arashi si era svegliato di soprassalto, balzando seduto sul letto di Ronan.
Aveva di nuovo sognato il Castello della Luna Bianca ed aveva cercato il volto di suo fratello, affacciato alla Torre dei Lukøje, senza però trovarlo.
Ronan stava finendo di infilarsi un giaccone di cuoio nero, senza maniche. Si allacciò la cintura alla vita, infoderò la spada e ruotò il capo a guardare il più piccolo.
«Preparati. Scendiamo» gli fece, rimanendo a fissarlo per qualche lungo istante, a controllare che effettivamente si fosse ripreso.
L'altro annuì e si preparò.
Con sè aveva preso Moonie, il falcetto che Cassius aveva forgiato apposta per lui, infilato nella cintura dei calzoni, dietro la schiena. Un mantello grigio scuro gli avvolgeva le spalle e il cappuggio era sollevato sulla nuca, a coprire i lunghi capelli e adombrare il volto dai tratti di fanciullo.
Il porto li aveva accolti con la stessa calma stranamente serena con cui aveva accolto l'arrivo degli altri.
Incontrarono poche persone sul loro percorso e quando raggiunsero la Taverna, Declan, Cassius e una manciata di uomini si era tenuta pronta nella piazzola, seduti sul bordo della vasca di marmo rosa della fontana centrale.
Declan alzò il braccio, sventolando la mano per farsi notare da Ronan, sebbene non ce ne fosse motivo.
«Capitano» lo salutò, togliendosi dalla testa il tridente e muovendolo in un largo semicerchio, più per teatralità che per vera necessità.
Cassius era rimasto in piedi, il capo chinato all'avvicinarsi di Ronan e un sorriso in saluto ad Arashi, quando il ragazzino si precipiò loro accanto agitando la mano come un bambino.
«Il nostro Arashi si è ripreso bene, noto» disse Declan, in direzione del più piccolo tra loro.
Anche gli occhi degli altri tre uomini, Val il mezzocieco (un soprannome che si era valso a causa di una mira particolarmente scarsa) e i cugini di legno, dalla pelle brutta e butterata, così ringrinzita che pareva essere fatta di legno, in compenso la loro mira era quasi infallibile e a testa indossavano una decina moschetti celati tra giacca e cintura.
«Che diavolo di posto è questo?» chiese Ronan, piazzandosi davanti al gruppo, mentre Arashi si sistemava accanto al loro Vice, poggiandosi con la schiena contro di lui a usarlo come proprio appoggio personale. Declan sospirò e gli grattò il capo con una passata delle dita ruvide sopra il cappuccio, però non fece nulla per farlo spostare, invece riprese a parlare.
«La gente di qui a quanto pare è occupata coi preparativi di una qualche festa che si terrà questa sera.»
«La Festa della Pace» precisò Cassius.
«Con un ballo in maschera, gente! Un ballo in maschera a cui noi siamo invitati! Possiamo andarci? Fammici andare, Capo!» Val non ne aveva avuto abbastanza di alcol la sera prima, abituato a bere come una spugna, aveva ricominciato di nuovo da quella mattina presto e - come al solito - era già su di giri.
Ronan storse le labbra in una smorfia incattivita.
«Dove si è mai sentito che un pirata voglia partecipare ad un dannatissimo ballo in maschera?» sibilò.
«Ma non dev'essere un caso se il marmocchio ci ha portato proprio fino a qui, no?»
Tutte le occhiate si abbassarono su Arashi.
Il ragazzo sorrise mostrando i denti con l'aria furba di un furfante. Fece una pausa, per alimentare la curiosità degli altri (e l'impazienza del Capitano) e infine iniziò a parlare nel linguaggio dei segni.
Di tutti i presenti, soltanto Declan e Ronan riuscivano a seguirlo senza problemi, mentre Cassius stava ancora imparando e la notte, quando non era impegnato tra le cosce di Declan o al timone, il Vice Capitano si era preso la briga di insegnargli a parlarla - voglio che impari la lingua di Arashi e diventi suo amico, lui ti ha già in simpatia per il falcetto che gli hai forgiato, ma non servirà a molto se quando parlerà non potrai capirlo; gli aveva detto la prima volta. Cassius non ne aveva ancora capito il motivo, immaginava c'entrasse col fatto che Declan temeva che presto o tardi questa loro vita avrebbe chiesto un riscatto e che a pagarlo sarebbe stato proprio il timoniere. In ogni caso, aveva deciso di impararla non soltanto per lui, ma anche e soprattutto per se stesso, non era uno stupido e perfino un ex fabbro come lui sapeva che avere come amico un Signore dei Lampi sarebbe sicuramente risultato utile.
Declan sorrise e Ronan gli fece segno di tradurre in parole anche agli altri tre uomini, quanto avesse detto Arashi.
«Il nostro piccolo principino dei cieli dice che il Regno Sereno è stato l'epicentro della Guerra tra i Cieli prima dell'arrivo della Ferrovia Sospesa e di Millicent Miles.»
«Quella puttana...»
«Lascialo finire di parlare, Mezzocieco!» si intromise uno dei cugini.
Declan ridacchiò annuendo e proseguì.
«Saltando le nozioni di storia che tutti conosciamo e a nessuno fotte davvero, alla fien della Guerra dei Cieli, come sapete tutti è stato ucciso un Signore dei Lampi. Il suo corpo si è disperso in cielo, il suo sangue è piovuto sulla terra e il suo Rombo di Tuono con esso. Non fosse che l'allora giovane mugnaio Aladryl Fair lo trovò, lo usò per ricostruire questa città, per proteggerla con un incantesimo che la cancella dalla percezione di chiunque e ne divenne il Re. Da allora i suoi discendenti costudiscono il Rombo di Tuono come una reliquia sacra e, sorpresa delle sorprese, durante l'anniversario della fien della Guerra dei Cieli, ovvero la Festa della Pace, il Rombo di Tuono viene indossato da sua maestà durante il Ballo in Maschera.»
Durante il racconto, Arashi aveva sfiorato il proprio collo tra le dita. La casacca che indossava, non aveva bottoni o chiusure e rimaneva aperta sul busto snello ad accarezzare i due piccoli capezzoli color sabbia che di quando in quando, mentre si muoveva, scopriva. Aveva però un nastro nero stretto al collo, dal cui centro penzolava un teschietto in osso che si posava proprio all'incavo delle clavicole. Sotto il teschio, dove la pelle dorata era più o meno visibile, c'era come un disegno inchiostrato o un tatuaggio di cui rimaneva fuori soltanto una punta nera rivolta verso il basso.
Declan gli appoggiò una mano sulla spalla, un cenno veloce, più una rassicurazione che altro e lo allontanò infine da sé, per poter essere libero di muoversi verso Ronan.
«Cosa ne pensi, Capitano?»
«Se è vero che quel mugnaio mancato possiede un Rombo di Tuono, le cose cambiano.»
Fece cenno ad Arashi di tornare vicino a lui.
Il ragazzo obbedì, allungò un braccio per aggrapparsi al suo petto e si diede slancio per balzargli addosso, sedendosi sulla sua spalla destra, come un animaletto comodamente accoccolato sulle spalle del padrone.
«Lo vuoi?»
Arashi mosse un cenno d'assenso con il capo.
Ronan ghignò.
«Allora andiamo all'arembaggio.»
Il Mezzocieco e i Cugini di legno imbracciarono le spade, pronte a gettarsi in taverna per svegliare e richiamare all'adunata il resto degli uomini, ma Declan aveva un'idea migliore.
«Capitano, con tutto rispetto... è un Ballo in Maschera, godiamocela per una volta. Perfino il Mezzocieco non vede l'ora di partecipare.»
«Mi prendi per il culo, Dec?»
«Eddai, immagina solo con quanta roba buona potremo ingozzarci. E tu avrai occasione di ballare con un Signore dei Lampi.»
«Non sono interessato a queste minchiate.»
«Tu no, ma Arashi è di sicuro impaziente.»
Il più piccolo, infatti, aveva battuto le mani, annuiva ripetutamente con il capo e agitava le gambe snelle fasciate da un paio di calzoni corti sino alle ginocchia.
Ronan lo guardò irritato da tanto entusiasmo.
Fanculo a quel moccioso di merda.

In un certo senso si poteva dire che avessero fatto shopping.
Non era certo colpa loro se prima di tutto erano pirati e non erano abituati a pagare per ciò che volevano; erano più a favore del prendere, depredare, razziare, rubare e derivati di quel genere. In seconda battuta la sicurezza delle boutique era quantomai ridicola, un po' come la presenza di per sé di qualcuno che effettivamente le gestisse.
Fatto eccezione per la taverna e la locanda, in cui oste e una coppia di simpatici vecchietti li avevano accolti, il resto di Regno Sereno sembra composto da una distesa di strade ed efici fantasma.
Alla fine, dunque, Ronan aveva semplicemente dato ordine ai sei di prendere quello che volevano, vestirsi in ghingheri e presentarsi al Ballo in maschera. Gli altri, invece, potevano rimanere alla locanda e darsi il cambio con quelli che aveva lasciato a controllare la Vecchia Signora. L'unico che proprio non ne aveva voluto sapere niente era, come al solito, lo Storpio.
In ogni caso, Declan era fiero del lavoro che aveva fatto.
«Altro che pirata, dovrei fare il consulente di moda» aveva trovato abiti e maschere per tutti e nessuno, a guardarli li avrebbe scambiati per un manipolo di cani pirati. Perfino i cugini di legno, avvolti da ampi svolazzi di foulard di seta viola a righe nere e dalle maniche gonfie delle camicie, riuscivano a fare una figura decente.
Cassius abbozzò un sorriso.
«Con Arashi e il Capitano mi sono proprio superato, ma tu, caro mio, sei una visione per i miei occhi» gli disse Declan, battendogli una pacca sul sedere sodo, granitico.
L'altro non commentò.
«Cosa c'è? Non stai per dirmi che non sai ballare, vero?»
«No, no, a dire il vero ne sono in grado...»
«Sul serio? Questo non me l'aspettavo... partecipavate a molti balli voi della Solida & Brillante.»
Il sorriso stiracchiato di Cassius divenne una risata un po' più sentita, lo sguardo però era attraversato da un velo di tristezza e nostalgia che il Vice Capitano gli riconobbe quasi subito. Non esisteva pirata famoso che non conoscesse occhi di quel genere o non avesse provato le stesse cose prima o poi, ad un certo punto della vita.
«Preferisci non andare, piccolo?» sollevò il braccio ai suoi capelli, afferrandone una ciocca con gentilezza per tiracchiarla in basso, verso di sé e avere così libero accesso alla sua bocca. Lo baciò lentamente, con le labbra e con la lingua e Cassius socchiuse gli occhi, lasciandosi circondare dalla sensazione calda che provava ogni qualvolta era vicino a Declan, o quando l'altro lo baciava.
Avrebbe potuto spiegargli, raccontargli di quella che era stata la sua infanzia, del fatto che c'era stato un tempo in cui era più di un fabbro. Era ricco. Era nobile. Era figlio di un Veritas e aveva fatto tutte quelle cose da ricco che agli uomini di Blacksmythe facevano soltanto ridere.
Invece preferì scuotere il capo e circondargli la vita con un braccio, mentre l'altra mano gli raccoglieva le dita nel palmo, iniziando a condurlo a passo di danza verso il salone principale.

«Che cazzo ha combinato quell'idiota?»
Ronan si sentiva imbrigliato. Gli abiti che Declan aveva scelto per lui, gli toglievano il fiato. Perfino la giacca di pelle era stata sostituita da una più elegante, stretta che pur da aperta si rimodellava sui suoi fianchi e si allungava dietro oltre le ginocchia, aprendosi in una doppia coda.
Diversamente dal suo solito nero, quella sera vestiva di blu. Blu scuro, ma pur sempre blu.
La maschera, invece, era argentata, gli copriva solo la metà sinistra volto e si mescolava tra i capelli castani con una lunga piuma nera e vaporosa che ricadeva dietro la nuca.
Avevano superato senza problemi la pseudo vigilanza ed era stato quasi ridicolo il fatto che non ci fosse qualcuno dei Celestia a controllare gli invitati; Ronan sapeva come quei bastardi si divertissero in feste e celebrazioni come quella e sapevano che c'era sempre qualche pirata o qualche criminale da buttare in gattabuia.
Il problema però si era presentato poi.
Declan e Cassius avevano ritrovato una vecchia conoscenza, una marmocchia che aveva parlato per tutto il dannato tempo e li aveva condotti alla Sala da Ballo, dove finalmente si era tolta dai piedi.
Arashi, invece, non si era fatto vivo. Declan gli aveva consigliato una fottuta entrata in grande stile e il moccioso, ovviamente, gli aveva dato retta ed era rimasto indietro, a indossare gli abiti che l'altro aveva scelto per lui, attento a non farsi vedere da Ronan, come se non fosse stato lui il suo Capitano. O come se Ronan amasse le fottute sorprese.
No.
Le odiava. Le odiava con tutto se stesso.
E quando Arashi si era presentato oltre i portoni spalancati della Sala da ballo, ogni singolo sguardo era stato puntato a lui.
Ronan si sentì senza fiato, ma era sicuro che gli abiti non c'entrassero nulla.
Dall'altra parte della Sala, Declan - ovviamente vicino a Cassius - aveva ricercato il volto del Capitano e, una volta, trovato, gli aveva schioccato un occhiolino divertito. L'idiota.
Ed Arashi aveva avanzato.
Passi piccoli, leggeri, eleganti come una piuma che si lascia trascinare dal vento.
Ronan l'aveva visto nudo, l'aveva visto vestito, l'aveva visto eccitato, l'aveva visto piangere e ridere e sapeva quanto bello potesse essere un Signore dei Lampi. Arashi era bello quanto il cielo dopo la tempesta, quanto un fottuto arcobaleno dopo una giornata di pioggia.
Arashi era bello come l'universo.
Ma così non l'aveva ancora mai nemmeno immaginato.
I capelli lunghi erano sciolti, rivoli argentati che colavano morbidamente sulle spalline di un abito da ballo. Un abito femminile, bianco, che gli fasciava il busto snello e gli lasciava nuda la schiena, a formare una U ampia che quasi scopriva la curva dei glutei. C'era un certo erotismo erotico in quell'abito, nel modo in cui la seta scorreva lungo le gambe, aprendosi in una spaccatura sulla coscia destra e poi strascicando la stoffa in terra, volutamente lunga. Dalla spaccatura, riusciva a vedere il pizzo grigio argento che spuntava all'altezza dell'inguine.
«Per gli dèi...» mormorò Ronan.
Il Signore dei Lampi indossava intimo femminile.
Ed era così maledettamente eccitante che la sola idea di tutti quegli occhi puntati a lui - ad una sua proprietà - gli avevano fatto scaldare il sangue nelle vene.
Arashi sollevò gli occhi su di lui. La maschera che indossava, contrastava con il candore dell'abito. Era nera e a differenza di quella di Ronan, era uno spicchio che gli copriva un quarto del volto, allungandosi con ali di gemme bianche a seguire il disegno dell'occiho destro e poi terminando in una punta lungo la mascella.
Gli occhi azzurri, puntinati di stelle dorate, sembravano perfino più intensi e brillanti quella sera. Guardavano dritto verso il capitano e le labbra erano piegate in un sorriso dolce a cui perfino Ronan, dalla sua distanza, non riuscì a resistere; lo sentì scioglierlo e quando Arashi avanzò verso di lui, lo accolse a braccia aperte, piombandogli addosso in un abbraccio per stringerlo immediatamente a sè.
«Mi appartieni» gli sussurrò contro l'orecchio,sentendosi in dovere di rimarcare il suo possesso «Appartieni a me. A me.»
Arashi rise senza suono, si alzò sulla punta di scarpe femminili con un tacco abbastanza alto da regalargli qualche centimetro in altezza e posò un bacio soffice alla sua bocca.
Gli apparteneva e non avrebbe desiderato altro.

«Ammiraglio, aeronave in vista!»
Il cielo si era fatto grigio. L'aria era immobile. Le nuvole sparite.
Era come se quella zona di mondo non esistesse nemmno o fosse sospesa nel tempo e Ismail aveva percepito una strana sensazione percorrerlo per l'intero corpo ed era stato sicuro che la stessa cosa era avvenuta alla sua aeronave.
La Divine li aveva guidati sino a lì, attirata dalla Vecchia Signora, ma qualcosa non andava.
I cieli tacevano.
«Avete preparato l'arma?»
«Sissignore.»
Si sistemò la giacca della divisa e passò la mano sulle stellette appuntate al petto.
Le sue due spade erano nelle fondine e l'arma con cui avrebbero finalmente catturato il Signore dei Lampi per strapparlo dalle grinfie di Blackscythe, così come sarebbe dovuto essere da sempre, era pronte.
«Molto bene» sorrise. Un sorriso piccolo, crudele, affamato di giustizia.
E lui, più di tutti (perfino più di Death Sentence che credeva di poterla donare a piacimento) era la rappresentazione della Giustizia Divina.
Lui. La sua Divine. E le sue Ali.
«Catturate quei pirati e chi si opporrà alla legge della Celestia, uccideteli.»
«Sissignore.»
Finalmente l'era del Capitano Blackscythe e della sua Vecchia Signora sarebbe arrivata ad una fine.

[cow-t], character: cassius veritas, [oneshot], pairing: cassiusxdeclan, character: arashi, [challenge], [original], [cowt8], character: ismail al-doulat, pairing: ronanxarashi, character: ronan blackscythe, [serie], character: declan, serie: cronache di una vecchia signora

Previous post Next post
Up