Rating: PG-16
Genre: sentimentale;
Words: 823
Prompt: Missione 6 - giustizia
Disclaimers: I personaggi sono miei
Scritta per la 8° Settimana del
Cow-t8 @
lande di fandom E poi c'era lei: Justice.
Che non era davvero un "poi", perché se ci pensava bene, se cercava di ripercorrere ogni tappa della propria vita, lei era stata la sua "e", più che il suo poi. La sua congiunzione, più che il suo avverbio di tempo. La prima boccata d'ossigeno con cui far prendere fiato per cominciare una frase.
Era stata una boccata d'aria fresca tra le sbarre della prigione femminile ed era nientemeno che la sua compagna di cella, tanto perché il destino amava sempre mettere il becco nelle faccende di America - era finita in prigione per frode al posto del suo fidanzato, le aveva detto che l'aveva fatto perché così avrebbero avuto i soldi per il matrimonio e, ciliegina sulla torta, lui era scappato con la sua fottutissima segretaria che, naturalmente, si scopava da parecchi mesi prima.
Per fortuna, però, America era stata arrestata prima che potesse mettere le mani addosso a quel cretino di cui non ricordava nemmeno come si fosse innamorata. Presumeva fosse stato uno di quei colpi di fulmine che le erano capitati fin dal liceo e che più spesso di quanto avesse voluto ammettere, finivano per spezzarle il cuore o farle sbattere la faccia davanti al muro della realtà. E la realtà era che gli uomini erano tutti dei bastardi.
«Giù da lì, puttana, quello è il mio letto.»
E poi, come già detto, c'era lei: Justice. Riccioli rossi, fuoco nello sguardo e un dito medio come risposta per, praticamente, qualsiasi domanda.
Parlava senza mezzi termini, solitamente insultando, come la prima volta che era entrata in cella e aveva letteralmente buttato giù America dal letto.
«Troppo lenta» si era giustificata.
«Troppo stupida» aveva detto la seconda volta (anche se, questa volta, il letto su cui stava era il proprio, quindi non c'era veramente necessità di farla cadere).
«Troppo divertente.»
La terza volta, America, aveva iniziato a vederci un pattern.
«Troppo bella.»
Alla quarta, quando si era ritrovata sdraiata per terra, con la testa dolorante per aver sbattuto sul pavimento e le mani di Justice che le premevano le spalle, per schiacciarla giù, mentre si sedeva a cavalcioni su di lei, l'aveva guardata dal basso come se si fosse trattato della Statua della Libertà giunta lì per spiegarle che il sistema di giustizia americano faceva acqua ovunque e che non c'era altro da fare se non finire di scontare la sua pena.
Ma Justice non si era limitata a parlare. Invero aveva smesso nel momento stesso in cui si era piegata su di lei e l'aveva baciata.
Per America era stata la prima volta, per Justice era evidente di no, ma da allora non avevano mai smesso di farlo. Ogni occasione era buona perché la donna la afferrasse per i capelli per baciarla, la spingesse contro la parete umida delle docce comuni, si infilasse nel minuscolo lettino di America o la spintonasse contro la rete del cortile, solo per ficcarle un metro di lingua in gola e le mani sotto la maglia della divisa carceraria. E nemmeno Frank (quello stronzo, bastardo, figlio di una cagna di Frank a cui augurava di essere scopato con una mazza chiodata!) sapeva palparle i seni a quel modo, modellandoli tra le dita come se fosse creta, tiracchiando i capezzoli fino a farla muggire di piacere.
Justice, invece, faceva quello e molto altro. La faceva sentire più donna di quanto il suo fidanzato non fosse mai riuscito in tre anni, la faceva sentire voluta perfino quando le dava della puttana per aver mangiato l'ultimo boccone della schifosa poltiglia verde che chiamavano budino invece di condividerlo con lei e la faceva sentire speciale perfino quando la sera si infilava nel suo letto e le si avvinghiava addosso, affondando il volto tra i suoi capelli rovinati.
America ridacchiò poggiando la schiena contro le sbarre della cella. La porta era aperta, per l'ora d'aria, ma lei aveva deciso di attardarsi nell'uscita verso il cortile, fantasticando insieme a Justice di piani di fuga che nessuna delle due sarebbe mai stata in grado di portare a termine.
«Ma se ci riuscissimo, diventeremo famose, i nostri nomi, in fondo, sono orecchiabili come quei due: Bonny & Clyde.» America sollevò la mano a formare un semicerchio nell'aria, seguendo idealmente il titolo di un'insegna o di un articolo «Justice in America.»
La rossa la spintonò malamente, uscendo dalla cella.
«Tu sei tutta scema» sbottò, portando una sigaretta (era riuscita a strapparla da un'altra detenuta e America non aveva avuto il coraggio di chiederle come avesse fatto) incastrata tra i denti.
America si strinse tra le spalle e lei si voltò a farle cenno di uscire.
«Muovi quel bel culo che hai, non voglio perdermi l'ora d'aria.»
E poi c'era Justice, e lei non era il suo "poi", era più la sua "e", come quella di Bonny & Clyde. Era più come le virgolette aperte di un discorso ancora tutto da cominciare.
Era la sua ora d'aria in un carcere femminile.