Rating: PG
Genre: introspettivo
Words: 461
Prompt: Missione 2 - Isola
Disclaimers: I personaggi sono miei
Scritta per la 7° Settimana del
Cow-t8 @
lande di fandom Tic-tac, faceva l'orologio.
Era un piccolo orologio da taschino, sul coperchio vi era incisa la runa di Uruz, il destino e ogni volta che cliccava il piccolo bottoncino per aprirlo, le lancetta brillavano e si muovevano ad indicargli il cammino che avrebbe dovuto percorrere. Aveva cercato più di una volta di spiegarlo a sua madre (lo vedi quel simbolo, mamma? Quello che indica la runa di thurisaz? Ecco, quello funge da protezione, significa che sta per accadere qualcosa di pericoloso), ma lei aveva sempre risposto con una scrollata di spalle e uno sbrigativo "Sì, sì, la vedo, ora però vai a prepararti per la scuola o farai tardi, Colin".
Avere dodici anni e possedere un orologio del destino (e di conseguenza avere nelle proprie mani il destino del mondo) non era cosa da tutti. Colin ne era consapevole e prendeva il suo compito seriamente. Certo, se solo qualcuno gli avesse rivelato più chiaramente quale, di preciso, fosse stato questo compito.
Salvare il mondo? Proteggere l'orologio magico? Salvare una principessa e sconfiggere il drago?
L'aveva trovato un giorno sulla federa pulita del proprio cuscino, con la catenella argentata che penzolava giù dal letto e il rischio che scivolasse giù e si rompesse in mille pezzi. Non era caduto, però, e Colin lo aveva preso in mano pieno di curiosità e, affascinato, aveva passato la punta dell'indice sul simbolo del coperchio. Da subito aveva saputo cosa significasse, suo padre gli aveva insegnato a leggere le rune e, istintivamente, si convinse che doveva essere stato lui a darglielo. Suo padre.
Non c'era più. Sua madre gli aveva detto che li aveva abbandonati, ma Colin sapeva quale fosse la verità. Certo, se invece di lasciargli uno strano orologio da taschino che, giorno per giorno, gli indicava la via da seguire, lo proteggeva dai nemici e lo aiutava ad avverare il destino per cui era chiaramente nato, gli avesse lasciato un biglietto, un post-it colorato o una nota a margine di una cartolina da qualche Isola del Pacifico, forse sarebbe stato meglio.
Ma forse il bello di quell'orologio era anche quello.
La sera, tra le coperte, Colin ne guardava le lancette luminose e immaginava suo padre che falciava vegetazione alta due metri in un'isola deserta e pericolosa, alla ricerca di un tesoro o combatteva pirati o, ancora, era un pirata. Non sapeva perché, l'isola c'entrava sempre nelle sue fantasie, forse perché una volta aveva sentito sua madre dire qualcosa a proposito di suo padre scappato su un'isola a godersi la vita con una certa Trisha.
Suo padre, però, non l'avrebbe mai fatto, no, cliccando il bottoncino che faceva scattare il coperchio, Colin sapeva quale fosse la verità e, prima o poi, se lui avesse fatto le cose per bene, suo padre sarebbe tornato.
Tic-tac, faceva l'orologio.