Characters: Charles Xavier; Erik Lehnsherr;
Pairing: ErikxCharles { cherik };
Rating: NC-14;
Genre: Inrtospettivo; Slice of lice;
Words: 864
Warning: au; slash;
Prompt di: Sharon Tuccio ~ Vorrei un continuo del promt di Alice Sacchini (se a lei non dispiace) di loro due che si incontrano settimane dopo sul luogo di lavoro di uno dei due (decidi tu) e sono costretti a essere terribilmente formali, quando in realtà vorrebbero solo imboscarsi in bagno
Disclaimers: I personaggi degli X-Men appartengono a chi di diritto.
Scritta per l'UST Day della
Winter is Coming Week @
We are out for prompt Era un labirinto di vetro e metallo quello in cui Charles si era trovato incastrato, dove uomini d'affari gli camminavano accanto squadrando freddamente lui e i due con cui era arrivato e i pensieri gli riempivano più forte la testa.
C'erano momenti, come quello, in cui aveva la sensazione che l'intero mondo lo guardasse, che sapesse di lui e della sua follia { delle voci che sentiva nella testa quando i farmaci smettevano di fare effetto }, dei problemi che lo seguivano, e non aspettasse altro che di rivelarli per togliergli tutto quel che possedeva.
«Questo posto è ridicolo.» aveva commentato Raven, le mani infilate in un cappottino bianco panna preso in prestito - rubato - da una delle eleganti donne che era capitato visitasse l'orfanotrofio Xavier. Nonostante gli anni passati, non era ancora riuscita a smettere di cercare di essere qualcun altro, rivestendosi dei loro abiti ed appropriandosi dei loro gioielli.
«Sei sicuro che questa volta ci ascolteranno?» aveva chiesto Hank, poco prima che la segretaria risollevasse gli occhi dalla propria scrivania, rivolgendo loro un'occhiata annoiata.
«Mister Lehnsherr può ricevervi ora.»
Lehnsherr. Erik Lehnsherr. Proprietario della Lehnsherr Bank.
Era stata una sorpresa quando occhi azzurri si specchiarono in altri altrettanto azzurri, altrettanto impreparati a quell'incontro.
«Erik. Lehnsherr.»
Senza distogliere lo sguardo da quello di Charles, Erik si presentò: nome, cognome e una mano tesa.
Charles la strinse e, tra i loro palmi, sentì richiudersi i gemiti di una notte, i baci umidi che avevano percorso ogni centimetro di pelle e i corpi fusi l'uno con l'altro, in una stanza d'hotel sommersa dalla musica delle discoteca vicina.
«Charles?»
Hans gli sfiorò una spalla. Sussultò, allontanando la mano da quella di Erik, scottato da un pensiero - una voglia - e con la bocca improvvisamente secca.
«Scusate.» disse, rivolto a nessuno in particolare «Il mio nome è Charles Xavier.» non era sicuro che l'uomo lo ricordasse - non era sicuro che avesse sentito a sua volta quel bisogno urgente di scappare o, quello ancor più urgente, di rimanere e riprendere da dove avevano lasciato qualche settimana addietro. Con un cenno del braccio indicò alla propria sinistra «Loro collaborano con me alla direzione dell'orfanotrofio: Hank McCoy» e poi alla propria destra «E mia sorella Raven.»
Lì sentì masticare un «Piacere.» più o meno convinto, ma era troppo concentrato nel cogliere ogni piega delle labbra di Erik per ricordarsi il motivo per cui si fosse presentato alle porte dell'ennesima banca (questa doveva essere quella giusta, l'aveva sentito, ma non ne era più così convinto) e perfino per dare retta alle voci che bussavano alla sua testa.
«Prego, sedetevi.»
Erik si sforzò di rivolgere un'occhiata a tutti e tre - o così era sembrato a Charles - e si accomodò a propria volta alla poltrona oltre la scrivania, i gomiti poggiati sul legno scuro e le dita incrociate davanti al mento. «Dunque, perché le altre banche le hanno rifiutato un prestito, signor Xavier?»
«Come fa a dirlo?»
«Perché chi dirige un orfanotrofio, Charles, non viene a chiedere soldi alla mia banca.»
Fu veloce, in un certo senso elegante, il modo in cui il nome di Charles era rotolato sulla lingua di Erik e poi giù, oltre le labbra, cadendo in quel discorso come se avessero già condiviso altri affari insieme, oltre che un letto e un orgasmo.
Hank affondò le dita nei braccioli della poltrona. Raven raddrizzò la schiena, accavallando le gambe e assottigliando lo sguardo; si tesei in avanti ed allungando il collo sottile «Charles, è evidente che stiamo perdendo tempo.» c'era una minaccia sottile nel velluto della sua voce.
Charles le posò una mano al braccio, in un gesto di rassicurazione e riprese parola.
«Tempo fa sono stato ricoverato in un ospedale psichiatrico.»
Dirlo ad alta voce fu come togliersi un peso. Dirlo ad Erik fu come aprirgli uno spiraglio in se stesso.
«Fantastico.» borbottò Hank, levandosi gli occhiali per pulirne nervosamente le lenti nella maglia.
«Per quanto a qualcuno piaccia crederlo, non sono pazzo, mister Lehnsherr. Beh, un po' forse, nell'essere stato sincero con lei.»
Lo spiraglio divenne una porta aperta. Non si era mai nascosto, Charles, dalla verità, non vedeva futuro in un rapporto basato su menzogne.
«Lo vedo.»
Erik annuì, si tirò indietro sulla poltrona, incrociò le braccia al petto e rimase in silenzio. Rivolse un sorriso divertito in direzione di Raven, apprezzandone la sfacciataggine dei gesti e l'affilatezza dello sguardo, ma tornò ben presto su Charles, spogliandolo con gli occhi di abiti, pensieri e decenza.
«Perché non ne discutiamo a cena?»
«Non ci ha appena invitato tutti a cena, vero?»
«No, signor McCoy.»
Hank era riuscito a sentirlo sulla pelle, quell'invisibile campo di forza che Lehnsherr aveva iniziato ad erigere intorno a se stesso e a Charles: l'aveva sentito - un po' se ne era spaventato - e stupidamente aveva cercato una spiegazione, quando era già tutto perfettamente davanti ai suoi occhi.
«Dunque, ne discuteremo a cena, signor Lehnsherr.»
E Charles sorrise.
«Prima che me ne vada, non mi ha detto l'indirizzo del ristorante.»
«Nessun ristorante. Ceneremo nel mio appartamento.»
«Potrei iniziare a pensare che abbia intenzioni di sedurmi.»
«Quello l'ho fatto, ora voglio tutto il resto, Charles.»
«…a più tardi. Erik.»