Titolo: Walk On The Wild Side
Autore: me medesima ^^
Fandom: Fullmetal Alchemist
Personaggi: Roy Mustang - Jean Havoc - Edward Elric - Nuovi personaggi assortiti
Pairing: Roy/Jean
Rating: NC17
Genere: Long fic- Introspettiva - Erotica
Conteggio parole capitolo: 2300 (contatore word)
Avvertimenti: Yaoi - PWP - Scene di sesso descrittivo - linguaggio - violenza - e altro ancora. Tutto il peggio, grazie.
Riassunto: Non so esattamente com’è cominciata.
Dalle poche informazioni che mi sono arrivate, pare risalga ai tempi della guerra di Ishbar e si è consolidata col tempo tanto da diventare una tradizione.
Un passo obbligato per ogni giovane soldato che voglia sperare di far un minimo di carriera...
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà di Hirumo Arakawa che ne detiene ogni diritto. Non ho la pretesa di guadagnarci se non in fantasia.
Note: Secondo capitolo.
Qui il primo 2.
“Ieri sera è successa una cosa interessante, Havoc”.
Ed mi incrocia in caserma durante una pausa sigaretta. Due minuti fa ero qui che rimuginavo tra me ed ecco che Acciaio mi si affianca e parla, quando è l’ultima persona con cui ho voglia di conversare.
“Ah, sì?”, dico pro forma.
Quello mi fissa assottigliando lo sguardo. Mi sento dissezionato. Mi muovo nervoso sulle gambe e sbotto:
“Beh, cos’è successo di così sensazionale?”
“Non ho detto sensazionale, Havoc. Ho detto interessante. E lo è soprattutto per te.”
Odio chi si prende pause per creare suspense. Penso di odiare anche la suspense.
Oggi poi sono nervoso. Terribilmente nervoso.
“Hai presente il vecchio satiro col gusto di azzannare?” mi chiede con un sorriso sulle labbra.
Annuisco.
“Ha proposto al Colonnello uno scambio. Quello ti vuole, Havoc. E alla lunga temo che ti avrà.”
Chino il capo e sospiro. Non oso dire altro. Non è divertente fare lo schiavo ma farlo per quel pezzo di stronzo sarebbe molto peggio.
“Hai presente il tizio nuovo appena arruolato, quello con gli occhioni enormi da ragazza? Il pivello timido e riservato con quel culo da favola?”
Faccio segno di no un po’ perplesso dal repentino cambio di argomento.
“Beh, il vecchiaccio l’ha preso come schiavo appena ha messo piede in caserma. E’ lui che ha proposto per lo scambio e quella merda del Colonnello sembrava interessato.”
Mi osserva a lungo ed io mi studio di fare una faccia indifferente. Non ci riesco un granché bene. Sono agitato. Aspiro una lunga boccata dalla sigaretta e gli faccio un cenno come per dirgli che ho capito.
“Dovrebbe esserci un altro festino tra una decina di giorni. Toccherà a te, stavolta. Vado in missione.”
Si incammina lungo i gradini, poi si volta e mi fa: “Buona fortuna!”, con quel ghigno stampato sul viso. Ci mette un attimo a sparire all’interno.
Getto il mozzicone con stizza. Non ho voglia di rientrare.
Cazzo.
Passeggio avanti e indietro aprendo e serrando i pugni.
E intanto rimugino ancora sul comportamento del Colonnello. Sulla conversazione avuta prima del festino di ieri.
“A che ora, Colonnello?”, avevo chiesto.
Lui era seduto alla sua scrivania e non mi guardava, intento su certe carte.
“No”, mi ha risposto distratto. “Tu non vieni. Non mi servi. Porto Acciaio.”
Avrei dovuto mordermi la lingua ma d’istinto gli ho chiesto il perché. Con una voce anche abbastanza seccata.
Lui ha alzato gli occhi solo un secondo per riabbassarli subito.
“Perché non mi servi, te l’ho detto. Non voglio grane. Voglio solo godermela.” Ha fatto frusciare le carte e poi: “Hai altro da aggiungere, Havoc?”
“Sì,”, ho risposto secco. “Perché non mi libera visto che non la soddisfo?”
S’è fatto una risata e ha alzato lo sguardo.
“Non hai imparato proprio un cazzo di quello che ti ho insegnato. Sei idiota o cosa? Se ti mollo ora sei schiavo libero per chiunque ti reclami. Non hai finito il tempo.”
Sono rimasto a fissarlo caparbio. Lui ha sorriso malignamente e ha aggiunto. “Se vuoi essere liberato ti posso accontentare, però dopo non voglio sentirti piagnucolare.” Il ghigno gli si è poi sciolto dal viso. “Avanti, ti prego, chiedimelo!”
Me ne sono andato senza rispondere, ma lui ha trovato lo stesso il modo di farmi fuori.
Crollo il capo e rientro.
Mi siedo rigido alla mia scrivania e fisso lo sguardo sulle pratiche da sbrigare.
Non m’ero mai accorto di quanto chiasso ci fosse in questa stanza. Ora mi disturba. Mi massaggio le tempie coi polpastrelli e chiudo gli occhi cercando di alleviare un principio di emicrania. Sbuffo e guardo l’orologio.
Non manca poi molto al ritorno a casa. Sospiro e torno a fissare le carte.
Con la coda dell’occhio mi accorgo che il Colonnello si è alzato dalla scrivania su cui è rimasto fisso per tutto il giorno, con l’aria svagata e annoiata che ha di solito quando gli tocca il lavoro d’ufficio. L’ho visto anche dormire con la testa riversa sul petto. L’ho sentito pontificare, sbraitare e dare ordini insulsi.
Ora si dirige verso di me. Non si ferma, ma ha il tempo di ordinarmi di restare oltre l’orario perché deve parlarmi.
Sospiro esausto. Ricominciano le lezioni. Vorrà sincerarsi che mi comporti bene, mi farà ripetere all’infinito le regole degli schiavi fino a che le parole perderanno di significato. Non si accontenterà di sentirmi dire che ho compreso. Vorrà una dimostrazione ed io mi sentirò di nuovo un idiota a far finta di gemere e godere seduto di fronte a lui su un basso sgabello senza che nessuno mi stimoli realmente.
Devo chiudere gli occhi per riuscirci e immaginare, perché il Colonnello non mi permette neanche di toccarmi. “Il più delle volte provare piacere non è facile, ma tu devi sembrare una troia in calore sempre e comunque.”
Questa volta mi terrà fino allo sfinimento, lo so. L’ho fatto incazzare sul serio.
Ora la stanza è silenziosa. I colleghi sono andati via tra svolazzar di mani e sorrisi stronzi. Hanno poco da ridere. Mi trovo a sperare che qualcuno li noti o che ci sia un’improvvisa moria di schiavi tanto che i padroni si debbano accontentare di gente come Breda. L’amarezza e l’astio mi lasciano un sapore amaro in bocca. Haymans non lo merita. Se fossi stato dall’altra parte della barricata l’avrei fatto anch’io. E’ così che vanno le cose in caserma.
Il Colonnello continua a lavorare con la testa bassa dopo avermi fatto sedere su questo cazzo di sgabello. Non ha più aperto bocca e sarà passata almeno un’ora.
Tutto questo non aiuta la mia fame, la mia stanchezza e quest’ansia.
E poi si alza con una sbuffo gettando la penna sul tavolo. Il tintinnio mi fa sobbalzare. Si avvicina svelto e senza dire una parola mi slaccia la giacca e i primi bottoni della camicia fino a svelare la curva del collo. Con l’indice segue l’alone quasi invisibile del livido.
“Dunque, una settimana…”, dice soprappensiero. “Tra dieci giorni sarà scomparso.” Lo guarda con un’espressione concentrata, passandosi le mani tra i capelli, poi con uno scatto prende la sedia e si piazza davanti a me.
“Allora, Havoc, elencami le regole e sii preciso.”
Scatto ancora. Sono veramente troppo teso. Prendo un respiro e comincio ad enunciare le poche leggi con voce atona: “Lo schiavo ha l’obbligo di ubbidire ciecamente al proprio Padrone e ai Padroni di grado superiore. Se qualche Padrone di grado inferiore gli impartisce un ordine deve obbligatoriamente aspettare il parere del proprio, ma se è altrimenti occupato servire comunque che gli ha fatto la richiesta per poi riferire. Il Padrone deciderà a sua discrezione se la richiesta era effettivamente legittima e pretendere in seguito il pagamento. Inoltre, se il Padrone ritiene lo schiavo manchevole di una pronta informazione o se pensa non ci fosse valido motivo di agire senza preventiva richiesta, può decidere la punizione da infliggergli come meglio crede.
Lo schiavo ha l’obbligo di partecipare attivamente a qualsiasi contatto fisico richiestogli dimostrando impegno e piacere con le opportune modalità. Il padrone avrà cura d’indottrinarlo poiché una mancanza dello schiavo causerà la perdita del pagamento o dello scambio. La punizione in questi casi sarà d’entità maggiore alla precedente, sempre a discrezione del Padrone.
Lo schiavo ha l’obbligo di effettuare una visita medica mensile e di consegnare l’esito al suo Padrone. L’inadempienza dello schiavo verrà certamente punita con la fustigazione ed inoltre il suo Padrone potrà essere retrocesso di grado. In questo caso il Padrone può aggiungere un’ulteriore punizione.
Lo schiavo subisce queste punizioni pubblicamente. Ogni Padrone, di qualsiasi grado, può partecipare attivamente qualunque sia il volere del Padrone dello schiavo. Non avrà per questo alcun pagamento.
In caso di rapporti privati tra schiavo e Padrone e nel caso di una qualche mancanza nei confronti del medesimo, le punizioni saranno decise ed effettuate dal Padrone stesso nei tempi e nei modi che più riterrà opportuni e senza l’obbligo della pubblica pena.
I rapporti tra gli schiavi sono severamente vietati, a meno che un Padrone non l’abbia espressamente richiesto. In quel caso deve obbligatoriamente essere parte attiva.
Non presentarsi ad un appuntamento concordato col proprio Padrone prevede oltre alla punizione della fustigazione un allungamento del periodo di schiavitù a discrezione del Padrone stesso che avrà l’obbligo di segnalarlo agli altri Padroni.
Lo schiavo per tornare libero deve obbligatoriamente finire i tre anni previsti. Se ambisce a diventare Padrone gli anni di schiavitù si raddoppiano.”
Spero non me lo faccia ripetere un’altra volta e quindi aggiungo: “L’ho capito.”
“Questo lo decido io!”, risponde con voce secca. Mi guarda a lungo in silenzio poi torna ad alzarsi e mani dietro la schiena mi ordina di ripeterlo ancora una volta. Trattengo una protesta tra i denti e riprendo a snocciolare le regole come un bravo scolaro diligente. Lo faccio in modo meccanico ma con voce chiara e non troppo velocemente, proprio come vuole lui.
“Ora simula.” Si siede di nuovo di fronte a me e accavalla le gambe. Tutto questo lo annoia quanto me credo, perché ha un’espressione troppo seria. Io non riuscirei a rimanere serio davanti a uno che fa finta di provare piacere.
Chiudo gli occhi e comincio a gemere e mugolare con poca convinzione e poco fiato. E’ più forte di me. Mi sento troppo un cretino. La sberla è talmente forte che mi fa cadere in terra. Spalanco gli occhi e il Colonnello torreggia su di me con le mani ai fianchi e un’espressione truce.
“Non farmi perdere tempo, Jean o giuro che ti prendo a calci finché non sputi sangue. Se non sei in grado di simulare efficacemente sopperisci con le incitazioni. Ci sono frasi che hanno il medesimo effetto.” Scuote la testa esasperato. “Alzati!”.
Quando sono di nuovo seduto si avvicina tanto da piantarmi il bacino a un centimetro dal viso. Mi solleva il mento con un dito in modo brusco.
“Ora. Devi pensare a qualcosa che ti faccia eccitare. Dannazione, chiudi gli occhi e pensa a quello che cazzo ti pare, ma fammi sentire che ci godi.” Sospira stanco. “Non ti do che questa possibilità perché abbiamo altro da fare e sono stanco, ma giuro che se fai lo stronzo ti faccio piangere sul serio.”
Poi si lascia nuovamente cadere sulla sedia.
Non scherza, glielo leggo nello sguardo. Chiudo gli occhi e richiamo velocemente alla memoria la scena del Colonnello che si fotte Acciaio. Mi ritorna chiara e vivida. Mi aggrappo al momento in cui il suo uccello comincia ad entrare e prendo a far uscire la voce dapprima in un mugolio indistinto per poi renderla più convinta man mano che il ricordo si dipana nella mente. Sono quel movimento lento e concentrato e i gemiti animaleschi di Ed che mi elettrizzano i sensi. Non so se sto andando bene, fatto è che comincio ad eccitarmi anche solo nel pensare di essere al posto di Ed.
Mi scordo del Colonnello che è lì per valutare la prestazione e la bocca comincia a riempirsi di saliva quando caccio un urlo.
Spalanco gli occhi e sbatto le palpebre sprizzando lacrime di dolore giù per le guance. Il Colonnello ha spostato la sedia e si è seduto dietro di me. Per mordermi. Il dolore è accecante. Una mano mi corre al collo ma il Colonnello me la strappa via brusco. “Continua, non fermarti!”, mi intima infuriato. “Stai andando bene.” Mi guardo la mano e sui polpastrelli vedo tracce di sangue. Provo a riaggrapparmi alla fantasia di prima ma il Colonnello ha ripreso a tormentarmi coi denti sebbene in maniera più lieve. Non ci riesco. Il dolore pulsa feroce e i gemiti che mi escono sono puro strazio. “Jean, tenta almeno!”, intima lui inclinandomi la testa dall’altro lato. Confuso provo di nuovo. Ora che ha smesso di martoriare la ferita penso che sia quasi possibile. Il primo ansito è flebile, ma sicuramente più convincente. Sento le labbra del Colonnello posarsi nuovamente sulla curva del collo. Avverto un crampo di paura che mi spezza la voce in gola e contemporaneamente le sue mani sui miei fianchi attirarmi contro si sé. E poi sono sul mio sesso lente e delicate a delinearne la forma attraverso il tessuto. I gemiti si fanno reali. Ampi e rumorosi sospiri. Il sesso del Colonnello preme contro le mie natiche con forza. Mi abbandono totalmente contro di lui, mentre il piacere monta lieve ma inesorabile rallentato dalla costrizione della stoffa. La frenesia di raggiungere l’orgasmo mi fa dondolare i fianchi. Il dolore è distante, come affogato. Non so quanto tempo galleggio in questa sorta di estasi dolorosa. Il non poter liberare il sesso mi tormenta ma allo stesso tempo il piacere viene come amplificato. Non riesco più a controllare né il corpo né la voce, ma finalmente sento l’orgasmo esplodere come una bomba e i denti del Colonnello affondare di nuovo a creare una nuova ferita. Urlo e non riesco a capire se è questo piacere immenso o questo strazio a farmi piangere sussultando. Non riesco a fermarmi neanche quando tutto è finito e la pressione del suo corpo sul mio è svanita.
“Piantala. Abbiamo finito. Puoi andare a casa, ora.”, mi dice serio.
Attraverso le lacrime osservo il suo viso cupo. Non riesco a capirlo, Non riesco ad accettarlo. Mi asciugo rabbioso gli occhi con le dita e in un gesto istintivo porto le mani alle ferite sui lati del collo, proprio dove comincia a digradare nella spalla. Sotto i polpastrelli avverto il sangue. E’ un rivolo sottile, quasi insignificante, ma le lacerazioni bruciano da matti. Cautamente risistemo camicia e giacca con una smorfia, poi mi alzo barcollando e mi allontano da lui senza volgergli le spalle camminando come un fottuto gambero.
“Buonanotte.”, mi dice quando sono alla porta. La spalanco e quasi fuggo via, come una ragazzina. Mi impongo di rallentare il passo. Ci riesco.
Non mi sono mai sentito così stupido in vita mia.