Hurricane Years - Capitolo 2

Feb 22, 2012 20:23

Quattro mesi.
Madre de Dios. Quattro fottutissimi mesi senza un aggiornamento su Hurricane Years '_' E sì che il capitolo era "a buon punto" già a Novembre. Poi sono arrivati il ri-blocco dello scrittore, la crisi depressiva, i casini con l'Università, di nuovo la crisi depressiva e tante, tante altre cose di cui al momento mi rompo di parlare. Ma la storia è sempre lì, e i personaggi pure. So di non stare aggiornando più con la frequenza dell'anno scorso, e per un momento mi era pure venuta voglia di scrivere un post in cui dichiaravo, una volta per tutte, che non ce la facevo a continuare e che avrei atteso tempi migliori.
Poi è avvenuto il miracolo e sono riuscita a finire lo stramaledetto capitolo. Non so nemmeno io come, ma alla fine è arrivato. Ce la farò a proseguire con i progetti? Non ne ho la benchè minima idea. Intanto, teniamo le dita incrociate e speriamo di farcela. D:
Siore e siori... Hurricane Years continua. Si spera .__.




-Sicuro che starai bene, ciccino?

Alzo gli occhi al cielo. Possibile che mi tratti ancora come un poppante?

-Starò bene. E non chiamarmi “ciccino”, per favore. Non ho più cinque anni.

Lei annuisce, ma non fa nulla per nascondere gli occhioni lucidi.

-Hai ragione. Sei grande, ormai.



Volta la testa a guardare altrove e si allontana di qualche passo, poi sembra ripensarci e torna indietro per stamparmi un bacio sulla fronte. Resto stordito per un momento dal suo profumo, mentre lei continua a fissarmi con aria commossa.



-Il mio tesoro… ricordati di chiamarmi qualche volta, eh?- fa, strizzandomi l’occhio. Cerco di rassicurarla: ho solo preso un appartamento in affitto a meno di quaranta chilometri da casa, non sto mica partendo per andare in guerra!

-Non preoccuparti, mamma: ti telefonerò tutti i giorni- le dico, cercando di mantenere l’espressione più angelica possibile. Lei sembra quasi convincersi: il suo volto si distende in un sorriso, mentre mi da’ un’ultima carezza sulla guancia.

-Bravo il mio piccolo- lancia un’occhiata al suo orologio da polso, la vedo impallidire -accidenti, com’è tardi! Devo proprio andare, le prove inizieranno a momenti. Sei proprio sicuro di non voler venire ad assistere? Ci saranno tanti musicisti con cui potrai…-



Scuoto la testa esasperato.

-No, mamma. Mi servono un bassista e un batterista, non un complesso di archi- le spiego, per l’ennesima volta. Lei si mordicchia il labbro inferiore. Qualcosa mi dice che ho usato un tono troppo duro, con lei. Provo immediatamente a farmi perdonare:

-Sono contento che ti preoccupi per me, davvero. Ma voglio imparare a cavarmela. Ho già un paio di amici a cui posso chiedere, è tutto sotto controllo- dico, più dolcemente.

E’ una bugia. Non conosco proprio nessuno, da queste parti. L’unica cosa che voglio, è liberarmi al più presto da quell’inferno che è diventato stare a casa.

Convincere mamma e papà a trovarmi un posto in cui stare, all’inizio, è stato difficile. Non perché non si fidino di me: più che altro, non volevano che il loro adorato pargolo si trovasse “solo e sperduto in quella bolgia terrificante che è Los Angeles”. Lancio un’occhiata alla finestra che dà sulla strada.



Al momento, di terrificante, questa città sembra non avere proprio niente. Il quartiere è tranquillo, all’apparenza non molto diverso da quello in cui abitavamo a Long Beach.

Mia madre, però, non esita ad insistere con le raccomandazioni:

-Il nostro numero di telefono è attaccato al frigorifero, nel caso dovessi dimenticartene. E se dovessi avere problemi, ricorda che la signora Fox è proprio di fronte a te per aiutarti, intesi?

Sospiro. La signora Fox è un’amica d’infanzia di mamma. E’ stata lei a segnalarci questo appartamento. Una vera e propria salvezza: sapere che vicino avrei avuto una loro conoscente è stata l’unica cosa in grado di convincere i miei.



Mi limito ad annuire, mentre mia madre continua a darmi consigli e spiegazioni sul cosa fare in caso di pericolo. Dopo quindici minuti buoni, ancora non sembra intenzionata ad andarsene.

-Non avevi le prove?- provo a buttare giù lì, nella speranza che la faccia finita.

Lei si tira una pacca sulla fronte.



-Oddio, è vero! Scusami, è che sono davvero preoccupata. Voglio solo che sia tutto a posto e che tu…

Inutile, eccola che ricomincia. Sono già sul punto di perdere le speranze di fronte a quel fiume inarrestabile di parole quando… la vedo prendere il cappotto.

-Ci sentiamo stasera per telefono, allora. Ok, ciccino?- mi guarda con un sorriso, poi la sua espressione muta in una smorfia corrucciata -ops, volevo dire… Ismael- si corregge, usando il mio nome. Le sorrido tranquillo e vado ad abbracciarla.



-Ci sentiamo stasera- le confermo -ti voglio bene, mammina.

L’ultima frase sembra farla sciogliere del tutto. Tira su col naso, si stringe un po’ di più a me. Restiamo così per qualche secondo, fino a quando, a malincuore, lei decide di staccarsi. Non dice nulla, mentre le faccio strada verso l’uscita. Si limita semplicemente a strizzarmi l’occhio, poco prima di andarsene. Mi richiudo la porta alle spalle con un sospiro.



-Finalmente libero!

Non riesco a crederci: mi ha davvero lasciato in pace. Lancio un’occhiata agli ultimi scatoloni ammucchiati nell’ingresso. Forse sarebbe il caso di darsi da fare per sistemare la mia roba. Mamma ha provato ad insistere per aiutarmi a mettere tutto a posto, ma anche su quello sono stato categorico: no, grazie, faccio da solo. E’ la mia prima occasione di godermi un po’ di sana libertà, e non vedo l’ora di scoprire come ci si sente. Fosse anche solo per spacchettare un set di piatti e posate. So che, se i miei mi hanno sempre protetto, lo hanno fatto con le migliori intenzioni del mondo. Il loro unico e adorato figliolo, la luce dei loro occhi e bla bla vari. Ma sono stufo di essere trattato come un bambino. Ho diciotto anni, dannazione! Credo di essere perfettamente in grado di cavarmela da solo. Ed ora ho l’opportunità di dimostrarlo.



Mi avvicino con cautela agli scatoloni. Sono meno di una decina, non dovrebbe volerci molto a sistemarli. Faccio per prenderne uno, quello in cima a tutto. E’ un po’ alto, ma ce la posso fare. Cerco di afferrarlo, sollevandomi sulla punta dei piedi.



-Avanti… ci arrivo, ci arrivo, ci arriv…-



SBRANG.

…Ci arrivo, sì. A farlo crollare.

Mi ritrovo steso per terra, sommerso da calzini e mutande. Fantastico.



-Cerca di vederla dal lato positivo, Ismael. Potevano essere i piatti- tento di sdrammatizzare. Mi guardo intorno con aria spaesata. A questo punto, in genere, sarebbe arrivato uno dei miei genitori a darmi una mano e a chiedermi cosa fosse successo. Mi ci vuole un po’ per realizzare che sono solo e che ad aiutarmi non verrà proprio nessuno.

-Era quello che volevo, no?- commento ad alta voce. Con un po’ di fatica, riesco ad alzarmi di nuovo in piedi. Altri calzini che crollano sul pavimento. Mi fa male dappertutto e il contenuto dello scatolone ha praticamente invaso l’ingresso. Trattengo a stento un mugolio disperato.



-Forse avrei dovuto chiedere aiuto alla mamm…- mi blocco a metà della frase.

No, niente mammina. Ho detto che avrei fatto tutto da solo, no? E’ una questione di principio: se li chiamassi adesso non esiterebbero a venire a prendermi e a trascinarmi di nuovo a casa, dicendomi che avevano ragione a pensare che sono ancora troppo giovane per cavarmela. Devo dimostrare che posso farcela.



Fisso nuovamente lo scatolone come se fosse un nemico capitale. Questa volta non sarà difficile sollevarlo. Dopotutto… è già sul pavimento. E si è alleggerito di buona metà del suo contenuto.

-Però, un vero e proprio Maciste, eh?- ironizzo, quando riesco a tirare su il tutto, questa volta senza incidenti.

La verità è che mi sento un perfetto imbecille. Adesso che mia madre è andata via, sto iniziando a rendermi conto di dovermela cavare davvero senza alcun aiuto. Cerco di non pensarci e di proseguire con il lavoro. Nel giro di un’oretta, sono riuscito a mettere a posto più o meno tutte le mie cose.



-…A parte voi.

Ci sono ancora un paio di calzini per terra. Mi chino a raccoglierli con un sospiro. Dopo di questo… ho finito.

Riiiiiiiiiiiiiiiiing.



Il suono del campanello mi fa sobbalzare. Lancio un’occhiata all’orologio: sono appena le quattro. Chi diavolo può essere? Mia madre dovrebbe essere al lavoro, ormai. E dubito che papà si presenterebbe qui senza avvisare. Lascio ricadere i calzini nello scatolone ancora aperto e mi avvio in direzione della porta. Non riesco a trattenere un nuovo mugolio strozzato quando, dallo spioncino, mi rendo finalmente conto di chi si tratta. Cerco di riprendere un’espressione neutrale, prima di farla entrare.



-Ismael, tesoro! Accidenti, sei davvero tu? Fatti guardare per bene… sei cresciuto davvero tanto, lo sai? Tua madre ha proprio ragione: sei un vero ometto, adesso!- la signora Fox non esita un momento prima di stritolarmi in un abbraccio e darmi un pizzicotto sulla guancia. Dopodiché, più invadente di un tornado, si fionda a controllare la situazione in casa.



-Sei riuscito a sistemarti per bene, vedo! Oh, ma non avevo dubbi, la tua mamma lo aveva detto, che hai un sacco di risorse. Sono sicuro che ti troverai a meraviglia, qui! E nel caso avessi bisogno di aiuto, non esitare a chiedere, sai che puoi contare…-

Ma quanto diavolo parla? Da quando ha messo piede qui non mi ha dato nemmeno il tempo di rispondere. La vedo mentre continua ad aggirarsi per le stanze, commentando l’arredamento e la sistemazione di ogni singolo oggetto. La casa non è molto grande, ma i mobili sono già tutti al loro posto. Sospiro, mentre mi limito a seguirla a testa bassa.



-E per il lavoro, invece? Hai già trovato qualcosa?- la sua domanda mi coglie completamente di sorpresa. Mi rendo conto che si aspetta una risposta solo quando la vedo fissarmi con aria interrogativa.

-Oh, i-io… ecco, non ancora, ma… sto cercando…- tento di giustificarmi. Insomma, non sono arrivato da neanche due ore, come posso aver già trovato un posto? La signora Fox, tuttavia, non sembra perdersi d’animo.

-Benissimo! Comunque, nel caso avessi bisogno di una mano, c’è il figlio della cugina di una mia amica che…-

Eccola che riparte. Sorrido cortesemente, mentre lei continua a blaterare qualcosa a proposito di un posto al ristorante dietro l’angolo che potrebbe fare al caso mio. Ristorante? Sta scherzando, spero! E’ già tanto se sono in grado di prepararmi un panino! Ma, ancora una volta, lei non mi lascia nemmeno il tempo di rispondere, e inizia a raccontarmi per filo e per segno gli ultimi pettegolezzi del posto.



-…E poi c’è la nipote del fornaio di fronte che è davvero una gran brava ragazza, ma è fidanzata con un poco di buono. Le servirebbe davvero qualcuno in grado di darle quello di cui ha bisogno, e non un perdigiorno incapace. Il padre di quel tipo è in galera da un anno, sai? Avrebbero dovuto dargli cinque anni, ma il giudice è stato buono e…-

Dio, per favore, dimmi che adesso la fa finita.

Per fortuna, le mie preghiere vengono esaudite dopo poco: lei sembra rendersi conto del fatto che ormai ho completamente chiuso i timpani e provvede a scusarsi.



-Immagino di averti fatto una testa così con le mie chiacchiere, vero? Me lo dice anche mio marito: non sono in grado di tenere la lingua a freno e parlo troppo!-

-Non me n’ero accort… volevo dire, non è così!- mi correggo immediatamente -è solo che il trasloco deve avermi scombussolato più del previsto, quindi non riesco a seguire tutti i discorsi come vorrei… ma non mi sto annoiando, sul serio!- insisto, col tono più gentile che mi riesca da trovare. L’aria da bravo bambino funziona sempre. Lei sorride, infatti, e si affretta a rassicurarmi.

-Nessun problema, ti capisco. Anzi…- si interrompe per qualche secondo, sembra pensierosa. Spero ardentemente che sia sul punto di proporre di togliere il disturbo.



-…Visto che sei così stanco, perché non vieni a cenare da noi? Immagino che tu non abbia niente di pronto per stasera, e un pasto caldo fa sempre comodo, no?-

Trattengo a stento un gemito disperato. Togliere il disturbo, eh?

Purtroppo, non ho via di scampo. Rifiutare sarebbe davvero scortese da parte mia… e oltretutto, è vero che non ho affatto pensato alla cena. Mi lascio sfuggire un nuovo sospiro.



-Sarebbe… fantastico, grazie-

La vedo illuminarsi di gioia:

-Non devi ringraziarmi! Tua madre mi aveva detto che probabilmente avresti avuto bisogno di aiuto, quindi eccomi qui.

Avrei dovuto immaginarlo. Figuriamoci se la mamma mi avrebbe lasciato davvero solo. Ci scommetto che ha provveduto a chiamarla non appena ha lasciato la casa. Mi stringo nelle spalle e sorrido con aria mesta:

-E’ davvero… gentile, da parte vostra, signora.



Lei scuote la testa con un nuovo sorriso:

-Oh, avanti, ragazzo, lascia perdere queste formalità e chiamami pure Patty. Dopotutto, sono la tua nuova vicina, no? E sono sicura che d’ora in poi passeremo un bel po’ di tempo insieme!

…Per qualche motivo, suona quasi come una minaccia.

izzy, hurricane years

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