Il mito di Galatea è tra i più romantici del mondo antico: racconta di sentimenti non corrisposti, di gelosia, invidia, ma soprattutto narra il trionfo dell’amore. E proprio per questo, a partire dal Rinascimento, fu spesso rappresentato nell’arte, in special modo nelle pitture parietali di ricche e sontuose residenze nobiliari.
Il mito
Figlia di Nereo e di Doride, era una delle cinquanta ninfe del mare e il suo nome greco, Galatea, vuol dire proprio “colei che ha la pelle bianco-latte”, in riferimento alla bianca spuma dell’onda marina. Il mito la mette sempre in relazione a Polifemo, anche se esistono due differenti versioni. La prima vede Galatea come protettrice delle greggi, amata da Polifemo che essa pure ama e dalla cui unione nasce il figlio Galas (o Galato). Nell’altra invece la dea si innamora del bellissimo pastore Aci che la corrisponde e Polifemo, invidioso del giovane, un giorno cerca di attirare a sé la dea con il dolce suono del suo flauto, ma invano. Sorprendendo poi la coppia di amanti, Polifemo, pazzo di gelosia, decide di uccidere il suo rivale, scagliandogli contro un enorme masso. Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea però, per tenere in vita il suo amato, trasformerà il sangue di Aci in una sorgente, trasformandolo così in un dio fluviale: ecco il trionfo di Galatea e dell’amore!
Galatea nell’arte
È proprio l’idea di vincita e trionfo dell’amore su ogni ostacolo il tema più rappresentato nel Rinascimento: una scena vivace e spesso affollata, in cui la ninfa campeggia al centro, da vera protagonista, sul proprio carro, una conchiglia trainata da delfini. È proprio così infatti che Raffaello Sanzio la ritrae nella Villa Farnesina di Roma, circondata da amorini che scagliano verso di lei le loro frecce. Tema caro anche ai Farnese che alla fine del 1500 incaricano Annibale Carracci di affrescare la volta della Galleria di Palazzo Farnese - oggi Ambasciata di Francia a Roma - con Polifemo ritratto mentre suona per Galatea e poi nel momento di massima ira, quando scaglia il masso contro Aci. Non solo affreschi ovviamente. Alcuni dei più grandi artisti del 1600 realizzarono infatti molte opere ispirandosi al racconto di Ovidio. Tra questi meritano particolare menzione Giovanni Lanfranco con Galatea e Polifemo del 1620 esposto oggi nella Galleria Doria Pamphilj di Roma, Nicolas Poussin nel 1627 ritrae Aci e Galatea oggi visibile alla National Gallery d’Irlanda (Dublino) o ancora Bernardo Cavallino e Artemisia Gentileschi nel più classico Trionfo di Galateadella metà del 1600 (immagine di copertina). Un tema però che non smise mai di ispirare artisti importanti vissuti nei secoli successivi, come per esempio Odilon Redon alla fine dell’800 con il suo Il Ciclope o ancora Salvador Dalì nella Galatea delle Sfere del 1952.
Giovanni Lanfranco, Polifemo scorge gli amanti Galatea e Aci
Il sinificato del mito
Odilon Redon, Il ciclope
Passione, vendetta, odio, ira, ma soprattutto amore che trionfa su tutto e che è in grado di superare e vincere perfino la morte. Secondo l’interpretazione morale del mito quindi, Galatea e il suo amore per il giovane Aci alluderebbero all’aspirazione dell’animo umano a congiungersi con Dio. Alla delicatezza del mondo femminile infatti, espressione di una civiltà evoluta, rappresentato nel mito dalla dolcezza dell’amore tra Galatea ed Aci, si oppone in forte contrasto la passione sfrenata di Polifemo, il gigante mostruoso simbolo invece del mondo barbarico, che non conosce le leggi sacre e le regole del buon vivere. Una volta quindi che questi due mondi entrano in contatto - contrasto, solo il Bene e il Bello possono vincere e trionfare, esattamente come Galatea vinse Polifemo, rendendo immortale e divino l’amato Aci.