Il p0rn fest ha raggiunto dimensioni sinceramente inquietanti. Ma, dato che la mia depravazione non ha limite, darò anche io un ulteriore contributo. E, sempre per parcondicio, ecco qui una yaoi. Due pari, palla al centro!
Titolo: Il gioco delle parti
Rating: Oscenamente ROSSO
Paring: Deimos/Phobos
Fandom: Mitologia greca
Riassunto: Lavoravano insieme da una vita, praticamente da sempre, e ancora non si era abituato al suo modo di fare. Lo irritava quell’aria altera, cinica e perennemente svogliata. Quell’eleganza che stonava con il contesto, quello sguardo distaccato e puntiglioso che si soffermava su ogni singolo, dannatissimo, dettaglio. E quel tono di voce, cortese ed educato. Così profondamente diverso dal suo, basso e roco, simile ad un ringhio.La verità era che Phobos lo metteva in soggezione.
Avvertimenti: Yaoi
Note: è una mia personale rivisitazione di questi due personaggi. Li ho modernizzati rispetto al mito originale, dandogli caratteristiche diverse dal solito, quindi non gridate allo scandalo. è piuttosto lunghina, sappiatelo.
Scritta per il p0rn fest (Prompt: Mitologia greca, Deimos/Phobos, "Non mi fai paura").
Lavoravano insieme da una vita, praticamente da sempre, e ancora non si era abituato al suo modo di fare. Lo irritava quell’aria altera, cinica e perennemente svogliata. Quell’eleganza che stonava con il contesto, quello sguardo distaccato e puntiglioso che si soffermava su ogni singolo, dannatissimo, dettaglio. E quel tono di voce, cortese ed educato. Così profondamente diverso dal suo, basso e roco, simile ad un ringhio.
La verità era che Phobos lo metteva in soggezione. Lo inquietava quel suo modo di muoversi, di parlare, di agire. Gli faceva paura, ma non lo avrebbe mai ammesso. Almeno, non in sua presenza.
- A..Aiuto- biascicò l’uomo ai loro piedi, costringendolo a tornare alla realtà. Abbassò il capo incrociando le muscolose braccia al petto e guardò con ribrezzo l’uomo che sarebbe morto da lì a poco. Tremava di paura. - Sapevi che sarebbe successo, prima o poi- sbottò con voce leggermente rauca - c’è sempre una punizione per chi cerca di fregare Marte-. L’uomo singhiozzò pesantemente e lo guardò, semplicemente terrorizzato. Deimos avrebbe terrorizzato chiunque, anche il più impavido degli uomini. Suscitava una paura primitiva, istintiva. Forse era a causa della sua mole impressionante, dei muscoli poderosi lasciati in bella vista dalla maglietta lacera e senza maniche, della catena che penzolava irrequieta ai suoi pantaloni. O forse era semplicemente per via dello sguardo crudele, del ghigno luminoso ma malvagio, che prometteva distruzione e morte. Del suo aspetto ferino in ogni tratto.
La giovane vittima ebbe un sussulto violento e spostò lo sguardo alle spalle del gigante. Phobos se ne stava tranquillamente appoggiato alla parete, le braccia incrociate e lo sguardo attento sulla scena. Gli occhi dell’uomo quasi si illuminarono nel vederlo. - Ti…ti prego! Aiutami- lo supplicò gemendo - Almeno tu, fai qualcosa! Salvami! Io…io non volevo, te lo giuro! Fermalo, ti prego!-. Deimos ringhiò e afferrò l’uomo per la calotta.
Finiva sempre così. Era un po’ come giocare al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. Tutti quanti, appena vedevano Deimos avvicinarsi, tremavano terrorizzati e si gettavano in ginocchio. Poi vedevano Phobos, e si accendeva in loro un barlume di speranza. Phobos faceva sempre quell’effetto, a prima vista. Aveva l’aspetto di un uomo curato ed elegante. Indossava completi di alta sartoria, un rolex sobrio ma prezioso al polso, calzini intonati con la camicia, cravatta rosso sangue. Portava i lunghi capelli corvini legati in una coda perfettamente curata. Mai niente fuori posto. Non un capello, non una briciola, non uno sguardo. Forse era proprio quello, la sua perfezione, ad inquietarlo maggiormente.
Ma se a lui tutto ciò provocava brividi, alle vittime dava l’illusione di avere davanti una persona mentalmente più stabile di Deimos. Tutta fiducia mal riposta. Perché nessuno di loro sapeva la verità. Nessuno sospettava, almeno all’inizio, che le parti fossero invertite. Che non era lui il poliziotto cattivo.
Quel gioco a Deimos iniziava a stancare. Lo irritava sentirsi messo da parte per Phobos, passare per quello pazzo e pericoloso.
Strinse maggiormente la presa sul collo del malcapitato e con gli occhi iniettati di sangue sbottò - Piantala di chiedergli aiuto, verme. Pensa piuttosto a chi hai di fronte!-. L’uomo tuttavia non staccò gli occhi dal viso liscio e pulito di Phobos. - Aiutami- implorò sull’orlo del soffocamento. - Ehi, stronzetto- gli sibilò in faccia Deimos - ti avverto. Lui è molto peggio di me-. Lasciò cadere l’uomo a terra, bianco come il cadavere che presto sarebbe diventato. Gli sferrò un poderoso calcio al petto, facendolo urlare dal dolore. Poi un altro, e un altro ancora, finché l’uomo non ebbe nemmeno più la forza di gridare. Ma nemmeno a quel punto Deimos si placò. Godeva, godeva moltissimo nel fargli del male. Era un’ottima valvola di sfogo per la frustrazione che aveva accumulato. Lo tirò su per la maglia e gli sferrò un pugno al costato, avvertendo sotto le nocche il frantumarsi delle ossa. Ghignò soddisfatto, preda dell’eccitazione, e caricò un secondo pugno. Pugno che però non giunse mai a segno. La mano gelida di Phobos si chiuse sulle sue dita chiuse. Gli era bastata una pressione minima per bloccare il suo pugno. Deimos avvertì una scossa elettrica partire da quelle dita lunghe e affusolate, apparentemente dita da pianista e non da guerriero, e irradiarsi per tutte le terminazioni nervose. Con la coda dell’occhio guardò il compagno, immobile e altero al suo fianco. Lo stava fissando dritto in faccia, con i suoi occhi sottili e neri, circondati da lunghe ciglia corvine. - Vacci piano, Deimos- sibilò e il gigante avvertì chiaramente il suo alito alla menta giungere fino alle narici. - Marte ci ha detto di dargli una lezione, non di ucciderlo. Non ancora-. Deimos sbuffò sonoramente, liberando la mano dalla presa del moro. Lasciò ricadere il braccio lungo il fianco e guardò furente l’amico. - A questo punto che differenza fa’, Phobos? Lasciamelo ammazzare come si deve!-. Phobos abbassò a sua volta il braccio e si risistemò la cravatta scarlatta. - Dai tempo al tempo, Deimos- mormorò voltandosi e dirigendosi verso l’uscita - Ci serve più da vivo che da morto-. Deimos si cacciò le mani nelle tasche dei jeans sgualciti - E se dovesse giocarci di nuovo qualche brutto scherzo?-. Phobos si bloccò ad un passo dalla porta. Voltò il capo e fissò negli occhi l’uomo disteso a terra. - Oh, io non credo proprio che lo farà. Non è vero?- disse sorridendo. Sorridendo.
Deimos si chiuse la porta alle spalle, sbattendola tanto forte da disintegrare uno dei cardini. Osservò con rabbia l’amico sbottonarsi con classe i primi bottoni della giacca scura e si sforzò di non ripensare a quel maledetto sorriso. Non un ghigno, ma un vero e proprio sorriso. Si sentì percuotere da una scarica di brividi. Tra tutte le cose di Phobos, il sorriso era quella che più lo metteva in agitazione. Quasi lo terrorizzava. Aveva un che di profondamente diabolico e perverso. Molto, molto peggio di una minaccia.
- Qualche problema?- domandò Phobos alzando lo sguardo su di lui. Deimos ringhiò - Mi hai interrotto sul più bello-. Il moro sbuffò - Ti rifarai la prossima volta. Quante volte ti devo spiegare che la paura è il modo più sicuro per ottenere fedeltà?-. Alzò un angolo di quella bocca malefica e dannatamente seducente. - La paura è lo stimolo migliore, Deimos-. Il tono di voce era cambiato drasticamente. Da freddo e cinico, al limite della supponenze, era diventato basso e caldo. Suadente.
Deimos strinse i pugni. Conosceva quel tono, lo conosceva perfettamente. E tutte le volte finiva allo stesso modo. - La paura è lo stimolo migliore? Puttanate- sbottò fingendo più sfrontatezza di quanta in realtà possedesse. Sapeva perfettamente che Phobos aveva ragione. Tutti i suoi muscoli, la sua ferocia, la sua forza non poteva nulla contro Phobos. Il moro era sottile e delicato, ma gli sarebbe bastata una mano per annientarlo. O forse anche di meno.
Phobos sogghignò malizioso - Sai che ho ragione, Deimos. La paura eccita-. Fece un paio di passi verso di lui e la voce si fece un sussurro - La paura fa tremare il corpo. La paura diverte. La paura…ti fa dare il meglio di te-. Le sue dita affusolate avevano iniziato a giocherellare con la catena che portava al collo taurino. Deimos avvertì il profumo dei suoi capelli. Perfino nella peggiore delle situazioni, in un accampamento militare o sotto una pioggia di proiettili, i capelli di Phobos profumavano di balsamo. Era una cosa che lo mandava fuori di testa.
Sospirò e socchiuse gli occhi scuri - Dì, tu pensi che io abbia paura?-. Le labbra del compagno di battaglie si posarono sul suo collo teso. Le avvertì tendersi in un ghigno sadico - Adoro l’odore della paura. Mi eccita da morire-. Deimos si sforzò di poggiargli le mani sulle spalle solo in apparenza minute e scostarlo leggermente. Anche se il bastardo aveva fottutamente ragione, lui aveva ancora un certo onore da proteggere. - Tu non mi fai paura, amico- mormorò guardandolo in quei pozzi neri che aveva al posto degli occhi. La paura lo colse davvero, però, quando lo vide sogghignare. - Allora vediamo di rimediare-.
Quel dannato di Phobos era scandalosamente veloce. Troppo veloce. Un attimo prima si stavano baciando e mordendo in mezzo alla stanza, l’attimo dopo si era ritrovato disteso a letto e legato con i polsi alla testiera del letto. E non era nemmeno la prima volta che succedeva. Considerando poi che aveva Phobos bellamente seduto a cavalcioni su di lui e che gli sarebbe bastata la mano sinistra per farlo scomparire dalla faccia delle terra…sì, aveva paura. E sì, Phobos aveva ragione: la paura era eccitante. Schifosamente eccitante.
Gli bastava guardare l’amico slacciarsi con accurata lentezza la cravatta scarlatta, accarezzarla con voluttà prima di sfilarsela, per sentire la propria erezione premere dolorosamente contro i jeans strappati. Phobos si passò la lingua tra i denti e si sbottonò, piano, i bottoni della camicia di seta. Se la lasciò scivolare giù per le spalle mostrando i muscoli sodi della braccia, che però sembravano grissini in confronto a quella da culturista di Deimos.
La sua mano perfettamente curata accarezzò il petto del compagno, gustandosi ogni brivido e ogni sussulto. La adagiò all’altezza del cuore, che pompava frenetico, e sogghignò mentre la premeva con maggior forza, lasciando un segno rosso sulla pelle accaldata. Sarebbe bastata una leggerissima pressione del polso per fermargli il battito, e Deimos lo sapeva perfettamente. Per questo si tese fino allo spasmo, bramando di più. Più terrore, più angoscia, più paura. Più piacere.
Phobos sostituì le dita con le labbra, facendole scorrere sulla clavicola e sui pettorali gonfi. Leccò e baciò, fino a mordere. Prima piano, maliziosamente, poi con sempre maggior ferocia. Era spaventoso come potesse cambiare atteggiamento da un momento all’altro.
Deimos ansimò e strattonò le corde scure che lo imprigionava al letto mentre l’amico gli mordeva, a sangue, un fianco. - Adoro il tuo sguardo pregno di paura- sussurrò sulla sua pelle andando poi a giocare con l’ombelico. Deimos avrebbe davvero voluto rispondergli a tono, con qualche bella cattiveria o volgarità, ma non aveva nemmeno aria per respirare. Chiuse gli occhi e lasciò che le mani esperte di Phobos gli slacciassero la cintura di cuoio e i pantaloni. Glieli abbassò con uno scatto rapido, rivelando il suo bacino privo di biancheria intima. Sentì il suo sogghigno soddisfatto e socchiuse gli occhi in tempo per vederlo slacciarsi a sua volta i pantaloni e denudarsi. Una manciata di secondi dopo era nuovamente contro di lui, nudo ed eccitato. Gli artigliò i fianchi e lo graffiò fino all’interno coscia. - Avanti, fammi felice…dimmi che hai paura-. Deimos trovò la forza per ridacchiare - Nemmeno per sogno-. Un lampo di crudeltà passò negli occhi neri di Phobos. A volte aveva la stesse espressione folle di Marte.
Phobos si abbassò fingendosi docile e tirò fuori la lingua. Giocò con la punta della sua erezione e la succhiò con perizia, facendo sussultare e inarcare l’amico. Gli ansiti crebbero quando lo prese completamente in bocca, chiudendo le labbra fini sulla base. -Cazzo, Phobos- imprecò strattonando le corde e muovendo il bacino verso di lui. Sgranò gli occhi e per poco non urlò quando avvertì chiaramente i denti affilati del compagno passargli lungo tutta l’erezione. Si chiusero pericolosamente sulla vena pulsante, in una tacita minaccia. - Dimmi che hai paura- ordinò il dio facendogli sentire quanto fossero affilati i suoi canini. -Pho…Phobos- sospirò umiliato e spaventato Deimos, diviso tra la voglia di affondare ancora in quella bocca incandescente e la paura di finire mutilato. Aveva cicatrici su tutto il corpo a memoria di quanto potesse diventare spietato l’amico, se provocato. - Voglio sentirtelo dire- sibilò il moro tornando a prenderlo completamente in bocca e iniziando a succhiare con fin troppa forza. Deimos allargò le gambe e gridò di piacere. - Sì…sì, Phobos- sussurrò senza voce -Sei talmente pazzo da farmi paura-. Il volto serio e freddo di Phobos parve quasi illuminarsi. Si staccò da lui con un ultimo bacio e si posizionò a cavalcioni sopra il suo bacino, allargando il più possibile le gambe. - La paura ti dona, Deimos- sospirò calandosi sopra il suo sesso teso e inglobandolo completamente. Finalmente Deimos si liberò dei legacci e lo abbracciò con forza, possessivamente. Prese a muoversi dentro di lui con forza e privo di alcun contegno. Phobos poteva anche sembrare delicato ma non lo era. Era più forte di lui e anche se faceva sempre il passivo, era lui a condurre veramente il gioco. Deimos era quello che si addossava per lui la fatica, l’umiliazione, il sudore. Era quello che giocava a fare il poliziotto cattivo, anche se non lo era. Almeno, non quanto Phobos. Era il suo più fedele compagno, il suo scudo e la sua maschera.
Con un gesto deciso gli afferrò l’erezione pulsante e iniziò a masturbarlo allo stesso ritmo dei suoi affondi. E mentre Phobos ansimava e gemeva con classe, quasi con regalità, Deimos ringhiava come un animale sofferente, urlava di piacere e si illudeva di poterlo possedere completamente. Aumentò il ritmo della mano finché non si sentì sporcare il petto dal piacere umido e caldo del compagno di sempre. Affondò un’ultima volta in quel corpo spaventoso tanto quanto bello e vi si riversò all’interno.
Phobos se ne stava disteso sotto le lenzuola nere, su un fianco, e lo guardava rivestirsi con gesti bruschi e secchi. Se ne stava coricato, nudo, con una nonchalance invidiabile. - Alcuni ti direbbero che sei un feticista, sai?- ironizzò Deimos allacciandosi la cintura. Phobos ridacchiò, sciogliendosi con una mano i lunghi capelli neri. - Solo perché mi piace l’odore della paura?-. Deimos inarcò un sopracciglio - Già, proprio per quello-. L’amico non perse il suo ghigno. Si mise a sedere e si sporse nella sua direzione. - La paura è il mio marchio, il mio vero odore. Per questo adoro sentirtelo addosso-. Deimos gli sfiorò con dolcezza inappropriata le labbra sottili - Ma io non ho paura di te-. - Davvero?-.