Mie care bimbe del mio cuoricino, eccomi qua! *taaaaadaaaaaaaan*
Pur essendo sommersa da programmi tivi, pv e making of, concerti (Popcorn vieni a me!!) da recuperare, dal lavoro e dallo studio (che dovrebbe essere al primo posto.. Ma.. Ma.. *scappa piangendo*) ecco il secondo capitolo di call my Nameless name now (eh sì, originariamente era quello il titolo, ma poi l'ho ritenuto troppo lungo e troppo tamarro).
YO!
TITOLO: Nameless
GENERE: Azione, Introspettivo, sentimentale, AU (Wild 7)
FANDOM: Kanjani8, Arashi e qualche senpai qua e là
PAIRING: AibaMaru
RATING: NC-17
DICLAIMERS: Kanjani, Arashi e i vecchiacci non sono di mia proprietà, ma sono sicura che il prossimo Natale troverò almeno un Maru o un Aiba sotto l'albero.. Questo sarà l'anno giusto!!
Capitolo 1 Si accomodò sul sedile posteriore mentre l’autista riponeva il borsone nel bagagliaio. L’occhio gli cascò sullo specchietto retrovisore.
“Stupido! Sei stato stupido e maleducato!” bisbigliò dandosi un pugnetto leggero sulla testa.
“KT l’autoflagellazione non è la soluzione!” Shingo aveva preso posto e sorridendo si era voltato verso di lui.
“Sono davvero mortificato! Non dovevo reagire a quel modo.” disse quasi urlando, poi premendo le mani sulle ginocchia inchinò il capo “Signore, sono davvero dispiaciuto!”
Il silenzio imbarazzante che si era creato venne interrotto da una risata fragorosa. Tirò su lentamente la testa. Cosa aveva da ridere pensò e incrociando lo sguardo dell’autista non riuscì a trattenere una risata. Certo, la sua era decisamente una risata piena di imbarazzo ma lo fece decisamente stare meglio.
“Bambino mio! Qui non ci sono signori, puoi chiamarmi Shingo. Ora rilassati! Lo so che ti è difficile.. Durante la mia lunga carriera ho fatto l’autista a molti tuoi colleghi. Tutti seri, mai un sorriso, ma tu sei diverso! Guarda come sei bello quando ridi!”
A quel complimento KT sentì le guance arrossire e smise di ridere. Si era decisamente troppo rilassato. Una volta non si sarebbe lasciato andare in quel modo. Avrebbe fatto parte di quei suoi colleghi seri che non spiccicavano mai un sorriso. Questo era il loro lavoro. Serietà, concentrazione e fermezza erano le parole chiave che venivano insegnate loro fin dai tempi dell’Accademia. Lui aveva deciso di prendersi una pausa e questa libertà gli aveva fatto scoprire la bellezza di una risata spontanea, il potersi rilassare senza l’ansia di controllare ogni minimo particolare. Trascorsi quei tre anni sperò che loro si fossero dimenticati di lui, aveva sperato di poter incominciare una vita normale. Ovviamente si era sbagliato e riprendere le abitudini di una volta gli sembrava così difficile.
L’auto continuava a correre. Le luci abbaglianti delle insegne, che caratterizzavano i quartieri centrali, incominciavano a diminuire fino a che non sparirono del tutto.
Si fermarono in una via alluminata solamente da un lampione. Shingo gli aprì la porta. Gli occhi si abituarono velocemente al buio e quello che vide fu un edificio tutto rovinato. Al pian terreno ci doveva essere stato un negozio, ma ormai era del tutto abbandonato. Alcuni graffiti lo ricoprivano quasi interamente e le finestre erano in frantumi. Sollevò lo sguardo, quello doveva essere il suo appartamento.
“Queste sono le chiavi” disse Shingo, sventolandogliele davanti alla faccia “Ci vediamo domani davanti alla scuola, sii puntale! Buona notte!”
“Scuola? Quale sc..” non aveva fatto in tempo a finire che l’auto e il suo autista erano ormai partiti.
Sospirò, prese il borsone e aprì il portone. Puzza di chiuso misto a muffa gli fecero arricciare il naso. Questa volta si erano proprio sprecati a cercargli un appartamento. Non era mai stato una ragazzo viziato, non poteva permetterselo. Si era sempre adattato, anche alla cantina nella periferia più sperduta di San Pietroburgo, ma questa catapecchia era veramente troppo. Sperava che per il suo gran ritorno gli avessero preparato qualcosa di più… decente!
Quando aprì la porta ebbe un leggero shock. Si erano sicuramente sbagliati pensò girovagando nel suo nuovo appartamento. Era decisamente piccolo, ma aveva un angolo cottura, un letto e persino il bagno. Lanciò il borsone in mezzo alla stanza e si buttò a peso morto sul letto.
“Ho un letto! Ho un letto!!” Continuava a girarsi e a rigirarsi urlacchiando come una ragazzina.
Subito dopo essersi diplomato all’Accademia, aveva incominciato a viaggiare per lavoro ed era stato abituato fin dall’inizio ad alloggiare in luoghi angusti. Quando l’avevano mandato a Bucarest era stato sbattuto in un magazzino nella solita periferia lontana dal mondo e lì aveva persino provato l’esperienza di condividere la stanza con un topo grande quanto una scarpa, lo aveva chiamato Pantof, e doveva ammettere, che gli aveva fatto compagnia nei lunghi momenti di solitudine. Ricordi che ormai erano lontani, ma che avevano lasciato cicatrici non solo nel cuore.
I morsi della fame incominciarono a farsi sentire, ma prima di decidere cosa mettere sotto i denti preferì farsi una doccia veloce, giusto per lavare via i malumori che l’avevano accompagnato durante tutto il viaggio. Non era arrivato a Tokyo per divertimento, lo sapeva benissimo, ma voleva cercare di prendere la situazione nel modo più leggero possibile.
Ancora avvolto nell’accappatoio, accese la tv e si diresse verso la dispensa. Con meraviglia si accorse che era strapiena di cose, ma non avendo voglia di cucinare prese del ramen istantaneo.
Mangiò guardando un programma in cui cinque ragazzi, i soliti idols bellocci, dovevano fare delle prove contro un’altra squadra e, data l’agitazione e gli urletti isterici sugli spalti, dovevano essere anche loro dei cantanti o cose simili. Erano sette, decisamente più rumorosi degli altri e ce n’era uno, quello che urlava PAN a sproposito, che non era mica male.
Finì di mangiare e aspettò il termine del programma per spegnere la televisione. Guardando l’orologio si accorse che era ancora troppo presto e, anche se l’indomani si sarebbe dovuto svegliare presto, decise di uscire per fare due passi.
I pochi lampioni facevano una luce tenue per la strada completamente deserta. Il caldo era diminuito e un’arietta lieve gli solleticava la pelle. Camminava tranquillamente circondato dal buio, il suo elemento naturale, quando senti avvicinarsi delle motociclette e le vide svoltare l’angolo. Decise di seguirle.
Il rumore dei motori lo portò di fronte ad un locale e, dato il sovraffollamento di moto nel parcheggio, pensò che dovesse essere una sorta di ritrovo per motociclisti. Ci entrò e notò che la maggior parte delle persone erano accorse urlando sconcezze sotto ad un palcoscenico dove una ragazza strizzata in un costumino da bagno si strusciava su una moto. Grazie a questo spettacolo riuscì ad adocchiare subito un posto libero al bancone. Stava per raggiungere lo sgabello, quando si scontrò contro un uomo. Gli chiese velocemente scusa e proseguì, ma all’improvviso senti una mano afferrargli la spalla e girarlo su sé stesso. Lui, decisamente più massiccio e alto di KT, gli stava urlando contro e cercò anche di mettergli le mani addosso.
“Tutto bene qui?” si intromise un ragazzo.
Ma ormai KT aveva sbattuto a terra il gigante mettendogli un piede sulla gola per tenerlo fermo.
“La prossima volta ti conviene accettare subito le mie scuse..” gli disse lasciandolo andare, poi si girò di scatto verso il ragazzo che aveva parlato “Oh sì, tutto bene! Grazie per essere intervenuto in mio soccorso.”
Era leggermente più alto di lui, i capelli neri, che gli sfioravano le spalle, circondavano un viso tondeggiante. Notò una macchia di grasso sotto la guancia, doveva essere un meccanico pensò fissandogli la bocca impegnata a masticare una gomma.
“In realtà hai fatto tutto da solo. Bella quella mossa, dove l’hai imparata?” chiese incuriosito.
KT sentendo quella domanda cercò subito di cambiare discorso, non poteva mica svelare l’esistenza dell’Accademia.
"Vieni, ti offro da bene.” propose prima di realizzare che era stata una mossa indubbiamente azzardata.
“Due birre, per favore.” ordinò al barista “E comunque non ci siamo ancora presentati..” disse allungando la mano “Kazama Masamune e domani è il mio primo giorno da insegnante.”
“Ciao Kazama” ma venne interrotto immediatamente.
“Chiamami pure Masamune” si ritrovò a dire senza rendersene conto. Stava decisamente esagerando, ma lo confortava il fatto che non lo avrebbe rivisto mai più, quindi tanto valeva lasciarsi un po’ andare.
“Allora.. Ciao Masamune, tutti mi chiamano Pyro e sono un meccanico. Lavoro qui vicino insieme ai miei amici..” e indicò un gruppetto che li stava fissando da lontano. Riuscì a notare solo un ragazzo di spalle con la chioma biondo platino e uno con i capelli rossi, sparati in aria, che continuava a salutarli e non smise fino a quando venne colpito da uno degli amici. Masamune sventolò la mano e poi ritornò a parlare col ragazzo.
Pyro era molto curioso e lo sommerse di domande, di fronte a quel continuo chiedere di informazioni Masamune dovette sforzarsi per non commettere un passo falso, era un po’ fuori allenamento, ma poteva farcela. Il segreto era di ricordarsi tutto quello che raccontava e di rimanere sul vago.
“Sono nato in un paesino al nord del Giappone, ma dopo pochi anni, io e i miei genitori, abbiamo incominciato a girare il mondo a causa del lavoro di mio padre e i miei hanno preferito spedirmi in un collegio. Finita la scuola ho incominciato a viaggiare e per mantenermi facevo, e faccio tutt’ora, l’insegnante di inglese.”
“Oooh, che vita interessante! Sai persino l’inglese.. Non è da tutti!” sbottò continuando a masticare la gomma “Io, l’unico trasferimento che ho fatto è stato quello da Osaka a Tokyo per avviare l’officina con i miei soci, per il resto niente collegi e soprattutto niente educazione privilegiata, anzi, sono corso a lavorare il prima possibile!” lo disse con un tono sfrontato, quasi a dimostrare che crescere per strada era il miglior modo per temprarsi dalle avversità della vita. E questo Masamune lo sapeva bene.
“Una buona educazione è importante, ma anche avere amici di cui fidarti lo è.. Ritieniti fortunato.”
L’unica cosa che Masamune possedeva ero gli insegnamenti ricevuti all’Accademia, per il resto non aveva niente e nessuno. Aveva avuto solo due amici in tutta la sua vita e li aveva persi tutte e due. La sua famiglia l’aveva venduto all’organizzazione. Era completamente solo. Pensare a quelle cose, al suo passato, gli strinse lo stomaco, guardò l’orologio e, con la scusa che si sarebbe dovuto alzare presto, lo salutò.
“Grazie ancora per la birra.. Spero di rivederti presto!” lo salutò con un sorriso.
Spero di non rivederti mai più pensò allontanandosi.