Apr 17, 2006 11:55
Ieri sono uscita dal portone di casa sua verso le 11.00.
Nel walkman un cd di canzoni italiane anni '60.
Sembravano scritte giusto giusto per me e per quel momento.
In giro non c'era nessuno.
Pareva un set cinematografico, nel momento topico della rivalsa della protagonista.
Camminavo, contenta (si, contenta) di quel connubio musica-luoghi.
Ero fiera di denotare nei testi che ascoltavo qualcosa di agrodolce che mi riguardava.
Muovevo anche la testa ogni tanto, come se fosse un musical dove la protagonista, giustamente, canta e balla nelle scene musicali, in maniera coinvolta ed espressiva.
Sarebbe stato bellissimo: Milano era tutta per me, in fondo, e se avessi fatto delle giravolte attorno a un palo o saltellato, facendo scenografie improvvisate, mi avrebbe visto solo una coppia di orientali e un'altra di turisti.
Il mio film sarebbe stato impeccabile e vero.
Poi è arrivata la canzone angosciosa. Di quelle piene di La Minori, dalla melodia calante, che ti colpiscono subito alla gola.
Voce femminile straniera, dolce e squillante, cantato in italiano (era un classico negli anni '60, infatti molte canzoni mi han fatto riderissimo: sembran cantate da Olmo :D).
Comunque stile "Music for Pussycats", per intenderci.
Lo scenario è cambiato. La nostra diva, nonchè protagonista, ha cominciato ad abbassar testa e sguardo. Così, il suo passo mutava, incerto.
Le braccia, prima sciolte e decise ad accompagnar il lieto marciar verso casa, erano ora incrociate e strette al busto.
Curva, grigia, melanconica la sua figura.
Cristo. Tutto torna.
Ho anche il giubbotto di mia zia-mio padre, fine anni '60!
Dannati anni '60.
Salita in metrò, mi son sentita soffocare.
Donne grasse con sacchetti pieni di uova e colombe. Una famiglia musulmana. Coppiette, vecchiette, signori (pochi) con giornali.
Mi sentivo osservata.
E da occhi pietosi e disgustati.
Si.
Forse più pietosi che disgustati. Perchè era il giorno della Santa Pasqua.
Misericordia per i malati, per i brutti e i perduti.
Mi innervosivo sempre di più. Ero veramente nervosa.
Nervosa e nervosa. Sentivo marcirmi nel petto gioia e momento di rivalsa.
Debole. Sconfitta.
Gente cattiva, meschina, e dire che ero contenta.
Ero contenta di me.
Ero.
Una vecchietta si scansa da una mia improbabile traiettoria con scatto svelto.
Grazie, stronza, che la tua colomba abbia uvetta e canditi andati a male.
Scendo a caso. Non ne potevo più.
Mi sentivo stanca.
A casa, prima di entrare, chiamo l'ascensore per guardarmi allo specchio.
Sposto la riga dei capelli (a mio nonno non piacerebbe). Mi tolgo con dito umido di saliva delle sbavature sotto gli occhi. Respira respira.
Mano davanti alla faccia, orizzontale, lenta lenta mi passa il volto come una radiografia. Dall'inespressione al sorriso.
Ecco fatto.
Sono pronta per la finzione.
E la mia teatralità non mi ha tradita, nemmeno questa volta.