Titolo: Halos
Genere: Inception!AU, Introspettivo
Personaggi: Sherlock, John, Molly, Lestrade, Un po' tutti
Pairing: Sherlock/John, Molly/SHerlock one-side
Rating: PG
Note: Quarta fic della raccolta That place between awake and dream; scritta per
Sherlock Fest Italia (
Be Alternative 2)
Riassunto:
Molly Hooper ha conosciuto Sherlock in Dicembre, mentre veniva giù una bufera di neve già acclamata come “la peggiore degli ultimi 20 anni” da qualsiasi mass media su cui avesse messo gli occhi quel giorno.
Era arrivata all'hangar dove la squadra aveva appuntamento con venti minuti d'anticipo, e si sentiva nervosa come ogni volta che doveva vedere una nuova squadra. Dei tre compagni da incontrare quel pomeriggio aveva trovato lì almeno Lestrade, l'unico che conoscesse già e la persona che aveva messo insieme il loro team.
- Nervosa? - le aveva chiesto con un sorriso - Non devi. Sono tutti tipi a posto… beh, a parte Sherlock. Se ti dice qualcosa di strano tu ignoralo e basta. E cerca di non rimanerci male. -
Lei l'aveva guardato e basta. Era il peggior tentativo di rassicurazione che avesse mai sentito, e soprattutto il modo migliore per spaventarla a morte ancor prima di incontrare questo fantomatico Sherlock Holmes. Lestrade le aveva già accennato qualcosa quando l'aveva chiamata per proporle il lavoro, accennando a "colleghi un po' particolari", ma non aveva mai parlato di non rimanerci male, come se dovesse aspettarsi un bullo da scuole medie.
Aveva cercato di calmarsi con qualche respiro profondo, dicendosi che era stupido agitarsi a quel modo e pregando che il deodorante non l'abbandonasse proprio nel momento del bisogno.
Stava ancora borbottando tra sé quando era arrivata la Donovan, il braccio destro di Lestrade, fradicia di neve e con la bocca già impegnata a maledire i guanti che aveva lasciato a casa. Si erano strette le mani (erano davvero gelate in effetti) e dopo averla guardata negli occhi la prima cosa che Molly pensò fu Non le piaccio.
Un'occhiata non era abbastanza per capire una persona, di questo era sempre stata sicura, ma il malcontento di Sally Donovan davanti a lei se lo sentiva addosso come un cattivo odore.
Nell'arco di cinque minuti dal suo arrivo Sally si era liberata di cappotto e sciarpa, aveva tamponato i capelli umidi con un asciugamano che teneva in un cassetto della scrivania, l'aveva messo ad asciugare sul calorifero e poi si era messa a digitare sul cellulare. Dopo un minuto in cui ancora non si vedeva traccia di Sherlock il cellulare di Sally era squillato di nuovo e lei aveva fatto un sorriso, il primo da quando era entrata, e avvertito che alla fine Anderson accettava di fare il Chimico nonostante quello lì.
Lestrade non aveva detto niente e si era limitato ad annuire, ma a Molly non era sfuggito il suo sospiro appena la Donovan aveva voltato le spalle. Non sembrava arrabbiato, solo un po’ stanco.
Si appuntò in testa di chiedergli se era tutto okay o prevedeva guai appena fossero rimasti soli, ma a quel punto la porta si aprì un’altra volta e tutti i pensieri di Molly si catalizzarono solo sulla persona che era appena scivolata nell’hangar.
Molly se ne innamorò subito.
*
- Sherlock, lei è Molly. Il nostro Architetto. -
Molly aveva pregato Dio di lasciarle sulle guance il suo color londinese pallido naturale, ma quando Sherlock l’aveva squadrata da capo a piedi, passando dalle sue ginocchia stranamente poco stabili alle mani strette a pugno fino agli occhi un po’ troppo spalancati, aveva capito di aver già perso. Il calore sulla faccia le diceva tutto quel che c’era da sapere, e anche se non sempre da quel giorno in poi l’avrebbe ammesso, non aveva dubitato nemmeno per un istante che lui non avesse capito. Lui e tutti gli altri presenti nella stanza.
Avrebbe tanto voluto non essere un libro aperto allo sguardo di chiunque avesse più spirito di osservazione di un mollusco, ma davanti a Sherlock non era riuscita a far nulla, figurarsi nascondere la botta di calore da cui si era sentita invadere.
Era riuscita a tirar fuori solo un patetico - Cia… salve. - e Sherlock si era limitato a passarle oltre e chiedere a Lestrade se potevano cominciare.
Molly s’impegnava sempre nel suo lavoro, ma dopo quel giorno cominciò a metterci un’attenzione tutta nuova. La prima cosa che aveva capito di Sherlock era la sua totale, quasi spaventosa dedizione al lavoro: magari non l’avrebbe mai notata, non davvero, ma la parte di sé di cui un po’ si vergognava pensava che vederlo guardare progetti perfetti, sapere che escogitava piani da attuare in un luogo che lei stessa aveva creato… sarebbe stato un po’ come farlo pensare a lei, anche se a tradimento.
Col tempo Sherlock cominciò almeno a rivolgerle la parola in effetti: di solito lo faceva per chiederle qualche favore, e Molly quando poteva (e trovava sempre il modo di potere) lo aiutava con gioia. Sapeva che la Donovan la disprezzava per questo, probabilmente aveva cominciato a farlo dalla prima volta che l’aveva vista arrossire, ma per una volta non le importava di quello che pensavano gli altri. Per quanto sapesse di non avere la più minuscola, infima speranza con lui, un cenno con la testa di Sherlock per qualcosa che aveva fatto (non osava quasi sperare che lo facesse direttamente a lei) valeva universi più dell’opinione di una PointMan scontrosa.
Poi, un bel giorno accadde John.
*
Quando Sherlock aveva portato John Watson al lavoro per la prima volta, Lestrade si era riservato il diritto di non pensare.
Sherlock non aveva mai fatto niente di simile, e Lestrade voleva capire. Era stato un poliziotto, un bravo poliziotto, e sapeva che se l’istinto era importante, lo era anche aspettare di avere delle prove in mano prima di avanzare ipotesi.
La prima volta erano scesi tutti nel sogno di un sospettato terrorista per rubare informazioni da portare all’Interpool, e John aveva sparato con un L85A1 a tre proiezioni che si erano lanciate contro Sherlock tutte insieme.
Niente di strano, si era detto. Sono colleghi. Era sicuro che persino Sally durante un lavoro importante gli avrebbe coperto le spalle.
Sherlock ovviamente non l’aveva ringraziato, perché era grato, ma non ubriaco. Ma la sua gratitudine a Lestrade era bastata, perché lui di solito a malapena guardava negli occhi chi gli salvava il culo.
A John, invece, aveva sorriso.
Uno.
Al terzo lavoro erano nella mente della presunta assassina di sei mariti, tutti suoi, e indagavano sulla riva dove la donna passava l'Estate da bambina. Quando una sirena aveva prima baciato John sulla bocca e poi tentato di castrarlo con un coltello che teneva sotto il pelo dell’acqua, fallendo solo perché lui era stato abbastanza svelto da vedere la mano fare un guizzo sbagliato ma ritrovandosi a lottare con una bestia abbastanza forte da tenergli testa e con due denti a sciabola che prima non aveva notato nessuno, Sherlock aveva mollato quello che stava facendo, aveva mollato l’interrogatorio della sognatrice, e aveva staccato la testa alla sirena con una sciabola.
E questo non era stata normale amministrazione, non lo era stata affatto, perché quante volte Sherlock aveva lasciato colleghi al proprio destino di dolore e sveglia traumatica senza battere ciglio, troppo impegnato a risultare brillante e risolvere enigmi intricati per aiutarli? Lestrade faceva prima a ricordare quante volte avesse fatto il contrario.
Due.
Pochi mesi prima dell’Incidente avevano dovuto collaborare con una famosa ladra internazionale, tale Irene Adler. Alla Adler Sherlock era piaciuto tantissimo. A John la Adler non era piaciuta neanche un po’, nonostante fosse una donna davvero bella e la passione di John per le donne davvero belle fosse cosa nota. Visto che Sherlock parlava male e trattava come pezze da piedi tutte le ragazze con cui John usciva, Lestrade aveva pensato che in un certo, malsano senso adesso erano pari.
Gli sbuffi, le occhiate al cielo e i commentini di Sally e Anderson si sprecavano ogni volta che si ritrovavano tutti insieme, e Molly guardava la Adler come se le avesse fatto un torto personale.
Lestrade non poteva biasimarla, perché nonostante Sherlock avesse fatto un’arte del farsi superiore, che quella donna lo avesse colpito era evidente per chiunque si prendesse la briga di conoscerlo un filo e poi si limitasse a osservare.
Lestrade si era sentito poi al centro di qualcosa di molto scomodo e dotato di un equilibrio impalpabile, più che fragile, quando John aveva reagito a una moina più spinta del solito da parte di Irene con un gelato “John Hamish Watson. Se cercate il nome per un bambino.”
Per un momento era stato certo che John si sarebbe alzato dalla sedia e se ne sarebbe andato, mortalmente teatrale (non quanto Sherlock, ovviamente, ma visto che di solito John era l’esatto opposto di teatrale, sarebbe stato comunque d’impatto quanto basta).
Non l’aveva fatto, era rimasto seduto dov’era, ma l’atmosfera era diventata lo stesso pesante come un masso. Persino Sally e Anderson non avevano detto nulla, e si erano sbloccati tutti solo quando la Adler aveva ripreso a parlare del progetto di Molly come niente fosse.
Tre.
Mettendo insieme quei tre eventi e tanti altri momenti sparsi e dolciastri per poi unirli come i pezzettini del più banale e intuitivo dei puzzle, sarebbe arrivato alla sua stessa conclusione anche qualcuno che non fosse Gregory Lestrade. Qualcuno di nome Molly Hooper, per esempio.
Quando avvenne l’Incidente, una volta aperti gli occhi John provò a prendere a schiaffi Sherlock per farlo svegliare. Non servì a niente, ovviamente.
Era notte fonda, e quando l’ambulanza chiamata da Sally arrivò davanti all’hangar e illuminò con la sua luce vivida e fastidiosa le finestre e lo stanzone dove si trovavano, Lestrade pensò che quando era bambino alla parola incubo gli veniva in mente un’atmosfera molto più simile a questa che non ai sogni dove si avventurava per lavoro.
Quando erano arrivati Sally era corsa ad aprire, ma Lestrade no, lui era rimasto a guardare John che ascoltava le pulsazioni di Sherlock con gli occhi stretti e ripeteva “no” all’infinito, così piano che se la sua sedia non fosse stata alla sinistra di Sherlock probabilmente non lo avrebbe sentito.
Quando John aveva staccato l’orecchio dalla vena del polso di Sherlock, gli aveva stritolato la mano afflosciata tra le sue e aveva detto “Non puoi, non puoi” Lestrade aveva smesso di contare le prove di quale esatto tipo d’amore ci fosse tra Sherlock e John.
Era un amore fottutamente doloroso, un po’ come quello che lo costringeva a ripetersi “passerà, troveremo un modo” ancora prima che i paramedici entrassero a strappare il corpo di Sherlock dalle mani di John, e tanto bastava.