Titolo: Le vecchie abitudini sono dure a morire
Autore: Asmesia
Fandom: X/1999
Personaggio/Coppia: Subaru Sumeragi / Kamui Shiro
Rating: pg13
Prompt: #1 Le vecchie abitudini sono dure a morire
Conteggio Parole: 2407
Avvertenze: Post serie, shonen ai.
Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono alle Clamp.
Tabella:
Tabella 1 - Le vecchie abitudini sono dure a morire
È vero, ormai Kamui dice di essersi abituato a quelle cose, e c’è perfino un’impronta di sincerità nelle sue parole.
Certo, è difficile e in qualche modo quella nuova vita lo sta uccidendo. Certo, si può pensare che a lui stia bene così, un lungo e doloroso ibrido fra un calvario e un suicidio.
A volte si alza, e se è nel luogo dove Subaru pretende di vivere, gli capita di vedere alcune macchie arrossire di vergogna sul pavimento. Con pazienza imbeve gli stracci e pulisce.
Se invece si trova da qualche altra parte, può decidere se correre subito a casa del nuovo Sakurazukamori o aspettare qualche giorno. Magari può perfino optare per qualche ora di finzione. In quei momenti giura di cambiare, di non vedere più Subaru, dichiara di essere stufo di tutto quel sangue che lo macchia, che l’ha sporcato prima ancora di nascere e di non volere mai più condividere frammenti di esistenza con un assassino. Anche in queste parole c’è un’ombra di sincerità.
Poi, ovviamente, in meno di una settimana, è di nuovo lì a pulire macchie e a cercare di influenzare in qualche modo la vita di Subaru.
Tuttavia ultimamente sta migliorando, riesce a prendersi delle pause. Riesce ad assentarsi per giorni interi, e si sente in vacanza, pur comportandosi come una persona qualunque. Entra nei ristoranti e ordina i cibi che più lo tentano, si siede sulle morbide poltrone delle sale dei cinema senza nemmeno avere l’accortezza di sapere che film danno, passeggia per le strade godendosi il pensiero di essere nascosto in una marea di gente per la quale lui è uno sconosciuto ingiudicabile.
Ma dopo, torna. È una vacanza, non è vita vera.
Certo, non può ancora permettersi di considerare quella con Subaru una “vita vera”, ma un giorno lo farà. Prevede tragedie per quel momento.
Subaru è il nuovo Sakurazukamori ed è grottesco anche solo vederlo. Il nero non è un colore che gli si addice, per nulla. Con quell’impermeabile scuro, con quei guanti di pelle, con quelle sigarette fra i denti, pare proprio un serial killer di quelli che ogni tanto vede nei suoi film.
Cioè, lo sembrerebbe, se non lo conoscesse fin troppo bene. Non può cancellare il ragazzo gentile e malinconico, buono e premuroso che era un tempo.
Così è strano guardarlo nelle sue nuove vesti. Ha lo stesso sapore irritante di alcune opere d’arte moderna, quelle create con bambole e orsacchiotti fradici di sangue che impugnano coltelli e pistole.
Una volta aveva visto in un manifesto un pupazzo sorridente che avvicinava un fiammifero a una pozza di benzina dove stava in ginocchio una bambina che gridava spaventata.
Sì, lo sa che è un orribile paragone, peraltro fuori luogo. Ma gli è venuto naturale, o forse quel dannato manifesto gli è rimasto troppo impresso (aveva solo otto anni, santo cielo!).
È stato destabilizzante vedere Subaru uccidere una persona. Lo sapeva già, ovviamente, in cosa consistevano i suoi nuovi compiti, ma assistere alla scena è stato traumatizzante .
Ricorda di avere vomitato, e ricorda che Subaru l’aveva guardato con il solito vuoto negli occhi, prima di dirgli che sarebbe dovuto rimanere a casa, come gli aveva suggerito.
Il suo tono era freddo come un cadavere, ma Kamui l’aveva avvertito pieno di disprezzo.
Non ricorda più perché aveva insistito così tanto, forse voleva solo avere la prova che Subaru era davvero rovinato senza possibilità di ritorno, non saprebbe dirlo.
Deve ammettere che Subaru si sta comportando meglio del previsto. Ovvero malissimo, ma potrebbe scendere ancora parecchi gradini.
Kamui avrebbe scommesso la riuscita della tentata fine del mondo (come se ne avesse avuto il controllo) che sarebbe impazzito in un mese o due. Massimo limite un anno.
No, invece. Spezzato, rotto, maciullato, e ridotto a un’ombra di un’ombra di un’ombra di ciò che era, Subaru resiste.
A volte Kamui glielo fa notare e forse c’è ironia e forse sincerità nella sua voce.
-Non è da tutti tirare avanti uccidendo una persona ogni due giorni, con un naturale animo candido come il tuo.-
Subaru non risponde, e Kamui nemmeno se lo aspetta.
A dispetto del fatto che Kamui ormai vive lì, i due parlano molto poco.
Subaru è via per la maggior parte del tempo, e Kamui si aggira in quella casa come un gatto. Quella definizione gli sta bene, non è un ospite, non è un convivente, non è un domestico. Semplicemente lui a volte, se gli viene voglia, va lì. E come entra può uscire in qualsiasi momento. Subaru gli rivolge un massimo di trenta parole durante il giorno, quindi per lui è indifferente. Sì, Kamui è un gatto in quella casa.
Quando il Sakurazukamori torna, è tutta una routine. Si fa la doccia, lava i suoi vestiti macchiati, si siede e di solito rimane in silenzio e in contemplazione fino all’ora di cena, prepara un pasto per sé e per Kamui, se questo è nel suo raggio visivo, e va a dormire.
Deprimente.
Una volta Subaru gli rivolse la parola per primo. Quel giorno superarono incredibilmente le trenta parole.
-Sai, Kamui, stavo pensando una cosa.-
Kamui aveva atteso che continuasse, ma dopo una lunga attesa era stato costretto a chiedere quale riflessione stesse occupando la sua mente. L’ironia non è stata colpa sua, Kamui era convinto che Subaru non pensasse da molto tempo.
-Mi stavo chiedendo. Forse, forse io ero destinato a questo da sempre.-
Si era guardato le mani.
-Fin da quando sono nato, fin da quando ho ereditato il nome di Sumeragi, fin da quando ho imparato a parlare, fin da quando Seishiro mi ha marchiato, fin da quando ho iniziato a fare esorcismi… Forse ero sempre stato destinato a essere ciò che sono. È stato un percorso obbligato, una serie di tappe di un cammino senza deviazioni. Inevitabile come la crescita di una pianta. Il seme può essere simile a tanti altri, il germoglio non è identificabile da occhi inesperti, ma alla fine, per quanto nasca in ambienti contrari alla sua natura, la pianta diventa ciò che è, senza possibilità di fuga.-
Kamui aveva sbuffato.
-Per me, Subaru, avevi centinaia di altre opzioni, di altre scelte. Se sei ciò che sei la colpa è solo tua. Mettitelo bene in testa, o perderai di vista la realtà più di quanto tu non abbia già fatto.-
Subaru non parlò per il resto della sera.
Fu una buona cosa che sul momento Kamui non si fosse meravigliato della strana eloquenza dell’altro, o non avrebbe avuto il coraggio di dire quelle parole, stordito dal miracolo.
La sincerità bruciava nella sua voce.
Kamui avrebbe un sacco di domande da fargli, ma non chiede nulla. Forse perché tanto Subaru non risponderebbe, o perché non gli importa davvero delle risposte, o perché pensa che nemmeno il nuovo Sakurazukamori conosca sé stesso a sufficienza.
Pensa che sia un’ingiustizia che, quando Subaru vuole parlare, lui si pieghi sempre e il discorso inizi. Meriterebbe la sua indifferenza, altroché. Ma quando ci sono queste rare occasioni, al diavolo questa ombra di orgoglio.
-Kamui, dimmi.- gli aveva chiesto Subaru una sera. -Tu riesci ad immaginare perché ho fatto la scelta che ho fatto?-
Era seria la sua voce, e Kamui poteva scorgerci dentro qualcosa di emotivo, cosa ormai rara.
Si era messo a ridere. Sì, perché non si può tradire i propri compagni, diventare un assassino, seguire il nemico di famiglia numero uno, ammazzare così tante persone da perdere il conto e poi chiedere al proprio quasi-gatto “Tu lo sai perché lo faccio?”.
Alla fine aveva risposto.
-Tu ami ancora Seishiro, lo ami dopo anni che è morto. Segui la sua volontà, uccidi e muori ogni giorno nel farlo. Non c’è alcuna passione in te, non c’è alcuna ombra di vita. Segui, passivamente, quello che lui ti ha comandato.-
Aveva riso ancora, e non c’era nulla di allegro nella sua voce. Anzi, qualcosa di contorto e amaro e sbagliato sporcava quella risata.
-E anch’io sono uno stupido, che credi? Sono ancora legato al Subaru che ho conosciuto, quello che mi ha salvato dalla mia mente e che mi stringeva la mano quando piangevo. È colpa mia, non riesco a non vedere in te quel Subaru. Sì, qualcosa dentro di me continua a pensare che tu sia la persona di cui mi ero innamorato.-
La sua voce era calma, solo un po’ inclinata da una orribile allegria.
-Ma perché credi che lo faccia? Ci ho pensato a lungo, e la risposta è solo una. E no, non è plausibile, ma è meno contorta delle altre. Per abitudine, nient’altro. Perché sai, il Kamui oscuro l’ho ucciso io e odio sentirne parlare, Kotori è sottoterra, metà degli altri draghi è morta e l’altra metà sta cercando di imparare di nuovo a vivere e io non voglio guastare loro questa possibilità. Mi resti solo tu, anche se siamo così lontani da non riuscire nemmeno a guardarci e capire cosa sia diventato l’altro. Ma almeno tu ci sei e ti conoscevo, perciò mi attacco a te con tutte le mie forze. Non ho voglia di futuro e tu sei incatenato al passato, non è troppo doloroso stare qui con te. Niente di te ha il profumo del domani o della speranza. Mi aggrappo troppo ai tempi passati per voler sconvolgere le mie abitudini. E credo che anche tu sia troppo debole.-
Subaru non aveva cambiato espressione mentre parlava.
-Nel nostro caso anche l’amore è un’abitudine, sai? Siamo così abituati a pensare a quella persona, solo a quella persona che… ci è difficile cambiare. Richiederebbe troppo sforzo modificare questi pensieri, no? Ti alzi dal letto e subito pensi a Seishiro. Indossi i tuoi vestiti, che incredibilmente somigliano ai suoi, e pensi a Seishiro. Ti nutri, pensi che sei vivo, pensi che Seishiro non lo è più per colpa tua, ti deprimi e continui a pensare a lui. Uccidi e ti convinci che l’unica cosa che puoi fare per lui è seguire i suoi ordini senza indugio. Ti accorgi di perdere un po’ di vita ogni giorno e pensi “almeno presto raggiungerò Seishiro”. Guardi me e pensi “perché qua c’è Kamui e non Seishiro?”. Sarebbe dura cambiare, vero? Uccidere il pensiero di lui che riempie ogni minuto della tua pallida esistenza.-
-È per questo che resti, Kamui?-
La voce di Subaru era piatta come al solito. Il ragazzo aveva scosso la testa.
-Resto perché vorrei salvarti. Sì, lo so che è assurdo. Ma mi è impossibile non pensare a te prima che ti riducessi così. Sai, la vecchia abitudine di pensare di poter salvare le persone che amo. A volte penso che tutto questo casino della fine del mondo non mi abbia insegnato nulla.-
Per quella sera il discorso finì lì. Il giorno dopo Subaru continuò la sua solita routine, e Kamui non ne fu sorpreso.
Poi, un giorno, Kamui scorse qualcosa di inusuale in lui. Nella sua quasi completa apatia, c’era un’ombra di tristezza.
Non gliene avrebbe chiesto nemmeno il motivo (l’ombra era proprio leggera, sarebbe potuta essere l’inesperienza che non sempre gli permetteva di essere totalmente insensibile), ma fu Subaru a parlare.
-Ieri era l’anniversario di morte di mia sorella.-
Kamui non disse nulla.
-Già quindici anni.-
Dopo qualche minuto fu costretto a continuare, Kamui non avrebbe aperto bocca.
-Sai, mi sono sentito, non so, qualcosa di simile a essere triste. Ho detto una preghiera.-
Ancora silenzio. Continuò il suo monologo.
-A volte mi dispiace. Sai, credevo che ormai fosse impossibile, invece a volte… Mi dispiace. Guardo il corpo ancora caldo e penso “poverino”, come la gente che vede i cadaveri in televisione. Poverino, penso. Oppure “doveva proprio morire?” e, a volte, addirittura “Perché?”-
Kamui finalmente era scoppiato a ridere, la risata malata di molte sere prima.
-Le abitudini, Subaru, le vecchie abitudini. Mai sottovalutarle. Governano la nostra giornata, alcune volte per inerzia la nostra vita cambia o le viene impedito di mutare. L’azione compiuta migliaia di volte, tutti i giorni parecchie volte al giorno, acquista col tempo un profumo familiare, consolante. Si radica dentro di noi come un atto naturale, come sapere leggere o scrivere. La si compie senza nemmeno pensarci. Però a volte è piacevole trovare che alcune cose si modificano con grande difficoltà, vero? Trovare briciole di una esistenza precedente nella tua nuova vita.-
-Quindi queste cose… sono solo frutti dell’abitudine?-
Kamui continuava a sorridere, storto.
-Sì, Subaru, null’altro. Mi dispiace frantumare le tue speranze, ma odio vedere persone illuse.-
Forse fu solo un’impressione, ma gli parve che la tristezza in Subaru fosse aumentata. Così continuò.
-Non stai guarendo, non stai migliorando, non c’è più nulla di buono in te. Sì, una volta eri una persona che per quelle vittime avrebbe provato sincera pietà. Anzi, eri uno di quei tipi che non sopportano di vedere morte e sofferenza. Ora non stai tornando indietro. Semplicemente, sei così passivo che a volte l’abitudine prende il sopravvento. Insomma, sei stato una persona che molti definirebbero “buona e sensibile” per almeno sedici anni. Non è una cosa che si possa cancellare così, i primi anni di vita sono importanti per il proprio carattere. Le preghiere, la pietà, l’ombra di qualche sentimento, l’affetto per la famiglia,… Le abitudini avute per così tanti anni sono dure a morire. Nulla di più.-
Subaru abbassò lo sguardo. Dopo qualche minuto Kamui capì che per ora è tutto. Chissà quando Subaru avrebbe avuto voglia di scambiare ancora qualche parola.
Quando il Sakurazukamori si ritirò nella sua camera, uscì dalla finestra e decise che si sarebbe preso qualche giorno di vacanza.
Sì, a volte ha bisogno di prendersi una pausa. Non lo fa per capriccio, ne ha bisogno. Una pausa da Subaru. Dalla sua aria da “non voglio la tua pietà, ma tu dammela, così sono libero di rifiutarla ma grazie del pensiero”.
Ci mette tutta la sua buona volontà, ma vivere a stretto contatto con lui è sfiancante.
A volte ha davvero bisogno di una vacanza. Anche questa sta diventando una sua abitudine.
Lui, ormai, di illusioni non se le fa più. Non pensa che queste brevi vacanze provino che presto riuscirà a staccarsi da lui, no. Spera che anche Subaru non si stia costruendo false speranze, perché ne è stanco.
Sarebbe orribile vederlo indugiare ancora in realtà d’aria, e poi fare la parte del malvagio che distrugge i suoi sentimenti.
Ormai sono arrivati a quel punto, non possono tornare indietro e se proprio vogliono andare avanti è meglio che inizino a scavare.
Nelle loro esistenze urticanti c’è una morbosa catena di abitudini. Nulla di più.