[RPF Calcio] Cinque volte in cui Mario cerca di baciare Thomas e una in cui ci riesce.

Aug 12, 2013 16:32


Titolo: Cinque volte in cui Mario cerca di baciare Thomas e una in cui ci riesce.
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Mario Gomez/Thomas Muller
Rating: R
Conteggio Parole: 4198 (fdp)
Avvertimenti: fluff, slash, quel pochettinino di angst che ci sta sempre quando si tratta di maschi che prendono a calci una palla
Note: Dopo un'attenta ricerca posso essere fiera di raccontare che sì: la prima volta che Thommi e Mario si vedono sul campo da calcio è quel Bayern Stoccarda lì, tre giorni prima che Mario vada al Bayern. E sì, alla prima partita insieme con gol, si abbracciano e sbaciano perchè si amano. Amen. Scritta per la missione 2 del cow-T 3.5 di maridichallenge

DISCLAIMER: Non è successo, non mi appartengono e non ci guadagno, altrimenti Gomez starebbe ancora al Bayern.


  1.
Mario ha una piccola e innocua abitudine, un capriccio che si concede da sempre prima di ogni partita e che sottrae un paio di minuti buoni alla sua concentrazione: studiare i calciatori avversari. Non come rivali, come difensori da bruciare o portieri da annichilire, come nemici da battere; Mario li studia, qualche secondo ciascuno, come uomini. Gli piace osservare i loro movimenti quando sono fianco a fianco nel tunnel che li porterà fuori sul campo, il modo in cui guardano le proprie scarpe o fisso di fronte a loro, come ridacchiano coi compagni di squadra e come reagiscono ai suoi occhi interessati. I gesti sono più o meno sempre gli stessi, nessuna sorpresa, tanto che Mario dopo pochi minuti torna a chiacchierare o focalizzarsi sulla partita senza grandi sconvolgimenti interiori.
La cosa cambia quando vede per la prima volta Thomas, nella sua sgargiante maglia rossa. Non riesce a spiegarsi esattamente il perché - il viso troppo ragazzino, il sorrisone felice, lo sguardo concentrato, probabilmente nessuna di queste cose o tutte messe insieme - ma l’ispezione si ferma a lui, anche se non è nemmeno tra gli undici titolari. Si ritrova a guardarlo troppo spesso, mentre stringe la mano a Bastian o quando Luca Toni gli augura un “buona fortuna” tanto accentato da essere incomprensibile; quando stringe i pugni per l’autogol che li porta in svantaggio; a fine primo tempo quasi sbaglia spogliatoio per seguire i suoi movimenti. Ed è la prima persona che guarda quando segna, la prima tra tutte seduta nella panchina sbagliata. E’ abbastanza imbarazzante andare, a fine partita col peso della sconfitta sulle spalle, a fare i complimenti agli avversari solo perché non riesce a smettere di seguirlo.
Non è che ci provi proprio a baciarlo, in quell’occasione, ma l’avrebbe volentieri fatto se non fosse stato occupato a fissare ogni suo più piccolo movimento per imparare a conoscerlo prima ancora di presentarsi. Cosa che poi fa, esattamente due secondi prima di salire sul pullman e tornare a casa, mentre lo vede uscire con il borsone in spalla e il cellulare in mano. Tre o quattro passi, un sorriso e un nome. Un “a presto”.
Mario aveva già sentito parare di Thomas - i nuovi talenti del Bayern non sono mai troppo sconosciuti - e sapeva anche di avere una certa predisposizione verso gli uomini piuttosto che le donne. Era a conoscenza di queste piccolezze anche prima della partita, solo che non si aspettava certo di dover collegare i due fatti così, per casualità, un giorno di fine Maggio. Ma alla fine non è scritto da nessuna parte che eventi a caso non possano collegarsi a caso in momenti a caso della vita. Semmai le conseguenze sono, a conti fatti, un po’ meno casuali.
E in effetti Mario chiede di andare al Bayern dopo tre giorni esatti dalla partita. Un caso.

2.

« In bocca al lupo. »
Mario si volta immediatamente verso Thomas, preso in contropiede durante uno dei suoi consueti sguardi perlustratori da pre-partita. Per un secondo lo fissa, quasi sorpreso di sentire la sua voce - non hanno parlato molto, ogni volta che si era presentata l’occasione Mario era stato frenato dal bisogno di rimanere zitto a guardarlo, solo guardarlo - ma non appena si riprende gli regala un sorriso che da solo basterebbe come risposta a ogni augurio del mondo.
« Crepi. Anche a te. » dice, deviando istintivamente lo sguardo sulle labbra screpolate dell’altro, per riportarlo dopo millesimi di secondo ai suoi allegri occhi celesti. Anche Thomas sorride, meno teso di prima, una delle sue smorfie larghe e contagiose.
A Mario inizia a fare sempre meno paura l’idea di sporgersi e baciarlo. Sempre meno, tanto che se non fosse richiamato alla realtà dal movimento intorno a lui, probabilmente avrebbe già invaso da parecchio lo spazio personale di Thomas. E arrivederci alle conseguenze.
Giù in campo è ancora più difficile resistere tra l’adrenalina per il gioco, la corsa, le urla e lo stadio rosso che sembra vivere solo per loro (forse è davvero così); Mario ce la mette davvero tutta anche quando ormai nelle vene non gli scorre più sangue ma energia liquida. Le dita di Thomas stringono forte la sua spalla mentre la palla rimbalza in porta e il rumore è tanto intenso da coprire le urla nella sua testa, ma l’abbraccio si scioglie ancora troppo presto.
Mario non riesce a capire cosa sia, esattamente, quella forza magnetica che lo costringe costantemente a rimanere in contatto con Thomas - che sia tramite uno sguardo, una parola, uno sfiorare di braccia o un semplice pensiero - ma immagina che dovrà abituare a conviverci molto presto. Perché non sembra volersi esaurire, indebolire, e lui d’altra parte non ha nessuna voglia di combatterla.

3.

Una domenica sera tranquilla, una di quelle in cui si è giocato di venerdì e si è tutti riposati, Thomas va a casa di Mario. Senza nessun motivo particolare, si presenta con una mezza dozzina di birre tra le braccia e sorride la sua solita naturalezza sulla soglia. Mario ha solo il tempo per fare un passo di lato e lasciarlo entrare, che l’altro si è già catapultato in cucina come se conoscesse quei corridoi da una vita. E’ la terza volta che va a casa di Mario e ha già memorizzato ogni angolo.
« Ero da solo e mi stavo annoiando e ho pensato che sicuramente tu te la stavi passando persino peggio. Quindi sono venuto a rallegrarti la serata. Dimmi grazie.» esordisce Thomas, mettendo insieme saluti, spiegazioni e prese per il culo. Mario ridacchia mentre chiude la porta e lo raggiunge.
« Grazie mille per avermi salvato da una deprimente serata di calcio, Thommi. » dice, avvicinandosi al cassetto dove tiene lo stappa bottiglie e trafficando alla ricerca. Sente l’altro muoversi alle sue spalle e poco dopo un vocio concitato venire dal televisore. Ovviamente Thomas non ha bisogno che nessuno gli chieda di stare comodo.
« Per caso avevi da fare? Ti ho disturbato? » chiede mentre si lascia cadere sul divano che cigola sotto il suo peso.
« Non disturbi, ma attento a non distruggermi casa. » risponde Mario, mentre finalmente si volta e va a stappare un paio di birre. Thomas gli lancia un’occhiata da sopra una spalla, per poi tornare a concentrarsi sulla partita che ha messo su in televisione.
« Piuttosto smettila di comprare roba sottomarca, Gomez. Invece di gettare milioni sulle cremine per i capelli potresti prendere un divano degno di questo nome. » A sostegno della sua tesi, Thomas si agita e dondola un po’ tra i cuscini morbidi, provocando altri cigolii. Scuote la testa con fare fintamente borioso, quando Mario gli passa una birra e si lascia scappare una risata divertita.
« Ehi, intanto ti piace stare spaparanzato sul divano sottomarca. » gli fa notare mentre le due bottiglie si scontrano in un brindisi molto spartano.
« Hai ragione. Meglio il pavimento. » E difatti Thomas scivola con molta poca grazia sul pavimento, prendendo un sorso di birra. Mario a quella vista può solo scoppiare a ridere e bere anche lui, accomodandosi a terra di fianco all’altro.
« Ordiniamo una pizza? » chiede poco dopo Thomas, quando la partita in televisione sembra essere entrata nel vivo. A Mario non sembra per nulla una cattiva idea, quindi si limita a fare spallucce e si alza per andare a cercare il telefono. Non si ferma neanche a scorrere tra le chiamate perse e i messaggi ricevuti, ma torna subito ad accomodarsi accanto a Thomas chiedendosi distrattamente che gusti abbia in fatto di pizze. Mentre il telefono squilla, si volta e ridacchia a vederlo affannarsi per un fallo non fischiato o una diagonale uscita male, come se in televisione ci fossero le sue squadre e non la seconda divisione.
« Pronto, buonasera. »
Ha ancora il sorriso sulle labbra quando risponde, tanto che Thomas si volta e gli chiede con un gesto cosa ci sia di divertente. Mario scuote le spalle, tornando a prestare attenzione al ragazzo dall’altra parte della cornetta.
« Per me la diavola. » fa il più piccolo, prendendo un altro sorso di birra e guardando di nuovo verso la televisione, giusto in tempo per godersi un tiro millimetrico sopra la traversa che lo fa saltare in piedi e accasciare un secondo dopo, in fin di vita. Mario ridacchia e finisce di ordinare, gettando poi il telefono da qualche parte sulla poltrona lì vicino.
« Se avessero un po’ più di tecnica, non sarebbero male. » dice Thomas, prendendo un altro sorso abbondante.
« Chi? »
« Tutti e ventidue. »
Mario abbandona la testa all’indietro e si lascia scappare l’ennesima risata.
« Sarebbe un complimento? O stai dicendo che non sanno giocare? » risponde allo sguardo stupito dell’altro, mentre porta la bottiglia alle labbra anche lui. Thomas ridacchia e fa spallucce.
« Il problema è che nessuno glielo ha insegnato. »
Mario scoppia a ridere, e il sorriso si può ancora notare sulle sue labbra quando il campanello suona e le pizze sono fumanti davanti a loro.
La partita continua e mentre Thomas rovescia nel cartone mezzo condimento - che comunque non va sprecato, visto che raccoglie tutto e divora, da bravo tifoso affamato - Mario deve sforzarsi più di quanto abbia mai immaginato per mantenere le distanze su quel tappeto improvvisamente troppo stretto. Il sorriso non lo abbandona mentre i suoi occhi scivolano dallo schermo a Thomas, troppo spesso per godersi la partita ma non abbastanza per godersi lui; alla fine l’aveva immaginato che il vero spettacolo non sarebbe stato in tv. E infatti non se ne accorge più di tanto dei tre fischi finali, delle squadre che rientrano negli spogliatoi, dei cartoni della pizza ormai vuoti e delle bottiglie di birra ammassate sul tavolino di fronte a loro; del calore del corpo di Thomas o delle sue labbra a un palmo dal suo viso, del profumo di bagnoschiuma anonimo sulla sua pelle. Non se ne accorge davvero, ecco perché continua ad avvicinarsi e si ferma solo quando l’altro arretra di qualche millimetro, abbastanza da fargli notare cosa stia succedendo. Solo allora si ferma, distoglie lo sguardo dalle labbra di Thomas. Si dà dello stupido, mentre chiude gli occhi e poggia la fronte su quella del ragazzo accanto a lui, che questa volta resta immobile.
I commentatori iniziano a raccontare la partita, in televisione, ma nessuno dei due si sposta. Mario continua a non aprire gli occhi e a pensare che Thomas è pericoloso, un pericolo rosso sangue, se è riuscito a stregarlo in quel modo grazie a un paio di battutine e il suo modo strano di mangiare la pizza.
Thomas, da parte sua, sta ancora cercando di capire per quale motivo Mario guardi in quel modo soltanto lui.
Dopo aver preso un profondo respiro, il più grande apre gli occhi e sorride qualcosa di amaro.
« Scusa. Non ti preoccupare, non ci provo più. » dice, staccandosi e alzandosi da terra. Non può neanche dare la colpa alla birra, perché quelle che hanno bevuto sono davvero troppo poche come giustificazione, senza contare il fatto che certi pensieri gli ronzano in testa anche quando di alcool in corpo non ne ha per niente. Sente lo sguardo di Thomas su di lui mentre raccoglie le bottiglie per portarle in cucina, ma durante tutto il tragitto non una volta, neanche una, quello sguardo sembra arrabbiato. Né deluso. Né schifato. Né qualsiasi altra cosa al mondo ci sia di negativo, e questo è un problema.
« Allora ci vediamo domani all’allenamento, ciao Mario. »
« Notte Thommi. »
E’ un problema, perché allora sarà difficile mantenere la promessa. Sarà difficile non provarci di nuovo.

4.

La quarta volta è sul campo e Mario vorrebbe davvero sentirsi in colpa con se stesso per aver quasi mandato a puttane le carriere di entrambi, ma non ci riesce.  Quando ripensa a quel momento, è capace solo di sorridere come un bambino ebete innamorato, come si può pretendere che abbia i sensi di colpa?
Magari Bastian riesce a capirci qualcosa, pensa, e quindi una di quelle sere si ritrovano davanti due boccali di birra in uno degli innumerevoli locali di Monaco. Il biondo non fa neanche troppi giri di parole prima di chiedere a Mario cosa stia succedendo, e la risata divertita che gli arriva in risposta è già abbastanza chiara senza le parole che la seguono.
« Ho quasi baciato Thomas, oggi. » dice, prima di prendere un bel sorso dal suo boccale, stringendo forte il manico per scaricare quella poca tensione che dimostra di avere.
Bastian non è tanto sorpreso dal fatto in sé - le telecamere del mondo intero forniscono una spiegazione soddisfacente anche da sole - piuttosto dalla semplicità con cui Mario ha parlato. Non c’è delusione nella sua voce, né rabbia, né vergogna. C’è anzi la sicurezza di chi ha raccontato così tante volte una storia da conoscerla a memoria nei suoi più piccoli particolari.
Alza un sopracciglio quando il più giovane si volta finalmente verso di lui e lo guarda, senza aggiungere nulla. Bastian getta un paio di occhiate intorno a loro, prima di tornare a concentrarsi su Mario e la sua birra.
« E…? » chiede, prendendo un sorso. « Il problema non è questo, vero Mario? »
L’interpellato abbassa nuovamente lo sguardo e fa spallucce, ma Bastian si appoggia allo schienale e continua a scrutarlo. Aspetta.
Mario si prende il tempo che ci vuole, il tempo che vuole, il tempo di ripetere nuovamente il concetto e tentare almeno un minimo di resistenza. Ma non ci riesce. Ogni parte di lui ha accettato completamente l’idea di non poter stare più lontano da Thomas. L’ha fatto un po’ troppo in fredda, a dire il vero.
« No, infatti. » dice, senza smettere il sorriso tranquillo che l’ha accompagnato per tutta la serata.
Bastian continua ad aspettare, perché in fondo ha capito tutto da un bel po’. Lascia che la sua pazienza sia la migliore ospite di quella serata, mentre Mario accetta l’idea di aver accettato tutto così facilmente.
E’ strano come Bastian riesca a capirlo, per la verità. Lui con Lukas interpretava l’altra parte. Lui è quello a cui i sentimenti sono stati sbattuti in faccia senza neanche il tempo di ragionarci, già belli e pronti, assemblati e anche decorati. La parte di Mario - quello che ragiona, seziona, rimette insieme tutte le emozioni e le seghe mentali - se l’era dovuta sciroppare Lukas, con tutti i problemi che Mario a quanto pare non stava avendo. Perché Lukas e Mario sono diversi, perché Lukas neanche sapeva di essere un po’ gay, perché Lukas l’ha prima baciato e poi, soltanto poi, si è trovato a fare i conti con tutto quel bel lavoretto. Perché Lukas non ha deciso di vestire la maglia rossa del Bayern Monaco solo per Bastian, lui era stato una conseguenza.
Per questo è strano che il biondo lo capisca, ma dopotutto meglio così, a Mario non interessa più di tanto. Così si limita a guardarlo finalmente negli occhi, abbandonare la birra, appoggiarsi anche lui allo schienale.
« Il problema è: che faccio? » chiede, tranquillamente, come se Bastian avesse scritto sulla fronte “ho la tua soluzione” e non aspettasse che l’occasione giusta per raccontargliela.
Ma Bastian una soluzione precisa non ce l’ha, perché quel genere di problemi hanno chiavi diverse per ogni situazione, ogni momento, ogni persona. Quindi il biondo si limita a prendere di nuovo il boccale e finire la sua birra tutta d’un sorso, sotto lo sguardo paziente di Mario. Una volta ripulita anche l’ultima goccia di quel liquido ambrato, posa di nuovo il bicchiere sul tavolo e ridacchia, scuotendo la testa.
« Non ne ho idea. » dice, senza smettere di sorridere, con una calma impassibile. L’altro lo guarda per un paio di secondi, per capire se la risposta sia seria o meno, ma poi alza anche lui il boccale in un brindisi silenzioso e ridacchia, prima di finire anche la sua birra.
« Bene. Grazie mille dell’aiuto Basti. » Ennesima risatina divertita.
« Ehi, mica è colpa mia se il tuo ragazzo è sposato. »
A questo punto scoppiare a ridere è inevitabile; Mario non sa se perché la situazione sia davvero divertente o disperata.
« Bel guaio. » si limita a sussurrare, una volta che entrambi si sono calmati e hanno ripreso una parvenza di serietà. Bastian fa spallucce e tira fuori il portafoglio.
« Ne uscirai. » risponde, poggiando sul tavolo molto più di quello che due birre possano costare anche a peso d’oro.
Mario annuisce e si alza, ringraziando con un cenno del capo; Bastian esita un attimo, prima di seguire il compagno fuori dal locale.
“Ne uscirai.”
Che brutta bugia da raccontare a un amico.

5.

Hanno vinto, hanno segnato, sono con un piede e tre quarti in finale di Champions, di nuovo. Lo stadio è rosso come le loro maglie e persino il cielo sembra aver preso una sfumatura vermiglia (non come un anno fa, ma alla fine va bene lo stesso).
Thomas è lì e Mario anche, a respirare la stessa aria di vittoria e aspettativa, gioia e tensione perché non è ancora finita anche se i novanta minuti sono passati. Sarà l’adrenalina mischiata a tutti quei colori che gli danno alla testa - più del solito - ma adesso vuole baciarlo anche più del normale, il che è davvero preoccupante. Deve darsi una calmata e infatti rallenta quasi fino a fermarsi, mentre vede l’altro camminare e stringere mani, battere cinque ai compagni di squadra.
Sorride istintivamente, guardando il suo capitano. Perché anche senza fascia, anche avendo Bastian e Phil e tanta altra gente davanti, Thomas quella sera ha dimostrato di saper trascinare quella bestia rossa meglio di qualsiasi altro uomo. Con i goal, con le parole, con i gesti e con gli sguardi.
Mario vorrebbe baciarlo, vero, ma anche un semplice abbraccio gli andrebbe bene, anche un paio di parole solo per lui, un “ottimo lavoro”, un “grazie”, un “resta perché ne vale davvero la pena, te lo sto dimostrando con tutto me stesso”.
Thomas forse capisce, forse addirittura sente i suoi pensieri - è capace di tutto, quel ragazzo, Mario ne è fermamente convinto - tanto che si volta verso di lui e si sta per avvicinare. Ma non lo fa.
Lo guarda per un attimo soltanto, senza sorridere, cancellando la vittoria negli occhi e scrivendo al loro posto proprio quelle parole che Mario vorrebbe sentirsi dire, ma sicuramente lo sta solo immaginando. Infatti Thomas tira subito indietro la mano che, forse istintivamente, si era distesa verso di lui. Anche il moro abbassa la sua, passandogli accanto e sopprimendo la voce nella sua testa - quella forma di magnetismo che li fa attrarre l’uno all’altro - che gli dice di stringere quelle dita tese e chiedere all’altro se è tutto vero.
Thomas sa scrivere negli occhi, sicuramente lo sa fare, ma lui è altrettanto bravo a leggere?
Alla fine non succede assolutamente nulla.
Thomas abbassa la testa deluso, allontanandosi da quello stesso uomo che fino a venti minuti prima avrebbe fatto l’amore con lui in diretta mondiale. Quello stesso uomo che adesso non riesce neanche a capire quanto disperatamente stia cercando di tenerlo legato a sé.
La verità è che fin quando si tratta di dare calci a un pallone Thomas e Mario fianco a fianco sono micidiali per gli avversari; ma quando si esce dal campo di gioco le cose cambiano, e fianco a fianco sono micidiali per loro.

5.1 6.

L’ultima volta è sempre Thomas ad andare a casa di Mario. O meglio, nella stanza d’albergo in cui Mario ha passato le ultime settimane a Monaco.
Quando apre la porta, sa già chi si troverà davanti, ha imparato a riconoscere il suono dei passi di Thomas un sacco di tempo fa, quando riusciva ancora a stupirsi di vederlo apparire all’improvviso sulla soglia di casa. Sono cambiate un sacco di cose da allora, dal colore delle sue scarpette al numero di scale che deve salire per arrivare a bussare alla sua porta. Ormai ha anche accettato di non aver mai amato nessuno come quella testa riccia e quell’occhiolino inguardabile e allegro.
 « Ehi. » sorride mentre Thomas entra a testa bassa. Chiude alle sue spalle, ma non si muove né dice qualcosa, resta fermo a guardare l’altro e il suo volto chinato.
« Thomas, che ci fai qui? » chiede a un certo punto, per rompere il silenzio teso che si è creato e che sperava di non dover sopportare mai con lui.
 Finalmente l’altro alza lo sguardo e Mario può finalmente vedere la rabbia e la delusione nei suoi occhi, come una pistola puntata alla tempia. Sospira e questa volta è lui a chinare la testa per evitare quel carico di colpe ed emozioni che l’altro vuole lanciargli contro, a ragione.
« Speravo di poterti tirare un pugno, a dire la verità. »
Le parole di Thomas sono dure quanto è dura le stretta delle sue mani lungo i fianchi. Mario non riesce ancora ad alzare lo sguardo, perché chi si arrende non merita di guardare negli occhi quelli ancora in piedi a lottare.
« Goetze potrebbe giocare anche al posto mio, sai? O al posto di Mario. Toni cosa dovrebbe dire? » continua il più piccolo, facendo un passo verso l’uomo di fronte a sé. L’agitazione e la rabbia stanno prendendo il sopravvento, adesso, tanto che Mario non si stupirebbe di veder l’altro iniziare ad urlare.
« Pensavo che fossi venuto qui per qualcosa in più di un posto fisso da titolare. »
Invece che alzare la voce, Thomas la abbassa, insieme allo sguardo. Mario solo adesso si azzarda a posare gli occhi su di lui, a osservarlo di sottecchi un po’ più attentamente. Infatti solo adesso nota la maglia rossa che l’altro sta indossando, la loro maglia con il loro stemma. Thomas si sente tradito, lo può capire dal suo tono di voce ed ha anche ragione, ma così non fa altro che peggiorare le cose.
« È un po’ egoista da parte tua venire solo per farmi sentire peggio. » proferisce con una punta di acidità nella voce, abbastanza evidente da convincere l’altro ad alzare il viso e avvicinarsi ancora di più.
« Adesso parli tu di egoismo? » chiede Thomas tagliente, colpendo l’altro dritto al cuore. Non aspetta una sua risposta per fare un paio di passi indietro e voltarsi di spalle.
A questo punto, Mario ha perso.
Dorato sul tessuto rosso, non c’è il cognome di Thomas, ma il suo.
Raggiunge l’altro e in punta di dita sfiora quel numero, il suo numero, sulla schiena dell’uomo che ama, che sta lasciando.
« Perché? » chiede, prendendolo per le spalle e voltandolo per guardarlo negli occhi.
Thomas fa un sorriso tirato, abbassa lo sguardo e lo rialza un secondo dopo, rilassa finalmente le mani. Mario adesso non può davvero sbagliare a leggere. Sospira e getta la testa all’indietro, chiudendo gli occhi.
« Mi avevano detto che ne sarei uscito. » sussurra, senza lasciare la presa sulle spalle del ragazzo di fronte a sé, che in risposta ridacchia e scuote la testa un paio di volte.
« Lo hanno detto anche a me. » conclude, prima che Mario torni a guardarlo.
Un secondo, il tempo di mandare al diavolo tutte le volte passate e quelle che invece non sono mai accadute, poi abbassa il viso su quello di Thomas e lo bacia.
È solo un bacio, pochissimo in confronto a tutto quello che avrebbero potuto avere, non serve neanche a un granché perché ormai è tutto deciso, ma c’è.
Mario guida Thomas in camera da letto, gli toglie la maglietta e la getta da qualche parte distrattamente; aggrotta la fronte mentre il più giovane fa altrettanto con la sua e scende a baciargli il collo.
« Quel pugno credo proprio di meritarlo. » dice, prendendo un pugno di ricci e tirandoli verso l’alto per catturare di nuovo quelle labbra.
« Ho ancora un paio di mesi per fartela pagare. » trova il tempo di affermare Thomas, tra un bacio e l’altro.
« E la Nazionale. » aggiunge Mario, chinandosi su una spalla mentre gli sbottona i pantaloni.
« Un motivo in più per arrivare in finale ai Mondiali. » Thomas ci mette molto meno a tiare giù la tuta e la biancheria del compagno.
« Come se ne avessi bisogno. » sorride Mario, con le labbra sullo sterno di Thomas e le mani a scivolare frenetiche sulle sue cosce. Anche il più piccolo ride, quando si sente tirare da dietro le ginocchia e cade di schiena sul materasso, subito sovrastato dall’altro, che scende sempre più in basso. Adesso è Thomas a prendere i capelli gellati del compagno e a tirarlo verso il suo volto, per l’ennesimo bacio umido e profondo. Quando si separano per prendere fiato, prima che Mario scappi ancora una volta verso il suo bacino, Thomas gli stringe un polso e lo tiene fermo.
« Non ne usciremo più, vero? » chiede, ma non c’è preoccupazione nella sua voce, neanche una piccola sfumatura di rimpianto o senso di colpa. Sembra quasi felice e Mario gli crede, si fida dei suoi occhi e della stretta della sua mano perché Thomas è così: non ha paura di lottare.
Con un sorriso, si china a baciarlo ancora una volta.
« Non per quello che mi riguarda. » dice, prendendo il polso libero dell’altro. Thomas alza il viso e tende il collo fino a prendere di nuovo possesso della bocca di Mario.
« Va bene. »
Mario gli crede davvero, perché una volta imparato a leggere, non si scorda più.

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