Efestione, l'uomo che morì tre volte.

Jun 28, 2007 00:45

La prima volta morii in un angolo, piangendo mio padre. Chissà perchè si pensa sepre che le persone a noi vicine siano immortali, siano divine, eterne, grandi, infinite. Le si guarda con un misto di adorazione e rispetto, obbedienza e sfida. Sì, sfidare gli dèi, alzarsi con loro e più di loro, dimostrare di essere capaci di arrivare più lontano, più in alto. E poi, è un attimo. Un soffio di vento su una candela ormai consumata. La mia finestra vuota di stelle.
Ancora non capivo che la vita altro non è che un filo, quel filo sottilissimo che le parche puttane si contendono, passato, presente e futuro, dannate consigliere della fine. Dannate! Possano queste ceneri maledirvi per sempre, possa questo mio petto ospitare l'odio del mondo verso il vostro bieco decidere!
E quando ho visto mio padre lì, così, sull'altare di morte, nemmeno una lacrima. Nemmeno una! Non ho pianto davanti a lui poichè lui mai avrebbe voluto. Non una lacrima! Padre, non piansi innanzi a te, non disonorai la tua compostezza, la tranquillità del tuo viso, la morbidezza delle tue mani incrociate sul petto. No! Figlio tuo onorato, non ho pianto! Sono rimasto a vegliarti, tremolando come la luce delle braci. Sono rimasto a vegliarti, silenzioso come un cuscino. Ed avrei voluto prenderti il capo e posartelo sulle mie ginocchia, sentirti per un attimo vecchio e bisognoso di me, tu che sei sempre stato forte, tu che sei sempre stato colui che m'alzava con voce tonante, che mi guidava. Non una lacrima, padre, non una!
Ma tuo figlio è schiavo di Afrodite la leggiadra. Tuo figlio è prigioniero di un mormorio.
Sono morto in un angolo, accovacciato, aspettando che il mio corpo si spegnesse sotto la pioggia. Non una lacrima, innanzi a te. Ma in quell'angolo, ho strappato me stesso come una pergamena troppo vecchia. Odio! Disperazione! Possano queste ceneri maledire le Parche! Ho pianto come non pensavo fosse possibile, ho pianto talmente tanto che le cateratte del Nilo ora nulla potrebbero se non invidiarmi!
E' terribile sentirsi soli.
Perchè si è soli.
A nulla valgono le delicate pacche sulle spalle, i timidi mormorii dispiaciuti. Nulla portano se non vuoto gli sguardi che non vogliono sfiorarti, le parole a mezza bocca. Povero, ora, senza padre. Mai! Io povero mai! Senza padre nemmeno! Tu sei qui! Possa questo petto avere abbastanza fiato per gridare il tuo nome! Figlio tuo, io, mai dimenticherò le tue parole, mai i tuoi gesti.
Ma morii in quell'angolo, morii tra le lacrime che mi ero tenuto dentro una vita. Morii dentro, silenzioso, febbricitante come un cane bastonato. Accanto a me solo la polvere. E dentro, nelle ossa, quel freddo di cui non conosco montagna e provenienza, quei ghiacci invalicabili. Il mio animo una Battriana deserta.
E rinacqui, poichè gli uomini davvero possono, sulle tue labbra, Alessandro.
Vita mia, mio Dio, venerabile e divino, figlio del mistero, mi ridesti la vita stendendoti accanto a me, su quella stessa polvere, giacendo nello stesso dolore. Le tua labbra sulla mia spalla, le tue braccia intorno alle mie, ed io e la mia febbre aggrappati a te come naufraghi al relitto. Non mi affogasti mai, Alessandro mio, mi portasti a riva coi tuoi baci. Non mormorasti nulla, tu sapevi che non erano parole quelle che volevo. Lentamente capisti e ti trasformasti in corrente, amor mio, lasciandomi scivolare in te e con te verso la riva. Mi salvasti, ti adorai per questo.
Ricordo le mie mani intrecciarsi coi tuoi capelli, ricordo il tuo petto come alcova dolcissima per il mio capo. Nemmeno un vero Dio potrebbe dire d'esser rinato in miglior via.
Mi aiutasti a respirare, io che avevo perso il respiro, accogliendo le mie labbra contro le tue. Mi alzasti, sì, lasciandomi steso accanto a te. Mi rinvigoristi afferrando le mie mani con una delicatezza riservata solo alla farfalla più dolce. Mio Dio, mio unico altare di gloria.
Sapevi che non era una scrollata fredda quella di cui avevo bisogno. Sapevi e sai tutto di me. Possano queste ceneri appartenerti per sempre, possa questo mio petto portarti ristoro in ogni istante.
La polvere sulla tua pelle ancora la ricordo, sottile vestito che copriva il mio desiderio infinito. L'unico confine tra noi era solo la polvere. Valicammo ben oltre, Alessandro mio.
Amore, gioia eterna era il tuo inguine per me e così la tua bocca, così il tuo sguardo perso... perso dove? Alessandro, quale pianura cavalcavi oltre a quella dei miei fianchi?
Mai ti ho avuto tutto, mai. Tu appartenevi sempre al cielo.
Possano queste ceneri seguirti ovunque e possa questo petto regalarti riposo.

Morii la seconda volta a causa tua, mio infinito amore, mio unico Dio. Ma fu una morte deliziosamente dolce. Mi lasciasti di stucco quando annunciasti il tuo matrimonio ad una giovane delle rocce. La guardai e la invidiai a morte quella mattina. Ma tu eri raggiente e bello, amore mio, e fui felice.
Morii sul tuo sì, morì sulle vostre mani incrociate.
Non bevvi, non festeggia come volevi tu, amor mio, ma lasciami questa piccola ribellione per dimostrarti la mia umana fragilità. Non togliermi il piacere di disapprovarti. Non togliermi il piacere di lasciarti amareggiato. Poichè t'amo tutto e tutto ti desidero. Ma tu appartieni sempre al cielo. Ed ora, a lei.
Morii in silenzio, accanto a te, trattenendo il fiato. Rimasi in agonia anche quella notte, quella notte in cui vi sapevo insieme, qella notte in cui era lei la Dea e tu il sacerdote. E quel letto che per noi tante volte era stato il setoso confine cui Venere lasciava il passo a Dioniso, quel letto lo maledissi. E lo volli. Volli te.
Lascia che ti voglia, Alessandro!
Lascia che il mio pensiero t'insegua su qualsiasi destriero, per qualsiasi pianura, in qualsiasi battaglia. Avevo la mia Gaugamela nel cuore, quella notte, amor mio. Ma la combattei e rimasi a leccarmi le ferite. Lasciamo, ti prego, il piacere di sentirmi da te sbattuto, da te lasciato. Fa' che il mio animo continui ad agognarti! Il mio amore consiste nel non averti mai e nel volerti sempre. Io vivo per inseguirti e perdere le tue tracce.
Ma ancora una volta mi salvasti, Alessandro mio, splendido adone reietto. Mai nella cerchia degli altissimi, mai nei ricordi degli amanti. Solo nei miei, uomo divino, divinità umana. Ricordo il tuo sguardo che mi parve colpevole, ricordo il mio trionfo finchè le tue labbra non tornarono a me e lì svenni, mi persi, come mio solito. Sei troppo grande per me, il mio corpo non può contenerti tutto e tantomeno il mio cuore.
Ricordo che non mi chiedesti scusa. Scusa è una parola che non pronunciasti mai. Ma ricordo che le tue mani avevano una delicatezza diversa. E quello fu per me il più grande trionfo.
Rinacqui in te come mio solito. Sei il mio inizio e la mia fine, Alessandro. In te morrò e rinascerò semore. Lascia che ti voglia così, Alessandro! Partenza ed arrivo, casa e traguardo. Il mio amore è il mio percorso da te verso te. Voglio percorrerlo lentamente e gustare il panorama del tuo corpo dormiente accanto al mio. Quelle notti di luna io la scacciai, quella luce perlacea, perchè solo i miei occhi volevano carezzarti così. Ma tu sei del cielo, ed il cielo ti ama.
Ma t'amo anch'io.

Morii l'ultima volta.
Steso su un letto che odio ed odiai. Morii e rinacqui allo stesso tempo, ma non riuscisti a salvarmi, Alessandro. Rimasi preda di un segreto sconosciuto a tutti. Veleno? Malattia? No, io morii d'amore e d'amore rinacqui, aria, vento, anima, sul tuo cuore. E mentre vagheggiavi del nostro futuro che mai avrei potuto offrirti, mi dichiarasti che eri stato solo mio. Non del cielo, non di lei, non di nessuno. Solo mio.
E rinacqui nella tua possessione e nelle tue lagrime che pregavano di non lasciarti solo. Ma solo tu non lo sei mai stato e mai lo sarai. Molti sogneranno di te.
E chi, chi sognerà di noi?
Chi se non gli amanti negletti sotto la notte, coperti dal buio, accovacciati nel segreto. Chi sognerà dei nostri baci? Chi, se non vezzosi occhi notturni, sciacquii di lago e di mare. Salsedine e sabbia, amore mio, solo questo.
Ma ti amai e t'amo e mai avrò verbo per dirti quanto. Voltati, m'imbarzzi. Guardami, sono perso senza i tuoi occhi. Morii e rinacqui tre volte, e tre volte c'eri tu con me. Tu, tutto quello che avrei mai desiderato. Tu solo, tu infinito, tu grandissimo. T'amo. E morii mormorandolo al vento.
Mi udisti? Udisti la mia confessione?
Prego e spero. Prego te, Alessandro mio, mio Dio. Credo in te ed in te soltanto. Non la paura, non lo spavento, non la guerra e non la passione. Io credo nell'infinita preghiera del tuo respiro, credo nella processione dei tuoi passi, nei riti del tuo cuore. Credo nelle sperdute cattedrali delle tue paure, credo nella tua dolcissima debolezza nascosta. Credo in quella, credo tu m'abbia amato.
Ma chi, Alessandro mio, chi sognerà di noi, ora?
Chi sognerà di Alessandro, non il Grande, ma l'uomo che come ogni altro gemeva e godeva con me, chi in quello specchio infranto che tutti vogliono nascondere con un drappo? Chi penserà a noi, intrappolati in un sussurro?
Chi ricorderà Efestione, l'uomo che morì... e rinacque tre volte?

Morii per la bellezza - ma ero appena
abituata alla tomba
che uno che morì per la verità fu deposto
in una stanza attigua.

Mi chiese piano “Perchè sei mancata?”
“Per la bellezza” risposi.
“E io per la verità, sono una cosa sola.
Noi siamo fratelli” disse.

Così, come congiunti che si incontrino di notte,
parlammo fra le stanze,
finchè il muschio raggiunse le nostre labbra
e coprì - i nostri nomi -

Emily Dickinson

Ad
ephaistion85, che nel suo romanzo di Alessandro ed Efestione, sicuramente scriverà parole più belle delle mie.

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