/ parte uno /
vii. aprile 1999
“Non posso credere che tu non mi abbia detto nulla.” Ginny ha addosso una rabbia silenziosa: le labbra strette in una linea sottile, la fronte corrugata, gli occhi che, se potessero, lo fulminerebbero sul posto. Se dovesse tirare fuori la bacchetta e scagliargli una maledizione, Harry non sarebbe proprio sorpreso. “Sono dovuta venire a saperlo da Hermione,” sbotta ancora, incrociando le braccia al petto. “Ti rendi conto?”
Harry va a sedersi sul letto e si passa una mano fra i capelli. È stata una lunga giornata di una lunga settimana, spesa in ufficio ad interrogare Sweeney, nella speranza di estorcergli qualche informazione su dove sia fuggito Jugson, e sul campo a seguire le tracce di quest’ultimo. L’ultima cosa che gli serve adesso è una strigliata dalla sua ragazza che, incidentalmente, non vedeva da mesi prima che tornasse per le vacanze di Pasqua.
“Ginny, per favore…” tenta, stancamente. Lei non gli dà modo di continuare.
“Per favore?!” gli fa eco fra i denti. “Sei quasi morto e non hai nemmeno pensato che fosse il caso di informarmi, Harry. E non è nemmeno la prima volta che mi tieni all’oscuro così, mi sembra di essere l’ultima persona a sapere quello che succede nella tua vita.” Muove qualche passo nervoso nella stanza, andando avanti e indietro, e Harry spera ardentemente che di sotto, nella cucina della Tana, il resto dei Weasley non li senta litigare.
“Non volevo farti preoccupare!” esclama, allargando le braccia. È la verità, certo, ma non è tutta la verità: se dovesse essere sincero, dovrebbe ammettere che di riferirle cos’era successo con Jugson non gli era proprio venuto in mente. Concentrato com’era su Ron e quello che era accaduto tra loro, a Ginny, in quei giorni, quasi non ci aveva pensato; quando alla fine tutto si era risolto, gli era sembrato semplicemente troppo tardi e assolutamente inutile raccontarle qualcosa che a quel punto apparteneva ormai al passato e non aveva avuto ripercussioni se non lasciargli una brutta cicatrice sul fianco. “Cosa avresti potuto fare da Hogwarts?” continua, “E come vedi non era poi così grave, altrimenti ora non sarei qui.”
La ragazza gli lancia uno sguardo astioso e scuote la testa, esasperata. Lo fissa dritto negli occhi quando chiede: “Vuoi che faccia ancora parte della tua vita, sì o no?”
“Ginny, certo che voglio--“
“Allora dimostralo.”
Gli volta le spalle ed esce dalla stanza sbattendo la porta, lasciandolo lì da solo.
*
Ginny spende il resto delle vacanze di Pasqua senza quasi rivolgergli la parola. Ogni tentativo di Harry di sistemare le cose va in fumo ancora prima di iniziare, anche se, in realtà, non è che lui ci provi più di tanto. Stanco e frustrato com’è, preferisce trascorrere più tempo al Ministero con Kingsley e Neville che alla Tana e, nei momenti liberi, si rifugia nel proprio appartamento senza che lo sappia nessuno.
Ron copre per lui. Inventa scuse con i suoi genitori e si raccomanda più volte con Hermione di lasciarlo in pace. Tenta anche di mettere una buona parola con Ginny, ma quando lo fa si ritrova un dito accusatorio puntato contro. “Tu dovresti essere dalla mia parte, non sempre dalla sua,” lo rimprovera sua sorella.
Alla fine delle vacanze di Pasqua, Hermione e Ginny tornano ad Hogwarts senza che Harry abbia trascorso con loro più di una giornata scarsa. Quando Ron rientra nell’abitazione dal viaggio alla stazione per accompagnarle, a Harry sembra quasi una liberazione.
viii. maggio 1999
La commemorazione della Battaglia di Hogwarts si conclude con un discorso della McGranitt. È lei a stilare la lista dei nomi di chi ha perso la vita nel corso dello scontro, con voce chiara e non priva di commozione. Ron li ascolta tutti, uno ad uno, cercando di ricordare ogni viso e ogni dettaglio delle persone che erano in vita. Vede Harry chiaramente tremare quando la sua ex-professoressa pronuncia il nome di Lupin, ma, lì per lì, non sa cosa fare, troppo distratto dai singhiozzi di sua madre che arrivano dalla fila subito dietro e dall’avvicinarsi del momento in cui, infine, la McGranitt ricorda: “Weasley, Fred.”
La gola gli si annoda; mentre tutti gli astanti scivolano in un lungo minuto di silenzio, Ron pensa distintamente a quanto suo fratello gli manchi.
Alla sua sinistra, Hermione sposta la mano sulla sua e stringe, cercando di dargli un briciolo di consolazione. Lui ricambia la stretta, intrecciando le loro dita, e la guarda in viso per ringraziarla silenziosamente. Poi si volta dal lato opposto verso Harry e, nel suo sguardo fisso su un punto lontano e indistinto, nelle sue spalle curve, riconosce il suo stesso stato d’animo affranto. Fa per allungarsi verso di lui, ma, quando Harry si volta, i suoi occhi si incagliano sulla mano di Hermione allacciata a quella di Ron e un’ombra passa nei suoi occhi.
Torna subito a rivolgere la propria attenzione alla McGranitt e a Ron non rimane altro che imitarlo, mentre la Preside inizia il discorso di commiato.
*
Guardando verso la sponda del lago, Ron vede Kingsley raggiungere Harry, fermarsi a parlare con lui per qualche minuto e poi allontanarsi a passo svelto per tornare dagli altri delegati del Ministero. Distante com’è, non riesce a decifrare l’espressione dell’amico, ma la sola possibilità che l’uomo possa avergli dato qualche notizia non propriamente felice lo mette in agitazione.
“Torno subito,” dice a Hermione, lasciandola lì con Ginny e i suoi fratelli senza nemmeno aspettare la sua risposta.
Quando raggiunge Harry, la sua preoccupazione cresce ulteriormente nel vedere il suo atteggiamento pensieroso. “Ehi,” lo richiama, avvicinandosi e sfiorandogli un braccio. “Che voleva Kingsley? È tutto a posto?”
Harry si volta verso di lui un po’ esitante; si passa le dita tra i capelli, mentre replica, “Niente di che, ma… mi ha proposto di allenare le nuove reclute Auror.”
Ron non riesce a contenersi: “Amico, ma è fantastico!” Gli dà una pacca sulla spalla, strappandogli un mezzo sorriso, ma Harry tenta di smorzare il suo entusiasmo.
“Non ho ancora detto di sì.”
“Perché?”
L’altro sta per rispondere, ma si zittisce per un movimento alle sue spalle. Girandosi a guardare, Ron vede Ginny e Hermione avvicinarsi; torna a rivolgersi verso Harry, lanciandogli un’occhiata interrogativa, chiedendosi il perché della mancata replica. Quando nota il gelo che scende su di lui e su sua sorella, non appena arriva al loro fianco, la situazione gli sembra molto più chiara. Vorrebbe fare delle domande, tante domande, ma si morde la lingua per stare zitto.
“Tutto bene?” chiede Hermione, “Kingsley ti ha detto qualcosa di importante?”
“No,” ribatte rapidamente Harry, “solo un paio di aggiornamenti sulle indagini.” Incrocia per un attimo gli occhi di Ron, che vede un barlume di colpevolezza lampeggiare nel suo sguardo, poi riporta la propria attenzione sulle ragazze. “Forse dovremmo andare,” riprende, accennando al manipolo di Weasley che, adesso, è rimasto l’unico gruppo abbastanza consistente ancora nel cortile.
Cogliendo il suo disagio, Ron gli dà man forte. “Già, sarà meglio portare mamma e George a casa.”
Hermione fa un cenno d’assenso e, prendendogli la mano, inizia a camminare verso la scuola. Ginny e Harry restano un po’ indietro ma, nonostante la distanza, Ron li sente parlottare fra loro a voce bassa. Non ha idea di quello che stia succedendo e non vuole impicciarsi senza che il ragazzo dimostri di volerne parlare; sa, però, che i loro rapporti sono molto più freddi di quanto non fossero prima delle vacanze di Pasqua, sa che lo ha visto con i propri occhi cominciare mille lettere per Ginny e non riuscire a spedirne nessuna, in un modo o nell’altro.
“Non capisco perché si comporti così con lei,” dice ad un tratto Hermione, come se gli avesse letto nel pensiero. Parla piano, prendendogli il braccio e stringendosi a lui, così che i suoi amici più indietro non possano sentirla.
Nella sua frase, però, Ron percepisce distintamente un’accusa e la cosa non gli va giù. “Non sta passando un periodo facile, Hermione,” sbotta, “soprattutto in questi giorni.”
Lei nota il suo tono risentito e gli lancia un’occhiata confusa, un sopracciglio che scatta verso l’alto. “Credi che non lo sappia?”
No, non lo sai. È conscio di quanto darle quella risposta sarebbe ingiusto nei suoi confronti, ma non riesce a non pensare che sia la verità: Hermione non ha vissuto gli ultimi mesi con Harry, non è stata al suo fianco ogni momento; non ha potuto, ma sotto sotto Ron è certo che non abbia nemmeno voluto: finire la scuola e prendere i M.A.G.O. è stato per lei più importante che essere al fianco del suo migliore amico e lui non è certo di poterglielo perdonare. Quindi no, semplicemente lei non lo sa.
“E comunque Ginny non ne ha colpa,” continua la ragazza, tornando a guardare dritto davanti a sé.
“Ad ogni modo non sono affari nostri,” conclude lui, ancora un po’ bruscamente, e al sospiro stanco di lei preferisce non replicare.
*
Nel buio della stanza di Ron alla Tana, dove Arthur e Molly hanno insistito che rimanessero dopo aver lasciato Hogwarts ed essersi trattenuti fino a cena, Harry non riesce a prendere sonno. Fissando i Cannoni di Chudley muoversi sui poster alla parete - che sono ancora lì, quasi fossero fissati magicamente al muro come il ritratto della Signora Black - non riesce a smettere di pensare alla proposta di Kingsley. Allenare le reclute è una responsabilità, e per di più una forse fin troppo grande per le sue spalle; e, anche se non lo fosse, sarebbe decisamente l’ennesima responsabilità che potrebbe decidere di sobbarcarsi. Harry non è certo di volerlo. Anzi, è quasi sicuro di non volerlo.
“Ehi,” la voce di Ron, che arriva dall’altra parte della stanza rompendo l’assoluto silenzio lo fa sobbalzare. Lo vede mettersi seduto sul letto, per poterlo guardare con più attenzione. “Stai ancora pensando alla storia delle reclute?”
Harry lascia uscire uno sbuffo divertito. A volte non sa se essere spaventato dal modo in cui Ron sembra indovinare di continuo cosa gli passi per la mente, ma quel che è certo è che gli è sempre molto grato per questa sua capacità. Si mette seduto anche lui, raccogliendo le gambe al petto.
“Sì. Non credo che accetterò.” Fa una pausa e si stringe nelle spalle. “Non ne sono in grado, Kingsley dovrebbe chiederlo a Neville, piuttosto.”
Ron fa schioccare la lingua e, di colpo, si alza in piedi e lo raggiunge, cadendo nuovamente sul suo letto con un cigolio di molle. “Ascoltami bene,” comincia, posandogli le mani sulle braccia per costringerlo a guardarlo in viso. “Quante altre cose nella tua vita hai pensato di non essere in grado di fare? Il Torneo Tre Maghi, per esempio, o l’Esercito di Silente. O, sai, sconfiggere Voldemort, tanto per dirne una. E alla fine sei riuscito a farle tutte.”
Harry ride, senza riuscire ad evitarlo. L’atteggiamento casuale di Ron, il suo volgere gli occhi al cielo e il suo tono divertito non riescono a non coinvolgerlo, ad alleggerire la tensione che si sente addosso. Forse ora è pronto ad ammettere, almeno con se stesso, che non è questione di volerlo o meno, ma piuttosto di essere completamente terrorizzato all’idea di accettare.
“Tu hai troppa fiducia in me,” ribatte con un ghigno.
Ron mima la sua stessa espressione. “Eh, chissà perché.”
Si guardano per un lungo momento e Harry realizza dolorosamente quanto sono vicini, quanto sarebbe facile scivolare in avanti e unire le loro bocche. Si sorprendere lui per primo del pensiero - giura, giura, giura che l’idea non lo ha mai nemmeno sfiorato da quella notte - ma ora che è lì non accenna ad andarsene. Il suo sguardo indugia per un secondo di troppo sulle labbra dell’altro e lui se ne accorge.
In un attimo ha rotto il contatto e si ritrae quanto basta perché i loro atteggiamenti ridiventino, senza ombra di dubbio, quelli di due amici, pur non accennando a tornarsene nel proprio letto. Si schiarisce la voce, prima di parlare nuovamente. “Ah, ma dov’è Hermione quando serve? Io non sono poi così bravo a fare discorsi incoraggianti.”
Gli rivolge un sorriso furbo e Harry ridacchia, allunga una gamba e lo colpisce. “Sei bravo abbastanza.”
Ron fa una smorfia, poi gli dà un colpetto sul fianco per farlo spostare e gli si sdraia al fianco. Per un momento, Harry non sa cosa fare, come comportarsi - cosa sia consentito e cosa no -, ma l’atteggiamento rilassato dell’amico lo induce a tranquillizzarsi a sua volta. Si sdraia e resta immobile per un po’, finché Ron non appoggia il peso quasi del tutto contro di lui, in un modo che sembrerebbe casuale se Harry non sapesse come stanno le cose e che tipo di giornata hanno trascorso. Di rimando, sposta una mano sui suoi capelli, per accarezzarlo; al contatto, Ron lascia uscire un piccolo sospiro sereno.
Non può evitare di ripensare alla sua espressione durante la commemorazione, al modo in cui, una volta arrivati alla Tana, ha stretto George in un abbraccio e non l’ha lasciato andare per un’infinità di tempo. “Tu come stai?” mormora allora, senza smettere di toccarlo.
L’altro solleva brevemente lo sguardo verso di lui, sul viso un piccolo, quasi impercettibile sorriso. “Adesso meglio.”
ix. luglio 1999
Ricorrono al Veritaserum i primi di luglio: durante l’interrogatorio con Kingsley e Harry, Sweeney, stanco e prostrato dopo mesi di domande su domande, finalmente rivela loro alcune importanti informazioni su Jugson, sulle persone con cui collabora e, infine, su come rintracciarlo.
“I Lestrange,” aggiunge Harry alla fine della sua confessione. “Devi dirci anche tutto quello che sai su di loro.”
L’uomo deglutisce e, per un momento, uno sguardo di puro terrore compare sul suo volto. È chiaro che, di fronte alla minaccia che Rodolphus e Rabastan rappresentano per lui, persino il Bacio del Dissennatore sarebbe una cosa da nulla. Nonostante ciò, la pozione fa il suo effetto e, dopo un profondo respiro, inizia a parlare.
“Sono loro a coordinare il gruppo di Jugson,” dice tutto d’un fiato, la voce bassa come se i due Mangiamorte potessero sentirlo in quello stesso istante, “ma nessuno sa dove si trovino.”
Harry lancia un’occhiata a Kingsley, cercando di capire come regolarsi; il Ministro avanza verso l’uomo e, appoggiandogli le mani sulle spalle, si china su di lui fissandolo dritto in viso. “Sicuro?” domanda.
“Sono all’estero,” si affretta a rispondere Sweeney. “Una volta ho sentito parlare di messaggi provenienti da Calais, poi da Ribe, ma niente di più.”
Harry si passa le dita tra i capelli. Messaggi provenienti da Francia e Danimarca confermerebbero i loro sospetti, incastrandosi perfettamente con ulteriori indizi raccolti nei mesi precedenti. Con un cenno di assenso verso Kingsley, che si è voltato a guardarlo cercando conferma, Harry si lascia Sweeney alle spalle ed esce dalla stanza dell’interrogatorio, seguito dal Ministro.
*
Jugson viene arrestato due notti dopo. Le indicazioni estorte durante la confessione si rivelano fruttuose e l’appostamento degli Auror, questa volta in numero molto più consistente, non gli lascia via di fuga. Ron sente uno scoppio di trionfo esplodergli nel petto, quando vede finalmente il Mangiamorte portato via in catene; per un attimo, durante lo scontro, avrebbe voluto fargli provare lo stesso dolore che lui ha inferto a Harry, avrebbe voluto fargli molto più che male, ma il terrore sul viso dell’uomo mentre viene condotto ad Azkaban lo ripaga di essersi trattenuto.
Quando ritornano al Ministero, il Quartier Generale degli Auror esplode di festeggiamenti. Neville non riesce a smettere di sorridere e Kingsley stringe le loro mani con orgoglio, complimentandosi caldamente e dando ripetute pacche sulle spalle di Harry. Ron non riesce a togliergli gli occhi di dosso: da non ricorda nemmeno quanto, sul viso del suo amico sembra esserci qualcosa che assomiglia alla serenità. Non si è lasciato andare ancora, non del tutto, ma che il suo portamento si sia fatto più rilassato e le linee di preoccupazione sul suo viso si siano distese non può non notarlo.
Più tardi, quando la maggior parte degli impiegati del Ministero è tornata alla propria occupazione, Ron cerca Harry determinato a portarlo a casa e costringerlo a concedersi le tanto meritate ore di riposo di cui ha fatto a meno nei giorni precedenti. Lo trova un po’ in disparte, impegnato con Ethan Vane, uno dei nuovi impiegati del Quartier Generale. Il ragazzo ha un paio d’anni in più di loro - Ron lo ricorda vagamente ad Hogwarts, un Corvonero dell’anno di Percy o dei gemelli - e qualcosa nei suoi lineamenti affilati lo fa assomigliare troppo a Malfoy, nonostante i capelli scuri, perché lo trovi minimamente simpatico.
Lo vede sporgersi verso di Harry e fare una battuta che gli causa uno scoppio di risa; qualcosa gli si agita nel petto e, di colpo, prova l’irresistibile desiderio di intromettersi. Avanza verso di loro a passo svelto e, quando li raggiunge, si rivolge direttamente a Vane. “Kingsley ti aveva chiesto di preparare i rapporti della missione o sbaglio?” inizia, incrociando le braccia al petto in un atteggiamento severo. “Ci servono domani per la riunione.”
Preso alla sprovvista, Ethan esita un momento, poi annuisce. “Vado subito,” replica, senza nemmeno una traccia di sarcasmo. “Saranno sulla scrivania del Ministro entro un paio d’ore.” Fa per avviarsi, ma, passando accanto ad Harry, aggiunge con un ghigno, “Complimenti ancora per l’arresto.”
A Ron non sfugge il modo in cui la sua mano indugia sul braccio dell’amico, né il modo in cui Harry gli sorride di rimando. Quest’ultimo aggrotta le sopracciglia con confusione quando, tornando a prestargli attenzione, nota la sua espressione irosa.
“Che significa?” sbotta Ron, cercando di tenere bassa la voce, mentre compie un gesto vago nella direzione in cui Vane si è allontanato.
“Che significa cosa?” replica l’altro, aggrottando le sopracciglia. Continua a studiarlo con interesse, cercando probabilmente di capire quello che gli passa per la testa, e Ron vorrebbe dirgli semplicemente di smetterla perché la ragione del suo fastidio è chiara e lampante.
“Quel tipo ti si stava praticamente strusciando addosso!”
L’angolo della bocca di Harry si solleva verso l’alto, mentre l’espressione confusa rimpiazza una vagamente divertita. “E quindi?”
Ron è così irritato dalla situazione che, se potesse, urlerebbe; l’atteggiamento dell’amico, però, lo costringe a riesaminare il modo in cui si sente. Di colpo, la frustrazione lascia posto all’imbarazzo e, benché cerchi di dominarlo, è certo di sentire la punta delle sue orecchie farsi rossa. “Beh, sei ancora il fidanzato di mia sorella o sbaglio?” si affretta a chiedere allora, incrociando nuovamente le braccia al petto. Certo, il motivo della sua reazione sta tutto lì, nel bisogno di difendere sempre e comunque Ginny, eppure, nel momento in cui se lo dice, sa già un po’ di menzogna.
Lo sguardo di Harry si incupisce e ogni traccia di divertimento scompare dal suo volto. Si guarda intorno stringendosi nelle spalle, accuratamente evitando l’occhiata insistente di Ron, mentre afferma, “Forse non per molto ancora.”
È un fulmine a ciel sereno. No, non davvero, ma è come se lo fosse, perché per quanto abbia visto le difficoltà che hanno affrontato ultimamente e come il loro rapporto abbia mantenuto una patina gelida anche adesso che Ginny è tornata per l’estate, Ron non voleva crederci. Sentirlo direttamente da Harry, però, rende il problema molto più concreto. Tutta l’irritazione che aveva avvertito fino all’attimo prima evapora, lasciandogli solo il senso di colpa per aver tirato in ballo l’argomento e il bisogno di consolare il suo amico.
“Ehi,” lo richiama, facendo un passo verso di lui. “Non pensarci stasera, abbiamo da festeggiare.”
Harry accenna un mezzo sorriso grato e Ron vorrebbe aggiungere che non dovrebbe farsi problemi a parlarne con lui, che deve sempre sentirsi libero di confidargli qualsiasi cosa, ma non fa in tempo.
“Andiamo a casa?” si sente chiedere e non trova nulla da dire se non “sì.”
/
parte tre /