Titolo: The winter is long and forgiving
Fandom: A song of ice and fire
Beta:
eowiePersonaggi: Jon Snow, Stannis Baratheon, Val, Asha Greyjoy, Alysane Mormont, Toregg the Tall; nominati Ramsay Bolton, Theon Greyjoy, Jeyne Pool e altra gente
Pairing: Stannis/Jon
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 4.577 (FDP)
Avvertimenti: What if?, speculazione, slash, SPOILER PER ADWD!!!
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• VANYYYY, VANYYYY, VANYYYYYYYYYYYYYYYYYY! BUON diciassettesimo COMPLEANNO, LOVVA MIA!!!!!!!
Lo so, lo so, non è la Lucius/Molly che ti aspettavi, chiedo venia. E sì: avevi indovinato, maledetta!!! XDD Però sono stata molto brava a sviarti, vero? VERO? *_*” Anyway, spero che tutto ciò ti piaccia e che ponga rimedio al desiderio di questa ship che covi da, tipo, la terza pagina di Dance. Anzi, in realtà da prima che uscisse, va beh. Ti ameggio. ♥
• Per
vedova_nera, insomma.
• Aaaaallora, la fic parte come What If? dell’ultimo capitolo di Jon in A dance with dragons, ovvero ignora completamente il finale di suddetto capitolo e si concentra sulla possibilità che lui avesse portato a compimento i progetti fatti fino all’attimo prima. Di conseguenza si presuppone
che la morte di Stannis annunciata da Ramsay nella lettera sia una messinscena di Stannis stesso e che Ramsay, sempre nella lettera, abbia mentito a bomba (circa i sette giorni di battaglia, ecc ecc). Ci sono comunque SPOILER SPOILER SPOILER di praticamente tre quarti del libro. \o/
• Con i nomi potrei aver fatto casino. XD Nel senso che alcuni li ho usati nella versione tradotta per abitudine, mentre altri li ho lasciati in originale perché mi flashano di più così (tipo Winterfell e Lightbringer, ecco ;_;). Quindi sì, ho fatto casino. XDDD
• Titolo da Window bird degli Stars.
• Altre note a fine fic. ♥
The winter is long and forgiving
Il viaggio nella neve dura ormai da giorni e il paesaggio si è fatto così uguale e monotono, lontano dalla King’s Road, che se non sapesse di essere guidato da uomini più capaci di lui sarebbe certo di essersi perso.
«Quanti giorni di marcia ci restano?» La voce di Val gli arriva lontana, attutita dal vento e dal mantello che la donna porta attorno al capo. Jon si stringe nelle spalle, guidando il cavallo più vicino a lei. «Tre. Cinque al massimo, dice Old Flint,» replica, «dipende dalla neve.»
Val gli lancia un’occhiata dura, quasi accusatoria. «Ho dovuto abbandonare di nuovo il mostriciattolo. Come potrei prendermi cura di lui, se non faccio altro che lasciarlo indietro?»
È l’ennesima occasione da quando sono partiti in cui il ragazzo si ritrova a chiedersi se è stata davvero la scelta giusta. Tormund Giantsbane aveva lasciato il Castello Nero per Hardhome un giorno prima di loro, insieme a gran parte dei confratelli - lo avevano seguito, non senza proteste e sospetti, ma lo avevano seguito e questo era ciò che contava - così aveva potuto prendere gli ultimi accorgimenti libero dai commenti catastrofici di Bowen Marsh. Il comando era rimasto nelle mani di Iron Emmett, appena giunto da Hardin’s Tower, ed era in lui e Satin che Jon confidava per badare agli uomini della regina e alla regina stessa.
Senza il Lord Comandante a tenerla d’occhio, per quanto fosse in grado di difendersi, la Barriera non era più un posto per Val. «Non potevo permetterti di rimanere lì,» si affretta a spiegarle, lo sguardo puntato sulle schiene dei Bruti che li precedono, «e tutto questo è troppo pericoloso per un bambino.»
La donna si fa sfuggire quella che potrebbe essere una risata di scherno - o uno sbuffo scontento, non può esserne certo - poi rialza lo sguardo e se c’è preoccupazione in lei non lo dà a vedere. «Stiamo andando in guerra per un re morto, Jon Snow,» sospira, perfettamente sicura di ogni sua parola. Lui non abbassa gli occhi, resiste all’urgenza di farlo così come a quella di negare la sua affermazione. «Stiamo rispondendo ad una minaccia, una che mi è stata rivolta personalmente,» la corregge, ma all’altra non serve nemmeno girarsi a guardarlo per comprendere che non è interamente sincero.
Lo ignora completamente, quando riprende: «Tu non credi davvero che sia morto. Rischiare la vita per un cadavere sarebbe troppo anche per te.»
Jon deglutisce e ingoia le giustificazioni che potrebbe darle. Non le dice che ne va del suo onore, non le spiega che Winterfell è stata la sua casa e che non ha alcuna intenzione di abbandonarla nelle mani dei Bolton, non le dice che lo fa per Arya, per proteggerla, per salvarla. Non le dice niente del genere perché si rende conto da solo che, se in fondo, alla base del suo stomaco, nel retro della sua mente, non continuasse a rifiutare l’idea che Stannis sia morto, non si sarebbe nemmeno mosso dal Castello Nero.
I Guardiani della Notte non prendono posizione, riecheggia nella sua testa, in una voce che assomiglia fin troppo a quella della principessa dei Bruti, e Jon sa in quell’istante di aver preso una posizione già da diverso tempo.
*
Avanzano per altri due giorni, senza che Winterfell si veda anche solo all’orizzonte. La neve copre ogni cosa, comprese le loro tracce - e questo è un bene -, e Jon passa le notti steso accanto a Spettro in una tenda di fortuna scossa dal vento, meditando senza tregua sulle proprie decisioni. Non può vederlo, ma sa che il castello è lì, dritto davanti a loro, quindi non c’è altro da fare che proseguire, incurante del gelo e dei dubbi.
Non sa dire per quanto tempo stanno marciando, nel terzo giorno, quando l’avanguardia guidata da Toregg torna precipitosamente indietro. «Lord Snow,» urla il Bruto, «abbiamo trovato qualcosa.»
Avanza verso di loro con altrettanta rapidità e, quando li raggiunge, parte dell’avanguardia si sposta per rivelare due esploratori, gli stemmi sugli scudi grattati via, i colori dei farsetti irriconoscibili sotto strati di pellicce. Li osserva attentamente in viso, cercando di individuare di chi si tratti, e sebbene abbiano qualcosa di familiare non è in grado stabilirlo con certezza.
«Bolton?» domanda. Toregg scuote la testa: «Stannis, dicono.»
Soldati allo sbando, pensa, prima che uno dei due prenda la parola. «Lord Snow dei Guardiani della Notte?» chiede, dapprima esitando ma poi annuendo più certo. «Avete portato dei rinforzi per Re Stannis?»
Jon aggrotta le sopracciglia. «Stannis è morto,» afferma, eppure tutta la sicurezza con cui pronuncia quella frase vacilla di fronte alle parole dell’altro.
«No, Lord Snow, il re è vivo. Possiamo condurvi da lui, se volete.»
*
Potrebbe essere una trappola, è la prima cosa che ha pensato, ma non è stata sufficiente ad impedirgli di voltare il cavallo e ordinare a Val e Toregg di aspettarlo lì - e di attaccare senza di lui al comando di Flint e Norrey, nel caso non fosse tornato. Adesso, con Spettro accanto, sta nuovamente marciando, seguendo le indicazioni dei due cavalieri.
«Dobbiamo fare un altro giro, mio lord,» spiega uno, indicando un punto imprecisato nella distesa che hanno davanti. «Non possiamo rischiare di essere avvistati.»
Jon annuisce, riconoscendo finalmente nel loro modo di fare quello degli uomini del Nord, ma ancora non abbassa la guardia. Il meta-lupo cammina adagio al suo fianco, senza dar segno di aggressività o tensione; questo lo tranquillizza molto più delle rassicurazioni dei due.
Non cavalcano da molto quando le sagome di un accampamento cominciano ad essere distinguibili nella tormenta di neve. Può vedere dei tendoni, qualche cavallo e poi sempre più persone, man mano che avanzano; cerca di tenere a mente la strada più breve per uscire da lì e allontanarsi, nel caso in cui qualcuno dovesse attaccarlo, ma si ritrova sempre più preso dall’osservare i sigilli innalzati sulle tende, riconoscendoli e catalogandoli uno ad uno. È quando scorge la torre dove svettano il cervo e il cuore fiammeggiante di Stannis che inizia davvero a sperare nella veridicità di quanto detto dagli esploratori.
Arrivati all’edificio, i due uomini smontano, scambiano qualche parola con le guardie all’ingresso e poi entrano senza guardarsi indietro. Jon scende a sua volta dall’animale, mentre le guardie gli lanciano qualche occhiata sospettosa; non rivolge loro alcuna domanda, aspettando, intento a studiare ciò che ha intorno, individuando quelli che sono senza dubbio i resti di un esercito ormai allo stremo: lo circondano soldati stanchi, infreddoliti e affamati e sa per esperienza che in quelle condizioni non resisteranno a lungo.
Poi un rumore di passi alle sue spalle lo fa girare, per trovarsi davanti i due esploratori e, in carne e ossa, Stannis.
«Jon Snow, sire, è proprio lui,» dice l’uomo a sinistra, mentre il re gli rivolge un lungo sguardo, studiandolo da capo a piedi. Lo ricambia con attenzione, la gola annodata nel constatare di aver avuto ragione nello sperare che Ramsay mentisse; prova l’impulso di sorridere, di mostrare a tutti - e a Stannis in particolare - il sollievo che avverte, ma tale impulso di spegne di fronte all’occhiata dura che l’altro gli rivolge.
«Vieni dentro,» abbaia, dandogli le spalle e avviandosi senza attendere risposta. Jon non può fare a meno di pensare, brevemente, che il suo costante malumore gli era mancato, poi ordina a Spettro di rimanere fuori e segue i passi del re.
Nella sala dove Stannis ha preso posizione fa un po’ più caldo che all’esterno, grazie al braciere acceso, ma questo non basta al re per assumere degli atteggiamenti più cordiali. Ad un suo cenno, i Lord e i capitani degli eserciti si affrettano ad uscire, lasciandolo solo al suo cospetto. Quando l’ultimo si è richiuso la porta alle spalle, il ragazzo valuta se sia necessario inchinarsi o se il confuso scambio di sguardi precedente possa già considerarsi un saluto.
È l’altro, tuttavia, a toglierlo d’impiccio. «Cosa ci fai qui?» sbotta senza alcuna cerimonia, «Mi pareva che il tuo posto fosse alla Barriera e che i miei ordini fossero di tenerla fino al mio ritorno.» Lo guarda con un’espressione ostile, che Jon identifica senza fatica, dicendosi che probabilmente lo conosce già troppo bene per aspettarsi un qualsiasi segno di compiacenza nel ritrovarsi dopo mesi di distanza. È il suo re ed è in piena guerra, ma non riesce a cancellare la sensazione che sia l’uomo che Stannis è sotto quegli strati di freddezza e acciaio, quello che è felice di rivedere.
«Alla Barriera è giunta notizia che tu fossi morto,» inizia a spiegare, cercando di mantenersi completamente neutrale, di non sbilanciarsi.
Il re schiocca la lingua e prende un respiro profondo, commentando tra sé, «Avrei dovuto immaginare che sarebbe successo.» Torna a fissare Jon negli occhi e, anche se la sua ostilità è venuta parzialmente meno, ha quasi dello scherno nel tono quando chiede: «E questo era abbastanza per spingerti ad abbandonare il tuo muro di ghiaccio, dopo che per mesi ti ho chiesto di farlo?»
Era abbastanza, gli sale in gola, ma riesce a scacciare il pensiero in tempo e a non dargli voce. Infila, invece, la mano nel mantello e tira fuori la lettera di Ramsay che ha conservato per tutto il viaggio, nelle tasche interne per essere sicuro che non si sgualcisse, come prova concreta delle ragioni che lo stavano muovendo, come giustificazione. La porge a Stannis, dicendogli che il motivo di tutto sta lì, nelle minacce che sono state fatte alla sua persona, nient’altro.
L’uomo lo osserva ancora per un momento con scetticismo, poi rivolge la propria attenzione al foglio, lo prende e comincia a leggere rapidamente; arrivato alla fine, lo posa sul tavolo e commenta con un semplice: «Capisco.»
Il ragazzo si affretta a chiedere: «Cos’è accaduto davvero?»
Stannis emette un sospiro stanco e si accomoda su una delle panche, facendogli segno di prendere il posto di fronte al suo. «Abbiamo saputo del tradimento di Arnolf Karstark grazie a quel Braavosi e agli uomini che lo accompagnavano,» comincia, ignorando la sorpresa che si mostra sul viso dell’altro nell’apprendere che il suo tentativo ha avuto successo. «Karstark alla fine si è dimostrato più furbo del previsto, soprattutto quando gli abbiamo rivelato della prigionia di suo figlio e del matrimonio della nipote. Belle trovate, a proposito.» Si interrompe per annuire con approvazione e poi riprende: «Ha raggiunto Winterfell diversi giorni fa, per affermare davanti ai Bolton di avermi ucciso di persona nei miei alloggi, insieme a qualche testa appartenuta a soldati morti di stenti e una riproduzione di Lightbringer.»
Nel sentirlo parlare, per Jon diventa tutto chiaro, eppure non riesce ad esserne rassicurato come dovrebbe. «Lord Bolton è più furbo di così, non abbasserà la guardia,» commenta, aggrottando la fronte, ma Stannis scuote la testa. «Lui no, ma il bastardo?» Indica la pergamena con un gesto del capo. «Questo è il suo modo di agire: ha riempito una lettera di falsità per provocare una tua reazione. Non è passato molto tempo prima che abbia iniziato a sentirsi tronfio dei suoi presunti successi e quelle parole sono la prova che non ogni sua azione è guidata dal padre.»
Il ragazzo rimane in silenzio per un lungo momento; riesce a vedere mille falle in quel piano apparentemente lineare, ma non trova la forza di evidenziarne nemmeno una: vuole credere a Stannis, credere che prendere il castello e liberare sua sorella sarà così facile come la fa sembrare.
«Quando hai intenzione di attaccare?» domanda quindi, gli occhi fissi sul foglio tra loro.
«Tra due giorni Karstark darà il segnale,» replica. «Ha avuto il suo tempo per sondare la situazione all’interno, per scoprire se sono tutti fedeli a Bolton come sembra o se possiamo trovare una frattura da sfruttare.»
Jon non può evitare di dire: «È rischioso,» ma all’occhiata truce che l’altro gli rivolge aggiunge, «I soldati che ho portato ti serviranno.»
Il re soffia fuori una risata dura. «Mi pareva di aver capito che i Guardiani della Notte non combattessero per nessuno.»
«Sono Bruti,» lo informa, resistendo alla tentazione di sorridere della sua confusione. «Molti di quelli che hanno passato la Barriera da quando sei partito. Più di cento spade sicuramente, forse anche duecento.»
L’uomo appare per un attimo impressionato, probabilmente anche sollevato, ma è un lampo di emozione troppo breve che viene presto sostituita dal suo solito tono pratico. «Combatteranno per me?»
«Non ne dubito.»
«Allora farai bene ad andarli a recuperare e portarli al campo, prima che qualche esploratore venuto da Winterfell li avvisti,» ordina bruscamente, mettendosi in piedi e dirigendosi verso il lato opposto della tavolata, dove si trovano alcune mappe. Con lo sguardo fisso su di esse, proprio quando Jon sta iniziando a pensare che il loro colloquio sia finito lì, chiede ancora: «E tu? Farai ritorno alla Barriera?»
«No,» risponde senza esitare, osservando il suo profilo nella penombra della stanza. «Sarò al tuo fianco, hai la mia parola.»
*
Quando rientra all’accampamento alla testa dell’esercito di Bruti è il tramonto. Jon lascia liberi i suoi uomini di andare a costruire i loro rifugi e a rifocillarsi alla guida di Toregg e, mentre anche Old Flint e Norrey si riuniscono alle rispettive famiglie, si dirige con Val verso la torre di Stannis.
Si sente chiamare da una voce femminile nel momento in cui smonta da cavallo. «Guarda un po’ se non è Jon Snow,» cantilena la ragazza, avvicinandosi. Nei suoi tratti e nel suo ghigno storto è certo di dover riconoscere qualcosa, di avvertire una familiarità che non sa da dove arrivi. Sta per chiedere con chi ha a che fare, quando un’altra donna si affianca alla prima e, questa volta, nel notare lo stemma a forma di orso che porta all’attaccatura del mantello in pelliccia, non ha dubbi di trovarsi davanti ad Alysane Mormont.
«Siamo qui per accompagnare la tua principessa dei Bruti nei suoi alloggi,» annuncia la She-Bear. «Soggiornerà con lady Greyjoy.»
Asha Greyjoy, realizza Jon, individuando immediatamente nelle linee del suo viso le stesse di Theon. Accenna un inchino verso di loro, ma prima che possa dire qualcosa lei soffia fuori una risata aspra. «Non sono una lady, qui, solo una prigioniera.» Poi si rivolge a Val, che li ha appena raggiunti. «Ma non preoccuparti, ti tratteranno certamente meglio di come trattano me.»
Alysane leva gli occhi al cielo, poi borbotta un «Di qua», e si avvia. Val rivolge alle due una lunga occhiata, studiandole attentamente; compare dell’apprezzamento nel suo sguardo e solo allora Jon si tranquillizza. Dopo avergli indirizzato un saluto, segue la She-Bear.
Solo Asha rimane indietro, di fronte a lui. Indica con un gesto del capo la torre e, «Ha chiesto di te quando è stato annunciato il vostro arrivo,» lo informa, ancora con quel suo sorriso storto. «Faresti bene ad andare adesso.»
Jon annuisce, seguendo il suo sguardo fino alle finestre più alte della costruzione. «Lo raggiungerò subito.»
«Pare abbia smesso finalmente di digrignare i denti, ora che ci sei tu,» continua la ragazza. «Magari significa che non moriremo in questo postaccio.» Gli lancia un’altra occhiata divertita e, prima che lui possa avvertire concreto il compiacimento per la sua affermazione, gli dà le spalle. «Cerca solo di non fargli bruciare nessuno,» conclude, allontanandosi zoppicando lievemente.
La osserva andar via per qualche istante, chiedendosi se è vero che gli uomini che ha portato basteranno a volgere la battaglia a loro favore - chiedendosi se è vero che la sua presenza ha migliorato l’umore di Stannis -, poi si dice che c’è solo un modo per scoprirlo e si dirige verso le stanze del re.
*
Le prime ore della sera le passa nella grande camera alla base della torre, dove, con i capi rimasti all’accampamento, il re pianifica il loro successivo attacco. Le volte che Stannis cerca il suo sguardo, aspettandosi qualche consiglio o parere, Jon risponde al meglio delle proprie capacità, cercando di richiamare alla mente la pianta di Winterfell, lo spessore delle mura, i punti deboli e quelli più difficili da oltrepassare. Parla senza esitazione, bocciando le proposte più temerarie con l’autorità che il semplice annuire di Stannis gli concede, mentre si dice che non si tratta più di prendere una posizione, ma semplicemente di impedire che questi uomini vengano annientati.
È solo quando i lord e abbandonano la sala, tuttavia, che si decide a porre la domanda che ha continuato a covare nel retro della propria mente per tutto il tempo. Chiude la porta, attirando l’attenzione del re, e si volta verso di lui.
«Ramsay parlava della sua sposa, nella lettera,» comincia, raggiungendo l’uomo vicino allo spiraglio della finestra. «Avete saputo qualcosa di--» si interrompe, evita di dire mia sorella e conclude, «Arya Stark?»
Il volto di Stannis si rabbuia. «Avrei dovuto parlartene prima,» mormora tra sé, per poi riversargli addosso tutte le informazioni che ha raccolto da Theon Greyjoy e Jeyne Pool. Jon è abbastanza certo di sentire qualcosa dentro di sé spezzarsi, e non è solo la speranza che aveva avuto di rivedere Arya.
«Theon è qui? Vivo?» domanda, incredulo. «Ha ucciso i miei fratelli, dovrebbe essere giustiziato.»
L’altro scuote la testa, il tono ancora terribilmente calmo. «Lui dice di no, dice che a morire sono stati i figli di un mugnaio.» Espira. «Sarebbe utile che gli parlassi, il Bastardo di Bolton lo ha quasi portato alla pazzia ed è difficile stabilire cosa è vero e cosa no nei suoi racconti.»
L’idea di affrontare Theon non gli piace, ma non può evitare di provare il bisogno acuto di fare chiarezza nelle sue affermazioni. Solo, non adesso. «Quando la battaglia sarà finita,» promette, «un problema alla volta.»
Stannis annuisce, mentre aggiunge qualcosa su come la menzogna detta dai Lannister sulla sposa di Ramsay potrà volgere a loro favore, soprattutto se screditata da lui, ma la sua capacità di concentrarsi sembra essere annegata nei dubbi su Arya, su Bran e Rickon, che non riesce a togliersi dalla testa. Solo la solidità della mano di Stannis che si appoggia sulla sua spalla ha successo nel riportarlo alla realtà.
«Per quanto riguarda tua sorella,» comincia il re, il tono più burbero delle sue parole, «appena Winterfell sarà nelle nostre mani mi occuperò personalmente di farla cercare. E lo stesso vale per i tuoi fratelli, se il ragazzo dice il vero.» Stringe maggiormente la presa e conclude, in un ultimo tentativo di tranquillizzarlo: «Li troverò.»
Jon sente per un momento tutta la rassicurazione che la presenza dell’altro gli dà, che è un piacevole diversivo rispetto a quanto provava sulla Barriera, alla situazione di solitudine e insofferenza verso i suoi confratelli in cui era precipitato. Per quel lungo istante, pensa di aver fatto la cosa giusta ad aver inforcato il cavallo e ad essersi mosso a sud, e non perché lo aiuterà a scacciare i Bolton da quella che è stata casa sua, non perché i Bruti rinfoltiranno un esercito allo stremo, non perché la minaccia di Ramsay va pagata con il sangue; semplicemente perché, ora più che mai, è sicuro di aver avuto bisogno di vedere Stannis, l’unica persona a cui, negli ultimi mesi dopo essere diventato Lord Comandante, si è concesso di legarsi.
Alza lo sguardo e lo ringrazia, mentre l’uomo si riallontana da lui ed è di nuovo il re severo che conosce, ma non completamente. Gli lancia una breve occhiata e poi dice, con appena una traccia di preoccupazione, «Dovresti riposare. Posso farti preparare un letto qui alla torre o una tenda fuori, se preferisci startene nella neve.»
Jon si passa una mano sul viso, sentendo tutta la stanchezza accumulata nella giornata, ma in qualche modo l’idea di sdraiarsi da qualche parte e dormire gli appare totalmente estranea. È certo che non ci riuscirebbe, che trascorrerebbe solo una serie interminabile di minuti a voltarsi su una branda scomoda e a riflettere su ciò che è avvenuto e avverrà. Scuote la testa, quindi, e replica: «No, non c’è bisogno. Non credo che dormirò.»
Stannis risponde con un’espressione che sembra un po’ di rimprovero, per poi accennare un assenso. «Allora rendiamo questa notte utile,» comincia, dandogli le spalle e tornando a guardare fuori dalla piccola finestra. «Raccontami come vanno le cose alla Barriera.»
Un po’ stupito, Jon si accomoda su una delle panche e inizia a parlare. Quando lascia la sala per ristorarsi, ritrovare Spettro e andare a mettere ordine tra le sue cose, è quasi l’alba.
*
Il giorno successivo scivola via rapido nella preparazione alla battaglia. C’è inquietudine nell’aria e Jon la inala ad ogni respiro, sentendola scivolare bruciante nei polmoni e poi adagiarsi nel proprio stomaco; ha provato quell’identica emozione quando ha lasciato Winterfell, quando è partito insieme ai confratelli e al Vecchio Orso per il Pugno dei Primi Uomini, quando nella notte gelida sulla cima della Barriera aspettava l’imminente attacco dei Bruti.
Come lui e il resto dei soldati, impegnati nel raccogliere i propri averi, nell’affilare spade e asce, nemmeno Stannis sembra esserne immune. Vede la tensione inasprire ancora maggiormente i tratti della sua espressione e le sue spalle e, sebbene cerchi con decisione un modo per alleviarla, non riesce a trovarne uno valido che non sia restargli accanto.
A sera, quando l’ultima riunione con i lord si conclude, Stannis ha una nuova durezza nella voce nell’ordinare a lady Mormont, Asha e Val di rimanere all’accampamento, all’indomani.
«Sono in grado di combattere,» protesta la ragazza, e Val aggiunge: «Forse anche meglio di metà dei tuoi uomini.»
«Combatterete, se noi falliremo e i soldati dei Bolton raggiungeranno l’accampamento,» afferma il re, aspro, e Jon può quasi vedergliela addosso concretamente, l’incertezza nella riuscita di quella battaglia, ma è abbastanza sicuro di essere il solo.
«Potrebbero davvero essere utili,» commenta, una volta che il resto dei lord e le tre donne hanno abbandonato la sala. La replica di Stannis è quasi tagliente: «Ci sono più utili da vive.» Prende un respiro e si muove nervosamente per la stanza, per poi fermarsi a un tratto e aggiungere: «Potrei dire lo stesso di te. Se parti questa notte, per domattina sarai abbastanza lontano dallo scontro.»
Jon aggrotta la fronte, all’improvviso dubbioso su quanto stia accadendo. «Mi stai mandando via?»
«Se ti dovesse succedere qualcosa chi penserà alla Barriera? I Guardiani della Notte non possono permettersi di perdere il loro comandante così in fretta, non in questa situazione,» riprende l’uomo. Il suo tono è freddo e distante, ma nell’ostinazione con cui evita il suo sguardo, il ragazzo percepisce una sicurezza soltanto ostentata. Quello che gli sta chiedendo di fare non è quello che vuole, e perciò Jon avanza di qualche passo per avvicinarglisi cautamente.
«Non ho nessuna intenzione di andarmene,» afferma, cercando di suonare il più determinato possibile. «Ho le mie ragioni per rimanere e ti ho già detto che resterò al tuo fianco.»
Il re scuote la testa. «E perché dovresti? Mi hai ripetuto mille volte che il tuo posto è nei Guardiani, che il tuo giuramento vale più del nome di tuo padre. Da dove arriva tutta questa lealtà a me, che nemmeno ti ho tolto quel tuo cognome da bastardo?» Appoggia le mani di piatto sul legno della tavolata e, guardando in basso, ripete: «Dovresti partire finché sei in tempo.»
Quelle parole lo lasciano confuso. Non riesce a capirne l’esatto significato, quale sia la vera radice dei suoi dubbi; pensa di dovergli spiegare che non si sente un membro dei Guardiani, al momento, né uno Stark, e che tutta la sua attenzione è rivolta a Winterfell e al re che ha di fronte. Vorrebbe rassicurarlo della sua presenza, del suo sostegno, ma non ha idea di quale sia il modo giusto per farlo.
«Non me ne andrò,» dice quindi, in tono asciutto, «e cercherò di non morire, domani.»
Stannis si gira verso di lui e, nel breve istante in cui i loro sguardi si incrociano, Jon vi legge dentro dello stupore. Poi l’uomo torna a fissare un punto davanti a sé e borbotta: «Sei solo un gran testardo.»
L’accusa, alle sue orecchie, suona meno brusca di quanto l’altro l’avesse voluta e lo fa sorridere. «Non sei da meno, sire,» replica, appena scherzoso, aspettandosi un rimprovero che non arriva. Tutto ciò che riceve è un’occhiata vagamente esasperata e l’accenno di un sorriso.
Trascorre qualche attimo di silenzio, poi il re ricomincia, serio: «Prenderemo il castello, hai la mia parola.»
Jon lo osserva attentamente, chiedendosi quanto quella promessa sia fatta a se stesso e quanto a lui. Mette da parte ogni dubbio, tuttavia, e gli si avvicina ancora, pensando che non c’è posto durante questa notte per le incertezze. Il gesto di allungare una mano verso Stannis e stringere le dita attorno al suo braccio, come una conferma della propria fiducia, gli viene quasi istintivo, quasi non se ne rende conto. «So che lo faremo,» afferma subito dopo, senza scostare la mano.
Per un lungo momento l’uomo ricambia il suo sguardo; Jon si aspetta che stia per allontanarlo, per riportarlo con un cenno o una parola al suo posto, eppure quando questo non succede, quando Stannis non fa altro che restare in silenzio a guardarlo, non ne risulta davvero sorpreso, non fino in fondo.
Il desiderio è vago e indefinito, una sensazione adagiata alla base del suo stomaco che sta provando ad ignorare, eppure basta quello per fargli realizzare, all'improvviso, che ciò che lo lega a Stannis forse, forse, non è solo ammirazione, né rispetto, né gratitudine.
Non riesce a dare forma concreta a quelle riflessioni, tuttavia, perché la scoperta di qualcosa di simile negli occhi del re, di una necessità quasi speculare, lo immobilizza e spaventa insieme. Non si rende conto di quello che sta succedendo finché non succede davvero, finché Stannis non lo attira a sé afferrandolo per il mantello con un gesto brusco. Il bacio è ruvido, come tutto ciò che lo riguarda, ma ha il sapore di una cosa tanto attesa e quando termina, quando l’uomo lo allontana di colpo, sa di averlo voluto da tempo.
La mano ancora stretta sulla sua spalla, Stannis lo osserva con quella che pare esitazione e Jon può quasi leggere con chiarezza i pensieri che sta per formulare, le parole con cui cercherà di porre altra distanza tra loro. Si ritrova a tentare di mettere ordine, nella sua mente, tra tutto quello che il re sembra volere da lui - tra i modi in cui lo avvicina e quelli in cui lo allontana, tra le richieste, continue e incessanti, che gli rivolge, tra il bisogno che ha della sua presenza e quello di essere totalmente indipendente nelle proprie scelte - ma poi si ripete che non devono esistere incertezze, non questa notte, e si concentra esclusivamente su quello che Stannis vuole adesso.
Sciogliendosi dalla sua presa, cancella lo spazio tra loro e cerca nuovamente la sua bocca. L’esitazione dell’uomo non dura che un momento brevissimo, poi la tensione nel suo corpo accumulata durante gli ultimi giorni finalmente si scioglie e il resto - la guerra, il freddo, la minaccia dei Bolton, Winterfell - perde consistenza. Jon non è certo di ciò che sta facendo, quando si spinge contro di lui e fa scivolare le proprie mani nei suoi vestiti, ma, qualunque cosa sia, è indubbiamente la migliore.
L’ora del lupo giunge persino troppo in fretta e, con altrettanta rapidità, entrambi rientrano nei loro ruoli. Prima di uscire per riunirsi ai lord, il re dice: «Non parleremo mai di questo.»
Lui acconsente, senza però crederci davvero.
*
L’esercito si mette in marcia un’ora prima dell’alba, quando una sottile nevicata comincia a cadere. Ad un ordine di Stannis gli esploratori scattano in avanti per raggiungere il punto preciso da cui le mura di Winterfell sono visibili, pronti a captare il segnale dei Karstark e tornare a riferirlo, mentre il resto degli uomini si muove più lentamente, ma senza stanchezza.
Jon, a cavallo a fianco del re, non può evitare di pensare di star tornando a casa, sebbene non nel modo in cui se lo era immaginato in passato, di star, in qualche modo, onorando suo padre, i suoi fratelli e le sue sorelle.
Si volta ad osservare il profilo severo di Stannis, che ricambia la sua occhiata solo per un breve istante, e si dice distintamente che, quel momento, non vorrebbe affrontarlo con nessun altro accanto.
Note, parte seconda:
• Giusto per chiarire. /o\ Ho sofferto molto nel rimuovere dal piano di questa fic un possibile incontro tra Jon e Theon (che è una cosa che mi gaserebbe a bomba da scrivere, tra l’altro), ma purtroppo se lo avessi inserito… starei ancora a scrivere, insomma, e a Vany la regalerei per il suo trentesimo compleanno. Quindi yeah, ho dovuto mettere da parte lui e Jeyne, ma sappiate che un possibile spin-off (o una Theon/Jon con la stessa trama, praticamente XDDD) arriverà prima o poi perché ora lo voglio scrivere.
• Allo stesso modo, ho preferito concludere la fic prima della presa di Winterfell (yep, ovviamente vincono, Jon ammazza Ramsay in modo brutale, salvano Mance e vivono tutti felici e contenti, nella mia testa XD) perché altrimenti mi sarei imbarcata in problemi ben più grandi (tipo, chi diventa guardiano del Nord ecc) e non avrei mai fatto in tempo a ideare/gestire tutto. /o\
• Asha, Val e Aly le ho amate un po’. XDDD E non ho shippato Asha/Val, eh, nooooooooooo, per niente.
• Io comunque non scriverò mai più su di loro, sia chiaro. Seeeee, ormai sono innamorata di Stannis peggio di Jon, è la fine. /o\
• VAAAAAAAAAAAANY!!! ♥♥♥