Titolo: Ventitré ragioni per cui Ibn al Xu’ffasch odia Allan Wilson
Fandom: DC Comics
Beta:
namidayumePersonaggi:
Ibn Al Xu’ffasch,
Allan Wilson,
Leonor Wilson,
Mar'i Grayson,
Lena Luthor,
Slade Logan,
Lian Harper; nominati un sacco di altri personaggi.
Pairing: accenni Ibn/Mar’i, Allan/Lena, Allan/Mar’i
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 4.320 (FDP), lista compresa che è stata inventata sul momento
Avvertimenti: Linguaggio colorito
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori (che, in alcuni casi, siamo noi), che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Ambientata nel
lovvoverse. Tutto ciò mi è venuto in mente grazie a
questa fic, con la quale mi sono auto-messa la pulce nell’orecchio. XD Gran parte della lista che segue, però, è stata elaborata con il suggerimento di Namida, quindi il merito è soprattutto suo. *_* E la dedica anche è sua.
• Specchiettare e htmlzzare tutto ciò è stato un parto. ò_ò
Ventidue Ventitré ragioni per cui Ibn Al Xu’ffasch odia Allan Wilson
1. È un Teen Titans.
Ibn sa benissimo che l’Infinity non è un team perfetto. Ci sono discussioni tra i membri, Black Canary non fa altro che contraddirlo, Kid Flash e Arsenal spesso agiscono senza pensare e Cerdian ha periodi di assoluta apprensione nei quali impedirebbe ai suoi amici persino di muoversi.
Eppure, niente di tutto questo regge il confronto con lo sfacelo che sono i Teen Titans. Il fatto che quella squadra sia priva di ogni briciolo di dignità e che i suoi componenti siano preoccupati più del loro fan-club che dei reali pericoli del mondo diventa palese ai suoi occhi fin dal momento in cui li incontra.
Così, è assolutamente comprensibile che Jericho, ancor prima di aprire bocca, in qualità di loro capo, gli risulti già insopportabile.
2. Non è per niente intimorito dall’atteggiamento di Ibn.
Organizzare quella missione si sta rivelando più difficile del previsto. Ibn continua a disapprovare ogni stratagemma inventato da Jericho e Terrance, giudicandoli troppo pericolosi ed azzardati - le esche, da che mondo e mondo, non hanno mai funzionato.
Allora compie un passo in avanti e, parlando per la prima volta, «Non sono d’accordo,» dice. «Sarebbe un suicidio.» Il tono è basso e inflessibile - uno a cui di norma è difficile replicare - e maschera e mantello lo coprono perfettamente, accentuando la sua freddezza.
Vede con la coda dell’occhio Terrance indietreggiare, però Jericho non mostra la minima reazione. «Mi dispiace,» afferma, quasi scusandosi davvero, «ma sono realmente convinto che questa sia la soluzione migliore.» Scrolla le spalle e lancia un’occhiata alla mappa aperta sul tavolo, per poi aggiungere, «È il nostro territorio, questo, ti assicuro che lo conosciamo più che bene.»
Ed è Ibn, per una volta, a non poter replicare.
3. I membri dei Titans si fidano di Allan più di quanto i membri dell’Infinity si fidino di Ibn.
I Titans sono scomparsi, volatilizzati dietro il loro capo senza che questo abbia nemmeno dovuto fare un cenno. I componenti dell’Infinity si guardano intorno, palesemente indecisi su come agire, finché Lucy non si schiarisce la voce e rompe il silenzio.
«Non è che la sua idea sia proprio male,» afferma.
«Già,» le dà man forte Robert, sbrigandosi a chiarire: «Senza offesa.»
«Conoscono sicuramente la zona meglio di noi…» si aggiunge anche Lian, mordendosi una guancia con fare pensieroso.
Ibn sente l’irresistibile bisogno di levare gli occhi al cielo. «Andiamo,» sibila tra i denti, prima che qualcun altro possa rincarare ulteriormente la dose.
4. Ha una testa diabolica con cui elabora strani e complicati piani in cui riesce a far fare alla gente ciò che vuole e a raggiungere l’obiettivo.
Non fa nemmeno in tempo a pensare Ve l’avevo detto, che si ritrovano tutti nel jet dei Titans attorno ad un Second Boy - l’esca - ferito ad un braccio. Ravager disperde la calca, prestando le prime cure, e Jericho è immobile alla testa della branda, continuando a ripetere, «Mi dispiace, Richard, è stato un errore. Ma vedrai che Leonor ti rimetterà a posto in un istante.»
«Non preoccuparti, capo,» replica il velocista, interrompendosi per urlare di dolore. «Sono un duro, io.»
E Ibn, dall’angolo della cabina, lascerebbe proprio uscire quel Ve l’avevo detto che gli sta stringendo la gola, se non fosse che, contrariamente alle sue aspettative e nonostante quel piccolo effetto collaterale, il piano di Allan è davvero andato a buon fine.
5. Sembra che non abbia un solo problema al mondo.
La quarta volta che lo vede, Ibn ha l’umore sotto le scarpe. Ha appena terminato una pattuglia a Gotham per raccogliere prove contro i traffici illeciti di Due Facce, cosa che l’ha portato a trascorrere l’intera notte in strada, sotto la pioggia; adesso, ha gli stivali infangati, una costola probabilmente incrinata e ha la sensazione che l’acqua sia penetrata fin sotto il kevlar, tanto si sente fradicio.
Jericho, invece, lo accoglie nella Sala Riunioni della Torre Titans sorridente, fresco come una rosa, con il costume perfettamente liscio e lucido. Sembra che non conosca il significato delle parole “mancanza di sonno”, “stanchezza” e “frustrazione emotiva” e Ibn è certo che, se fosse dotato anche lui dell’empatia, avvertirebbe solo una grande serenità provenire dall’altro.
«Sono contento che tu ce l’abbia fatta a venire,» lo saluta, cordiale e terribilmente sincero. L’umore di Ibn peggiora ancora di più.
6. Discende da Deathstroke e non se ne vergogna.
«Wilson, eh?» inizia Ibn, una leggera nota di scherno nella voce. «Come Slade Wilson? Deathstroke?»
L’angolo della bocca gli si solleva in un ghigno; immagina di aver toccato un nervo scoperto e si aspetta che Jericho neghi ogni connessione con quell’uomo, o che almeno ne risulti colpito.
Invece, l’espressione di Allan risulta neutrale. «Esattamente. È mio nonno,» replica in tono casuale, e il mezzo sorriso di Ibn gli si congela sul volto di fronte a tanta noncuranza. «Ma c’è di peggio, giusto?» continua poi.
Gli è impossibile non intendere quella domanda come un riferimento personale; il moto di rabbia che gli provoca pare raggiungere all’istante l’empatico, che si stringe nelle spalle e chiede, «Che ho detto?»
Ignorandolo, Ibn gli gira le spalle e si allontana.
7. È fesso e per niente subdolo, ma riesce a tenergli testa comunque.
Una chiamata dalla Torre Titans è una di quelle cose in grado di incrinargli una perfetta giornata, e una chiamata da lui in particolare è in grado di rovinargliela totalmente.
«Cosa posso fare per te, Deathstroke?» domanda aprendo la comunicazione, in un tono tagliente che non deve assolutamente sembrare simpatico.
Il silenzio dall’altro capo si protrae per qualche istante più del solito, prima che Allan risponda, «Divertente. Ma se volessi turbarmi davvero sarebbe ‘Trigon’ il nome da pronunciare.»
Stupido, pensa Ibn di riflesso, ad offrirgli su un piatto d’argento il modo più facile per nuocergli. Tuttavia, senza che possa articolare qualcos’altro, Jericho riprende.
«Comunque ti chiamo per quelle informazioni sull’Injustice League che ti avevo chiesto.» Fa una pausa, e lui mugugna un assenso. «Ti dispiacerebbe mandarmele al più presto,» indugia ancora e poi conclude, «Ra’s Al Ghul?»
Sono rare le occasioni in cui Ibn resta senza parole - ma con Wilson stanno diventando decisamente meno rade.
8. Tratta gli eroi adulti come suoi pari e non ha paura di affrontarli.
«Mi dispiace dirvelo, ma sono abbastanza sicuro che Lex Luthor non c’entri in tutto questo.»
La voce di Allan risuona forte e chiara nella Sala Riunioni del palazzo della JLA, accompagnata dal silenzio tombale che cala improvvisamente su ognuno dei presenti. Venti paia di occhi - più quelli di Ibn - si girano a guardarlo e lui, per nulla intimorito, continua a tenere alto lo sguardo.
«Mi auguro tu stia scherzando, Jericho,» replica Wonder Woman. «È dei Luthor che stiamo parlando.»
È facile riconoscere l’astio nella sua voce, ma Allan non si lascia intimidire nemmeno da questo.
«Esatto, è dei Luthor che stiamo parlando. E quella famiglia ha già fatto da capro espiatorio troppe volte per permetterci un singolo errore,» risponde prontamente. Poi si mette in piedi e riprende, «Perciò, se avete intenzione di procedere in quella direzione, potete anche scordarvi l’appoggio dei Titani.»
Non c’è una briciola di rispetto nel suo tono e, per questo, Ibn è combattuto tra lo stimarlo e il picchiarlo fino ad infilargli un po’ di sale in zucca - non si contrasta la JLA, ha imparato a proprie spese, soprattutto se non sei limpido e candido.
«È assurdo,» si lamenta Cassandra, mentre Jericho dà le spalle al gruppo e abbandona la Sala.
«Lascialo andare,» interviene Batman e, l’attimo dopo, i venti paia di occhi sono fissi su Ibn.
«Che ci dici dell’Infinity, invece?»
Il ragazzo annuisce, «Siamo con voi.»
9. I suoi assurdi ideali politici.
«Non puoi pensarlo davvero.»
«Certo che lo penso davvero.»
«No, non puoi. Anche se quella gente ha commesso un crimine, non è giusto punirli così pesantemente e--»
«Quindi cosa è giusto? Rinchiuderli a Blackgate o Arkham in attesa che evadano o si ammazzino tra loro?»
Il volto di Allan è una maschera di sconcerto che lo infastidisce più delle sue parole. Continua a fissarlo e poi riprende, «Proprio tu! Proprio tu dovresti sapere quanto una seconda possibilità sia importante e quanto certe persone possano sentire il bisogno di essere perdonate.»
La conversazione - il battibecco, in realtà - sta prendendo una piega che gli piace sempre meno. Resta in silenzio per un lungo attimo, respirando a fondo nel tentativo di non perdere la calma.
«E proprio io, infatti, lo so. Come so anche che per altri è diverso, che non importa quante possibilità darai loro, perché le sprecheranno sempre.» Si interrompe e inizia a camminare, sperando di liberarsi di Jericho e delle sue stupide idee da hippy.
Ma lui, a quanto pare, non si arrende e lo segue. «Pensa a tuo fratello, allora,» dice una volta che l’ha raggiunto. «Non dirmi che non daresti nemmeno a lui una possibilità?»
E quella è la goccia che fa traboccare il vaso. Ibn si blocca, si gira a fronteggiarlo e, trattenendo a stento l’ira, sibila, «Il giorno che metterò le mani su Damian, ti assicuro che farò in modo che non sia più in grado di nuocere ad anima viva.»
Jericho sembra cogliere al volo il suo stato d’animo; indietreggia di un passo e non aggiunge nulla, lasciandolo finalmente andare.
10. È sempre gentile.
«Il nostro ultimo incontro…» comincia Allan, «non è stato esattamente cordiale.»
È riuscito ad evitare di vederlo per due settimane e gli sono apparse bellissime e perfette. Adesso, avere Wilson di nuovo davanti gli riporta a galla diversi problemi. Non solleva nemmeno lo sguardo dal monitor, quando replica, in tono piatto, «Non mi sembra una novità.»
L’altro, però, non è deciso a mollare. Indugia, probabilmente davvero in imbarazzo, prima di riprendere: «Credo di aver detto cose che non avrei dovuto, perciò vorrei scusarmi. Tutto qua.» E, ovviamente, lo intende sul serio, armato di ogni migliore intenzione che possiede.
«Non c’è bisogno,» risponde Ibn, un accenno più brusco nella voce; spera - invano, forse - di scoraggiare in questo modo i suoi sciocchi tentativi di cordialità.
Jericho tuttavia non si dà per vinto e, ignorandolo, continua. «Se c’è qualcosa che posso fare…» si interrompe, lasciando capire il resto della frase - come se capisse che invitarlo esplicitamente a chiedergli aiuto sarebbe un errore troppo grande. Questo, tra le altre cose, contribuisce ad irritare Ibn.
«C’è una cosa che puoi fare,» si affretta allora a ribattere, girandosi finalmente a guardarlo. «Risparmiami quest’inutile gentilezza.»
Lo fissa per un lungo momento, accertandosi che comprenda, poi torna a prestare attenzione al computer, come se Allan non fosse già più lì. L’attimo dopo, sente Jericho allontanarsi senza aggiungere altro.
11. È un empatico.
La cosa che gli rende intollerabile stare nella stessa stanza di Allan Wilson, a dirla tutta, è la sua empatia.
Ibn ha un rapporto conflittuale con le proprie emozioni; si è allenato fin da piccolo a controllarle e a non lasciarle trasparire, eppure non è raro che dentro di lui inizino ad agitarsi sentimenti contrapposti che non vorrebbe nemmeno provare. A volte, ad esempio, Mary arriva raggiante da lui per raccontargli dei suoi successi da Robin, o dei complimenti ricevuti da Bruce, e lui vorrebbe solo essere felice per lei, gioire con lei; invece, finisce sempre che un peso gli blocca la gola e l’invidia prende a rodergli lo stomaco, benché lui cerchi di combatterla. Fuori non traspare nulla, ma dentro infuria la battaglia.
Quando c’è Wilson nei dintorni, Ibn possiede la continua consapevolezza che non potrà usare maschere, che il suo autocontrollo sarà inefficace, perché l’empatico capterà ogni sua più piccola variazione d’umore e d’emozione, lo leggerà come un libro aperto. Questo lo fa sentire debole.
Almeno, l’unico punto a favore di Jericho è che, in quelle occasioni in cui avverte qualcosa che non dovrebbe, sta zitto e mai una volta ha osato commentare le proprie percezioni o rivelarle a qualcuno. Ibn non glielo dirà mai, però prova un minimo di gratitudine per questo, in mezzo a tutto quell’odio.
12. Ha delle cose in comune con lui.
«Come diavolo fai a non capirlo, stupido idiota?!» La voce di Allan è un sussurro rabbioso e Ibn resta sorpreso per un attimo, perché era certo che lo avrebbe sentito urlare. «Ti comporti come se fossi l’unico ad aver sofferto, l’unico con il passato difficile, l’unico ad essere additato dalla gente quando passa… Beh, datti una svegliata!»
«Tu non sai cosa significa essere guardati come se stessi per ammazzare qualcuno da un momento all’altro,» sbotta il Pipistrello in risposta.
«Oh no, figurati, sono solo il nipote di Trigon,» ironizza Jericho e poi gli dà le spalle spazientito, quasi considerasse inutile parlare ancora con lui.
Ibn invece, il tono vagamente più calmo, replica, «Tu l’hai superato.»
Lo scatto iroso di Allan verso di lui gli fa pensare che stia per colpirlo, ma il ragazzo si limita ad afferrarlo per il colletto e tirarlo verso di sé, obbligandolo ad incontrare il suo sguardo. «L’ho superato?» sibila. «Guardami bene e dimmi se l’ho superato.»
Ed è allora che Ibn vede, forse per la prima volta, quella luce rossa nei suoi occhi, quella luce rossa decisamente troppo simile alla propria, quella luce rossa che sarà sempre lì, dentro di loro, pericolosa, spaventosa, e non li lascerà mai liberi.
Spintona via Allan e si allontana in fretta da lui. «Questo non significa che puoi capirmi,» afferma.
La risposta di Jericho non tarda: «Questo significa che nemmeno tu puoi capire me.»
13. Sembra migliore di lui. [ERRORE.]
13. È uno dei pochi che può tenergli testa in combattimento.
Si abbassa proprio una frazione di secondo prima che il pugno di Allan lo raggiunga; poi è semplice afferrarlo per un polso e trascinarlo al tappeto usando il suo stesso peso. Jericho urta con un tonfo e lui si rimette in piedi, leggermente affannato.
«Ok, ok, dieci a nove,» commenta Terrance ad alta voce, rendendo noto il punteggio degli scontri. «Avete intenzione di andare avanti a lungo o può bastare?»
«Ovviamente non lo conosci abbastanza,» borbotta Lian, seduta accanto a lui sul perimetro dell’area di allenamento, mentre cerca di non sentire i morsi della fame. «Andrà avanti finché non avrà ottenuto una stramaledetta vittoria schiacciante.»
Nel frattempo, Allan si rialza e si posiziona nuovamente di fronte all’altro. «Ancora uno?» gli chiede Ibn e lui annuisce sorridendo, «Tutti quelli che vuoi.»
«Te l’avevo detto,» sospira Arsenal. Terrance, in risposta, impreca in russo.
14. Non ha smesso di voler bene a Slade Wilson.
Quando vengono a sapere che dietro la sparatoria a Los Angeles c’è Deathstroke, cala un inaspettato gelo sui Titans. I componenti del gruppo si scambiano occhiate interrogative e, per la prima volta da quando Ibn li conosce, esitano, invece di lanciarsi a capofitto nell’azione.
È facile capire che la radice di tutto questo sta in Jericho, Ravager e Kid Devil, nel momento in cui i ragazzi si voltano tutti verso il loro capo, in attesa di ricevere istruzioni.
«Potete andare, se volete,» dice Allan, a quel punto, mentre Leonor e Lily gli si affiancano silenziosamente. Poi si rivolge a Ibn e continua, «Ti dispiacerebbe guidarli insieme alla tua squadra?»
«Qual è il problema?» replica lui, a metà tra l’incuriosito e lo stizzito. «Si tratta solo di un altro criminale.»
Non c’è traccia di fastidio o di imbarazzo sul volto di Jericho, quando risponde: «Non nego che lo sia. Il problema è che non riuscirei mai ad affrontare mio nonno.»
«Idiota sentimentale,» si limita a commentare Ibn, per poi fare un cenno alle due squadre e condurle nel mezzo dell’azione.
15. Ra’s Al Ghul sembra un fallito rispetto a Deathstroke.
Pensa spesso agli uomini da cui tutto ha avuto origine e che hanno determinato in modo così evidente le loro vite. Pensa a Deathstroke e si rende conto di quanto la stirpe dei Wilson non possa essere in nessun modo se non così: tenaci fino ad essere irritanti, forti, destinati prima o poi a vincere e riuscire. Pensa a Ra’s al Ghul e realizza, invece, di come anche lui non possa essere che così: ambiguo, sempre un po’ in ombra, controllato, perfetto solo all’apparenza e, soprattutto, destinato prima o poi a fallire e distruggersi con le proprie mani.
Quando riflette su questo, Ibn sente tutto il peso del proprio corredo genetico e sa che, benché tenti di scrollarselo di dosso e di rifarsi un’immagine di sé, il fallimento è lì, al capolinea, ad attenderlo ansioso.
16. Ha avuto rapporti con Lena Luthor, ma tutti l’hanno perdonato.
«Cosa diavolo c’è stato tra voi?»
«Questi non sono affari tuoi, Wayne, razza di impiccione,» sbotta la Luthor, levando gli occhi al cielo. Sta per aggiungere qualcosa, ma Allan, accanto a lei, la ferma posandole una mano sul braccio.
«Non abbiamo niente da nascondere,» dice, per poi continuare, fissando Ibn in volto, «Siamo stati insieme, qualche anno fa, quando abitavamo entrambi in Italia. Ormai ben pochi lo ignorano.»
Come sempre, parla senza vergogna, senza nemmeno mostrarsi turbato per una pura forma di cortesia. È completamente sicuro di sé e del proprio essere senza macchia, e Ibn non riesce a decidere cosa in questo momento lo infastidisce maggiormente: se il comportamento di Jericho, se il fatto che lui, un eroe, è stato con lei, una delle più pericolose criminali degli Stati Uniti, o ancora se è l’atteggiamento del mondo dei supereroi, che, ignorando pur essendone a conoscenza una relazione tanto pericolosa, hanno comunque permesso ad Allan di guidare i Titans e ottenere una posizione di prestigio.
Prova un moto d’invidia e di rabbia al pensiero della fiducia riposta nel nipote di Deathstroke, sapendo che a lui, invece, non verrà mai e poi mai accordata.
«Quindi complimenti per essere sempre al passo coi tempi,» commenta Lena, prima di camminargli accanto, superandolo, e allontanarsi da loro.
Quando è fuori portata d’orecchio, Ibn domanda ad Allan: «È davvero finita?»
«Sì,» replica l’altro ragazzo, eppure, dallo sguardo fisso sulla schiena della Luthor, è facile capire che non è affatto così.
Ibn si sente l’unico in grado di vedere la realtà delle cose - e la pericolosità delle conseguenze.
17. Suo padre gli vuole bene e si fida di lui.
Le riunioni dei supereroi sono una delle cose più odiose del mondo. È il momento in cui ognuno approfitta della presenza degli altri per mostrare quanto compatto il proprio clan sia, quanto capace di proteggere la propria città - o l’intero universo - e quanto i supereroi, in fondo, non siano che umani o pseudo-umani.
C’è un’amara ironia quando Ibn, tra tutti i presenti, si sofferma proprio sulla famiglia Wilson. Allan e Leonor sono insieme ai genitori, impegnati in una conversazione a gesti con il padre, mentre Raven li guarda in silenzio. Si intuisce facilmente, anche solo dagli sguardi che si stanno rivolgendo, la serenità data dal rivedersi, però non è su questo che l’attenzione di Ibn si concentra: si rivolge a Joseph Wilson e al modo in cui sorride ad Allan, quel modo fiero e pregno di fiducia che ogni padre dovrebbe indirizzare al proprio figlio.
Quel modo fiero e pregno di fiducia che Bruce Wayne non ha mai indirizzato a lui.
È con una punta di malinconia che Ibn si volta dalla parte opposta ed è con una punta di speranza che guarda Bruce; lo sguardo dell’uomo, però, resta freddo e distante come sempre.
18. Ha un rapporto decente con sua sorella.
«Sono stanca di te.»
È abbastanza sicuro che Ravager non gli abbia mai parlato, quindi, se adesso lo sta facendo, vuol dire che ha davvero qualcosa di importante da dirgli. È unicamente per questo che Ibn le rivolge la sua piena attenzione, non di certo per il modo brusco con cui ha esordito.
«Prego?»
«Sono stanca. Credi forse che mio fratello abbia avuto vita facile? Credi che sia disposto ad accettare le tue offese solo perché è troppo educato per ribattere a tono?» riprende la ragazza, con una determinazione nei suoi occhi che non ha mai visto, in lei sempre controllata e sulle sue.
«Non ho idea di cosa stai parlando, Ravager,» replica sprezzante. Si è lasciato sorprendere da un tale atteggiamento appena un momento, per poi rendersi conto che non ha nessuna intenzione di permettere a quella ragazzina di rimproverarlo.
Leonor lo ignora. Avanza e appoggia la mano sulla superficie del tavolo a cui lui è seduto, sporgendosi in avanti. «Io non sono come Allan,» sibila e sarebbe difficile non recepire il sottotono minaccioso nelle sue parole. «Sta’ attento.»
Gli sembra per un attimo tentata di tirar fuori le spade e metterlo di fronte al pericolo persino più concretamente, ma poi semplicemente si tira indietro, gli dà le spalle e si allontana.
Il sentimento che invade Ibn di colpo, prima ancora che possa rendersene conto e controllarlo, non è spavento, o rabbia, o irritazione, ma di nuovo quella malinconia affilata come un coltello che prova tutte le volte che pensa alla propria di famiglia - a ciò che gli altri hanno e a lui, invece, manca.
Leonor si gira a guardarlo con un piede già sulla soglia, la comprensione nei suoi occhi sovrastata da un’abbondante strato di commiserazione.
19. Ha un migliore amico.
Checché ne dica la gente, avere un migliore amico è sinonimo di debolezza. Ibn l’ha sempre creduto fin da bambino - la cultura che Ra’s al Ghul insegna è una cultura individualista, dove ogni tipo di affetto è sconsigliato, e quella concezione è radicata a fondo dentro di lui, benché a volte serva solo da difesa o da scusante.
Quindi non ritiene che sia una fortuna avere una spalla a cui appoggiarsi, o qualcuno che ti supporta in continuazione o, peggio, con cui confidarsi, e quando vede Jericho e Terrance parlare, ridere insieme, condividere sguardi complici, tutto ciò che riesce a pensare è quanto siano sciocchi a non saper vivere da soli. Quanto siano sciocchi a perdere tempo in quel legame che comunque, prima o poi, finirà con lo spezzarsi o costituire una distrazione mortale.
E non c’è nemmeno un briciolo d’invidia, nei suoi occhi, di fronte a certe scene.
20. Mary Grayson.
È una notte stranamente tranquilla, tra i tetti spigolosi di Gotham, quella in cui ne ottiene la certezza. Aveva già avuto dei sospetti che Mary lo tradisse - a dire la verità, aveva immaginato che prima o poi sarebbe successo già dal momento in cui si erano messi insieme -, eppure mai avrebbe creduto che la sua scelta potesse cadere, tra tutti, proprio su di lui.
Il tempo che Robin passava a collaborare con i Titans e ad allenarsi alla Torre doveva essere già un segnale, doveva già prepararlo all’inevitabile, ma Ibn aveva volutamente ignorato i piccoli dettagli, le bugie che Mary aveva iniziato a raccontargli, i goffi tentativi di Arsenal di coprire i suoi spostamenti.
Adesso, però, ci sono cose che non può più fingere di non notare, come l’odore chiaro e distinto di Allan sulla sua pelle, come i segni delle sue labbra sul collo, di cui lei, probabilmente, non si è accorta. Valuta per un breve momento se sia il caso di affrontarla e domandarglielo direttamente; se sia suo dovere raggiungere Jericho, dargli un pugno e intimargli di non toccare mai più la sua ragazza, come qualsiasi persona sana di mente farebbe.
Poi, però, Mary lo stringe ancora un po’, dice: «Sono felice di vederti», e lui decide di non fare nulla.
Anche io, si limita a pensare, amaramente.
21. Prova del sincero senso di colpa per il tradimento di Mary.
In qualche modo, Allan realizza in fretta di essere stato scoperto - molto più in fretta di Mary, persino - e i loro successivi incontri sono caratterizzati da ancora più disagio.
Ibn fa di tutto per evitare la Torre e il capo dei Titans in particolare, ma ci sono occasioni in cui gli eventi lo rendono inevitabile; ed è durante una missione, infatti, che Jericho trova il momento di avvicinarlo.
«Mi dispiace,» sussurra e non c’è il minimo dubbio che l’espressione contrita e il tono triste siano sinceri. «Non era mia intenzione-- Voglio dire…»
Il patetico tentativo di scuse non gli stringe il cuore nemmeno un po’; lo stupisce, tuttavia, perché pochi si comporterebbero a quel modo, strisciando per chiedere perdono alla persona che meno sopportano al mondo.
Il ragazzo indugia, incerto sulle parole da usare, e Ibn tace, pensando al da farsi. Sarebbe più facile reagire se Allan fosse giunto con pretese e spavalderia, se fosse sfacciato, se vedesse Mary come una vendetta nei suoi confronti. Invece non è così, capisce Ibn, e Mary è davvero importante per lui e il senso di colpa è chiaro e lampante, concreto come la persona che ha di fronte.
Decide di lasciarcelo annegare dentro, allora. Gli rivolge una semplice occhiata di puro disprezzo e si allontana senza pronunciare una sola parola.
22. Allan non lo odia.
Per quanto sembrasse impossibile che i rapporti tra loro peggiorassero, la verità è che riescono a farlo. Da allora, quando si incontrano, il silenzio ristagna pericolosamente o sono unicamente le parole dure e crudeli di Ibn ad essere pronunciate.
«Prima o poi Mary si stancherà di te,» gli dice, oppure: «Voi Titans non valete nulla, siete solo un gruppo di ragazzini che amano stare sotto i riflettori.»
In tutto ciò, Jericho non lo contrasta; resta inerte, senza rispondere ai suoi insulti, come se pensasse di meritarseli. Ibn vorrebbe vederlo reagire, a volte, vorrebbe essere provocato, perché il bisogno di prenderlo a pugni e fargli del male preme forte in ogni cellula del proprio corpo. Vorrebbe che se lo meritasse, vorrebbe che fosse facile, vorrebbe essere trattato nello stesso modo in cui lo tratta lui.
Ma lo sguardo dell’altro rimane sempre lo stesso - affabile, a tratti colpevole - e i toni con cui gli parla si mantengono gentili, pacati.
È semplice comprendere che, nonostante tutti gli sforzi di Ibn, Allan non lo odia, non prova nemmeno una piccola briciola di rabbia nei suoi confronti. E questo, a ben guardare, rende i suoi atteggiamenti persino più crudeli.
23. È migliore di lui. [CONFERMATO.]
Il giorno in cui Allan gli salva la vita è, probabilmente, l’unico che Ibn vorrebbe non aver vissuto. Il gesto gli provoca un miscuglio di umiliazione, rabbia verso se stesso, disprezzo verso il mondo e in fondo, solo in fondo, gratitudine.
«Perché l’hai fatto?» chiede bruscamente a Jericho a missione finita, quando sono tornati al sicuro nella base dell’Infinity.
«Stai scherzando, vero?» replica Allan, sconcertato da una simile domanda. Quando dall’altro non arriva nulla, scrolla le spalle e abbassa lo sguardo, dicendo, «Avresti agito allo stesso modo, al mio posto.»
Ed è allora che la verità colpisce Ibn come un fulmine, presentandosi nella sua mente chiara e ben definita, ormai impossibile da ignorare, mentre confronta la propria freddezza con la sua cordialità, la propria invidia con i suoi tentativi di comprensione, il proprio odio con il suo senso di colpa. Jericho esce dalla stanza senza aggiungere nulla, limitandosi a lanciargli un’occhiata preoccupata che lui non ricambia.
«Ti sbagli,» confessa al nulla, una volta rimasto solo. «Non lo avrei fatto.»