Titolo: Distrazione n.7: Andarsene
Raccolta: Distrazioni
Fandom: Heroes
Beta:
iosonosaraPostata il: 20/11/2007
Prompt: #7: beneath an orange sky @
syllablesoftimePersonaggi: Claude Rains; nominato Peter Petrelli.
Rating: Pg
Conteggio Parole: 555 (W)
Avvertimenti: Linguaggio scurrile
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Tabella:
qui.Note:
Riferimenti alla puntata 1x23.
Distrazione n.7: Andarsene
Non lascia New York.
Sta per farlo, è arrivato alla periferia sud della città, gli basta qualche chilometro in più e sarà fuori, di nuovo lontano dal pericolo. Ma non ce la fa.
Si ferma, si guarda alle spalle e, con un sospiro, torna indietro.
I giorni successivi li passa ancora sui tetti. Sceglie quelli più alti, quelli da cui può vedere tutta New York, e beve più del solito, per mettere a tacere i migliaia di perché che gli esplodono nella testa.
È un succedersi di sbornie e dopo sbornie, di mal di testa che non vogliono andarsene; e il whiskey lo aiuta a non sentire il freddo pungente di novembre, tra le altre cose.
Ha rubato una coperta; è lì che dorme, che mangia, che beve. Che aspetta.
Perché sì, per quanto cerchi di negarlo, è quello che sta facendo. Sta aspettando. Un botto, un’esplosione, una bomba nucleare, o, nella migliore delle ipotesi, un segno che Peter stia bene, che sia salvo.
Sarebbe più semplice se tornasse a cercarlo, potrebbe anche dargli una mano, in qualche modo. Sarebbe più facile, ma, dio, Claude non funziona così; ha ancora il suo orgoglio e la sua rabbia e la sua paura e tutte quelle sensazioni che lo hanno fatto allontanare, sono ancora lì, non sono mai andate via. Nulla è cambiato.
Così, tutto quello che può davvero fare è aspettare.
Il senso di solitudine, di sera, è diventato quasi un peso. Non credeva di potersi abituare tanto in fretta alla presenza di qualcuno, dopo aver vissuto praticamente come un eremita per anni. Non era pronto per lasciarsi scalfire in questo modo e, ancora, si ripete che non doveva succedere, che ha sbagliato tutto.
I tetti sono silenziosi, di notte.
Beve un altro sorso di whiskey, l’ultimo della bottiglia, e poi la lancia lontano, ascoltando il rumore del vetro che si infrange sul cemento. Rumore.
Una mattina, mentre scende in strada per pochi minuti per prendersi un caffè, pensa che morire in un’esplosione atomica, tutto sommato, è un bel modo per andarsene. Una cosa epocale, di cui parleranno i telegiornali di tutto il mondo e in tutto il mondo, che finirà sui libri di storia, con tanto di data di commemorazione e tutto il resto.
Meglio morire così, a conti fatti, che come un barbone invisibile qualsiasi, su una panchina del parco una notte di dicembre.
Peccato che, anche così, probabilmente nessuno si accorgerebbe della sua scomparsa - quella vera, questa volta.
Sta quasi per addormentarsi, quando vede qualcosa volare in alto. E, pochi attimi dopo, quello che stava aspettando, l’esplosione.
Il cielo si tinge d’arancione e Claude sente il fiato mozzarsi in gola, mentre il fumo lentamente si ritira, lasciando spazio di nuovo al colore scuro della notte. Resta a fissarlo per minuti e minuti, quel cielo, senza che un solo pensiero attraversi la sua mente, senza avere la minima idea di cosa fare, adesso che è tutto finito.
L’esplosione c’è stata, New York è salva e tutto è andato per il meglio, a quanto pare.
Fissa ancora un attimo quel punto del cielo e poi abbassa lo sguardo, guarda le proprie mani stringersi a pugno e torna finalmente a respirare.
È di nuovo arrivato il momento di andarsene, pensa. E, anche questa volta, ci sarà un macigno grande quanto una casa da lasciarsi alle spalle.