Titolo: I'd say I want it (but I don't know how)
Fandom: DC Comics
Beta:
izzieannePostata il: 24/11/2008
Personaggi: Dick Grayson (Nightwing), Jason Todd (Red Hood), con la partecipazione speciale di Roy Harper (come Arsenal); altra gente nominata.
Pairing: Jason/Dick (e accenni a certi altri pairing)
Rating: Pg15
Conteggio Parole: ~ 2.995 (W)
Avvertimenti: Linguaggio, Slash grafico, vagamente What If… [spiegazioni nelle note]
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
#1: Dovete sapere, prima di tutto, che questa fanfiction nasce per
izzieanne, in cambio di
questa meraviglia che lei ha prodotto per me ç_ç. Quindi, non solo si merita una dedica monumentale - e io ribadisco in questa sede che questa fanfic è SUASUASUA - ma anche un monumentale ringraziamento, perché per merito suo sono riuscita, finalmente, a scrivere del Bat-cest O_O. E voi non avete idea di che dramma fosse, per me, non essere ancora riuscita a produrre nulla in questo senso xD
Ad ogni modo. Chez ha avuto una pazienza infinita nell’attendere e poi me l’ha anche betata, quindi il ringraziamento è… triplo? Ho perso il conto.
#2: La fic fa riferimento al numero #6 della serie DC Presenta: Outsiders, tuttavia, da ciò che accade nel numero prende solo le mosse, sviluppandosi poi, in un certo senso, come What If. Ovvero: e se Dick e Jason avessero lavorato insieme per avere conferma dell’innocenza di Fulmine Nero? *_*
Ebbene, l’ambientazione è quindi la medesima del numero, ma non vi serve sapere molto altro per comprenderla.
#3: Ci ho messo tipo due settimane a scriverla xDDDD
Davvero, questa fic mi ha distrutta. Ma la amo come poche cose ç_ç.
#4: Per trovare il titolo, invece, di settimane non so nemmeno quante ce ne ho messe xD
In aiuto è giunta nuovamente
izzieanne (♥♥♥), e questo che vedete viene da Prove Yourself dei Radiohead.
I'd say I want it (but I don't know how)
«Patto?»
Dick impiega circa tre secondi per pensarci. Non ha molte alternative e ne è perfettamente cosciente - forse è questo che lo spinge ad accettare. O forse è ben altro, solo che ora non ha tempo di mettersi a catalogare i pro e contro che l’alleanza si porterà dietro.
Così stringe la mano che Jason gli ha offerto e, «Patto,» conferma.
*
Attera sul tetto con la solita grazia e il solito silenzio, ma è certo che Jason sapesse già che stava arrivando.
Non mostrando alcuna reazione, infatti, il ragazzo continua a dargli le spalle, armeggiando con qualcosa che non può ancora identificare.
«Sarebbe molto più semplice se mi passassi i tuoi agganci, no? Affretteremo il processo,» esordisce Dick, avvicinandosi.
Jason scuote la testa e ribatte, in tono secco, «Vuoi le informazioni? Le prendi da me. È semplice, Dickie.» Poi attende finché non si è chinato accanto a lui, apre il pugno e gli mostra l’apparecchio di intercettazione. «Come vedi, i miei agganci sono roba abbastanza delicata.»
«Microfoni segreti?» Dick sembra quasi sorpreso e questo non può fare a meno di strappargli un mezzo sorriso.
«Oh avanti, certo. Che ti aspettavi, che Deathstroke venisse qui a raccontarmi i suoi segreti più intimi?»
Gli lancia una cuffietta e aggiunge, «Ora sta’ zitto, il discorso sta diventando interessante.»
Eccezionalmente, Nightwing riesce ad ubbidire per i successivi cinque minuti.
*
Dick cessa di dubitare di ogni parola di Jason al loro terzo incontro, esattamente quando sono sdraiati a pancia in giù su un cornicione del terzo piano di un edificio e Red Hood dice, «Quest’uomo, “Arnold”, può confermare tutto. È uno dei fornitori d’armi di Deathstroke e, da quello che ho sentito, è informatissimo.»
Nightwing si limita ad annuire, chiedendo solo, «Quando uscirà?»
Jason scrolla le spalle, «Roba di pochi minuti.»
E si sente fortunato ad indossare il casco, visto che, sotto di esso, sta sorridendo. «Strano,» riprende poco dopo, infatti, «hai per caso iniziato a fidarti di me?»
Dick volge gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un mezzo ghigno. «No, tranquillo, è stanchezza. Gotham non è un bel posto per chi rispetta la legge.»
«Ouch, questa era quasi degna di Bruce. Quasi, però, devi davvero impegnarti di più, Dickie,» ride Jason, e sta per aggiungere qualcosa - non sa bene cosa, ma sente di non voler smettere di parlare - quando Dick lo blocca sollevando una mano e indicando un uomo appena sceso in strada.
«È il nostro obiettivo,» assicura, quindi, alzandosi di scatto. «L’interrogatorio è mio, capito?» avverte, prima di saltare giù dal cornicione certo che Nightwing lo segua a ruota.
*
«Lo sai? Se continuiamo a vederci così spesso, potrebbe persino sembrare che abbiamo una relazione.»
«Ehi, sei tu che hai portato la cena,» ribatte Jason, addentando uno degli hamburger contenuti nella busta con cui l’altro si è presentato. Osserva Dick ridere e mostrare i palmi in segno di resa, poi scende dal parapetto su cui era appollaiato e gli si avvicina. «Sentito nulla di interessante?»
Nightwing scuote la testa, si sfila l’auricolare e glielo passa. «Niente di niente. Non stiamo andando da nessuna parte, e tutto perché la tua pista della notte scorsa era un maledetto vicolo cieco,» sbuffa, puntando un dito accusatorio contro Red Hood.
«Ah, sarebbe colpa mia?» risponde lui prontamente. «Se mi avessi permesso di svolgere l’interrogatorio come si deve, invece di metterti in mezzo con le tue manie da buon samaritano, avremmo sicuramente ottenuto qualcosa!»
«Certo, un bel cadavere da aggiungere alla tua lista.»
Jason fa per obiettare, ma si blocca di colpo, coprendosi l’orecchio libero e prestando attenzione all’auricolare. «Cazzo,» mormora con una certa apprensione, voltandosi di scatto verso il palazzo che stavano sorvegliando. In un attimo, l’hamburger finisce per terra e le pistole sono nelle sue mani.
«Tira fuori i tuoi bastoncini, Dickie, ci hanno appena beccati. Stiamo per avere visite.»
*
Vedere Dick battersi lo trasforma nuovamente nel ragazzino tredicenne che era: quello che ammirava Nightwing con tutto se stesso e che voleva essere lui ad ogni costo - essere all’altezza, essere notato, essere stimato e amato.
Incassa perfino un paio di colpi, per essersi troppo soffermato a guardarlo - e lui se n’è accorto, può esserne sicuro grazie a quel microscopico sorriso compiaciuto che gli ha piegato le labbra per un istante.
Non ci mette nulla a tornare in sé, a restituire quei pugni agli uomini mandati da loro, ma nel suo stomaco si adagia, durante l’intero scontro, una sensazione troppo calda per l’ambiente che lo circonda - troppo simile al desiderio, anche.
*
«Wow,» soffia fuori Jason, quando il plotone al completo è a terra svenuto.
Dick incrocia le braccia sul petto e sorride trionfante. «Cosa? L’aver steso dieci uomini in dieci minuti o l’aver infine ottenuto le informazioni dal loro capo?»
Parla in fretta, mentre si concede uno sguardo intorno per assicurarsi che non ci siano più pericoli, e, ugualmente in fretta, riprende, «Ho contattato Arsenal. Sta portando il Pequod a tre isolati da qui, andiamo.»
Non attende risposta, gli dà le spalle e si avvia di corsa verso il cornicione, per lanciare la propria fune sul palazzo successivo e saltare subito dopo. Jason resta un attimo immobile, ancora vagamente intontito - la sensazione non è sparita, ma, anzi, forse gli è salita al cervello.
Si sfila il casco e, «Aspetta,» gli urla dietro, per poi seguirlo attraverso un paio di tetti, fino a che non decide di fermarsi.
Nightwing ha addosso quel sorriso che significa che ha una precisa idea di quanto sta per capitare, ma Jason non si lascia frenare comunque. Lo afferra per le braccia e lo spinge a ridosso del muro più vicino; dice, «Intendevo wow tu, Dickie,» e lo bacia.
L’altro reagisce immediatamente, non un briciolo di esitazione o di sorpresa - e questo conferma la sua teoria: sapeva -, gli si preme contro e prende a succhiargli la lingua come se avesse atteso esclusivamente quello.
Ciò che accade successivamente non è molto chiaro nella sua mente, si perde facilmente i passaggi intermedi; ha unicamente coscienza di quando finiscono sul pavimento del tetto e le loro mascherine non ci sono più, insieme ai guanti di Nightwing e alla sua giacca.
Le mani di Dick si sono infilate in qualche modo sotto la sua maglia antiproiettile e Jason ha paura di aprire gli occhi, perché non può concedergli di scoprire quello che gli sta facendo, che gli ha sempre fatto, che, probabilmente, gli farà sempre - nonostante fosse solo un ragazzino alla soglia della pubertà, nonostante adesso abbiano preso strade diverse, nonostante continuerà ad essere il rinnegato della famiglia.
Poi Dick improvvisamente si blocca; gli accarezza il viso e lo allontana il necessario per poter parlare.
«Ok, questo non doveva succedere,» mormora, e Jason guarda altrove, in alto, ribattendo, «Che grande spirito di osservazione che hai,» con il respiro spezzato.
«Jay,» sussurra Dick, un mezzo sorriso a stirargli le labbra e il tono così morbido che, questa volta, lui non riesce a non incrociare i suoi occhi. Trattiene un attimo il fiato all’uso di quel vecchio soprannome, ed è consapevole di rivelarsi debole, di stargli indicando ognuno dei propri nervi scoperti, eppure non trova la maniera di evitarlo.
È però una terza voce ad interromperli, arrivando alle loro spalle e spaventandoli entrambi.
«Ci avrei scommesso che c’era un valido motivo per cui non rispondevate alle segnalazioni luminose del Pequod, ma non immaginavo proprio che fosse questo,» dice Arsenal, muovendo la mano in un gesto vago, con un’espressione divertita quanto maliziosa stampata in faccia.
«Mi dispiace aver interrotto. È che, sapete… abbiamo un’emergenza,» continua Roy, osservandoli mentre si rialzano. Jason si affretta ad indossare nuovamente la propria mascherina, aggiungendo subito il casco - non ha assolutamente intenzione di mostrarsi tanto scoperto per un secondo di più.
«Ho sempre amato il tuo ottimo tempismo, amico,» replica Dick, re-infilandosi accuratamente i guanti del costume, «Qual è l’emergenza?»
Arsenal lascia correre il cambio di argomento e risponde, una ruga di preoccupazione a solcargli la fronte, «Il peggio. L’identità di Fulmine Nero non è più al sicuro.»
«Contatta la squadra,» taglia corto Nightwing, l’espressione già seria e attenta.
Jason raccoglie la giacca e si prepara a togliere il disturbo senza parlare ulteriormente.
*
«Quindi,» esordisce Roy, a bordo del Pequod. Resta in silenzio finché Dick non si gira verso di lui, per poi piegare l’angolo della bocca in un ghigno e riprendere, «Sembra che tu e Todd andiate di nuovo d’accordo.»
Nightwing solleva una mano davanti a sé, negando con il capo, «No, no, non è come pensi.»
La domanda di come sia in realtà gli si affaccia alla mente all’istante, e si ritrova a pregare che non sia anche l’amico a porla, perché ignora la risposta giusta. E questo, di sicuro, complica persino maggiormente le cose.
Non che Dick non abbia già coscienza di quanto i rapporti con i rimanenti membri della famiglia siano contorti; ha addirittura smesso di tentare di semplificarli da anni - da quando si è ritrovato lo stomaco ribaltato da qualcosa che, in teoria, non avrebbe dovuto provare per Bruce -, ma, nonostante ciò, non può togliersi dalla testa l’espressione di Jason, quel desiderio nello sguardo e quell’aspettativa evidente da ogni piega del volto.
«Oh, Ragazzo Meraviglia,» sospira Roy - e Dick si rende conto solo ora che, probabilmente, è rimasto ad osservarlo per tutto il tempo -, «Devi raccontarmi dei tuoi nuovi amichetti, lo sai? Non che non conosca i tuoi gusti, d’altra parte.»
L’allusione lo fa ridere, permettendo finalmente alla tensione di scivolare via almeno un po’. «Zitto e guida, Arsenal, siamo in modalità d’emergenza,» lo rimprovera scherzosamente.
Roy si porta una mano alla fronte, mimando un saluto militare. «Agli ordini, comandante!»
Nella settimana successiva - tra evasioni di prigione ed esplosioni capaci di sterminare l’intera Iron Heights - Dick riesce a smettere di rimuginare. Benché Jason non abbandoni la sua testa nemmeno per un giorno.
***
Esita un paio di minuti sul davanzale, prima di bussare sul vetro. L’appartamento, da ciò che può notare dalla sua posizione, non è dei più grandi e ben tenuti, ma può già individuare elementi distintivi che rendono facilmente riconoscibile il proprietario - il fucile abbandonato sul tavolo con noncuranza, ad esempio.
Quando la faccia di Jason fa capolino da una stanza, le sopracciglia aggrottate per la sorpresa, Dick tira fuori il suo sorriso più largo e gioviale. Non sembra avere successo, però, perché l’altro apre la finestra e resta lì a fissarlo, immobile, impedendogli di entrare nell’abitazione.
«Perché sei venuto?» è tutto ciò che chiede. E Dick non vorrebbe, ma deve ammettere di essere stato tanto sciocco da sperare in un’accoglienza diversa, dopo il loro ultimo incontro - anche se sono trascorse intere settimane di nulla.
È deciso a non mostrare il disappunto, comunque, quindi scrolla le spalle e ribatte, «È solo una visita di cortesia,» senza eliminare il sorriso.
Jason non appare convinto neppure adesso - continua a guardarsi intorno con sospetto, come se si attendesse di veder spuntare dal primo angolo qualcuno pronto ad arrestarlo - così Dick riprende, «Immaginavo volessi avere notizia com’è andata l’operazione “Fulmine Nero”.»
L’altro solleva un sopracciglio lanciandogli uno sguardo scettico, poi finalmente indietreggia e gli fa cenno col capo di entrare. Nightwing non se lo lascia ripetere e salta all’interno dell’appartamento, riaccostando la finestra.
«Veramente, Dick, anch’io leggo i giornali,» sottolinea Jason, appoggiando la schiena al bordo del tavolo al centro della stanza e incrociando le braccia sul petto. «E, a proposito, dovresti essere morto o sbaglio?»
«Sai che in famiglia abbiamo una certa abilità nel fregare la morte,» risponde Nightwing, sventolando la mano in aria con un gesto vago.
La battuta cade nel vuoto, tuttavia, e l’unico risultato che ottiene è un mezzo ghigno nient’affatto divertito sul volto di Jason. Dick inizia a percepire un certo disagio che lo infastidisce; forse, considera, è stato un errore ribaltare New York da cima a fondo per scoprire il nascondiglio di Red Hood. Forse, è stato un errore semplicemente ritenere di poterci parlare.
«Perché sei venuto?» ripete Jason, e c’è una maggiore durezza nel tono di voce, come se non volesse farlo nemmeno dubitare su quanto quella visita sia sgradita. Il suo viso è altrettanto impassibile e, per quanto lui tenti di trovare un indizio dei suoi reali sentimenti, il risultato è parecchio scarso: anche se completamente scoperti, dagli occhi non traspare che distacco. Lo stomaco di Dick si contrae al ricordo di chi gli ha provocato l’ultima volta quell’identico disagio.
Istintivamente, si porta una mano sul viso e si toglie la mascherina, incontrando lo sguardo dell’altro ragazzo. «Jay,» mormora, mordendosi il labbro inferiore. E sarebbe pronto a proseguire, se Jason non avesse compiuto un passo avanti.
«No,» lo interrompe, puntandogli un dito contro. «Cazzo, no. Vi ho aiutato, d’accordo, ma è finita qua. Questo non significa nulla, non significa che ci siederemo in casa a spettegolare e non significa che tornerò da paparino. Non significa nemmeno che smetterò di uccidere, se proprio vuoi saperlo.»
Si ferma e respira profondamente, poi si riavvicina alla finestra e la spalanca, indicando l’esterno. «Adesso, per favore, vattene. O sarò costretto a darti una dimostrazione pratica di ciò che ho detto,» aggiunge.
Nightwing avanza meccanicamente, valutando per davvero l’ipotesi di abbandonare l’appartamento; però è accanto all’altro ragazzo che si ferma ed è in quell’istante che nota nel suo sguardo quell’incertezza che stava disperatamente cercando.
Jason si volta subito, ma lui gli appoggia comunque una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione. L’incertezza è lì, l’espressione sul suo viso è la stessa di quella notte sul tetto - medesima intensità, preoccupazione, bisogno: tutti sentimenti che non può nemmeno pensare d’ignorare.
Ed è talmente brusco il modo in cui emerge che Dick si ritrova quasi spaesato, senza un piano d’azione, a parte la pressante necessità di fare qualcosa. L’unica idea che gli viene - con gli occhi dell’altro fissi addosso e a brevissima distanza da lui - è baciarlo.
Non ci riflette su più del dovuto, la attua subito, e, nel modo in cui Jason se lo attira contro e risponde, individua la probabilità di non aver affatto compiuto una mossa azzardata.
«Cos’era questo?» Jason glielo soffia sulle labbra, poco dopo. Ha le mani posate una alla base della sua schiena e una sulla sua nuca, e Dick avverte la testa tanto confusa da non poter davvero formulare una risposta sensata e completa.
Ciò che desidera è rimanere in quel modo, dimenticare le ostilità e fingere che la situazione generale sia diversa, che non sta baciando un assassino - o uno spacciatore, o un delinquente qualsiasi - ma solamente Jay.
«Poi sono io quello che parla troppo, mh?» risponde, e gli appoggia la testa sulla spalla, prendendo a succhiargli il collo. L’altro emette uno sbuffo divertito e lo attira di nuovo a sé; impiega ancora qualche momento per lasciarsi completamente andare, come se non fosse interamente certo, come se temesse di fidarsi - ed è così, probabilmente, però Dick tenta d’ignorare questo aspetto, lo stringe solo più forte fino a che non cede.
E accade. Con le mani di Dick nei pantaloni appena sbottonati, la sua bocca sulla pelle e la schiena scomodamente appoggiata al mobile più vicino, Jason propone in un sussurro, «Andiamo di là?»
Dick permette ad un breve sorriso d’affetto di sfuggirgli, prima di sollevare lo sguardo, fissarlo sull’altro e annuire, «Andiamo.»
*
Probabilmente, considera, osservando il soffitto della camera da letto di Jason, questa sarà una di quelle notti che non dimenticherà facilmente. Probabilmente, questo costituirà la parte più problematica dell’affrontare la situazione, quando tornerà alla normalità.
Poiché, per quanto abbia cercato di illudersi e di fingere, Dick è certo che presto ognuno riprenderà il proprio posto, senza il minimo cambiamento: Nightwing sotto l’ala protettiva del Pipistrello e Red Hood dalla parte opposta della barricata, della linea.
È in grado di affermarlo già da ora, nonostante Jason sia ancora lì, nudo e sdraiato al suo fianco; è in grado di affermarlo a causa del gelo che è calato nella stanza e che non ha alcuna relazione con l’essere svestiti e coperti da un semplice lenzuolo.
Così, quando l’altro parla, mettendosi a sedere e dandogli le spalle, Dick ha già una precisa idea di cosa stia per dire.
«Credo che sia meglio che tu vada,» gli arriva infatti. E si ritrova a sospirare, rinunciando a ribattere, a tentare di cambiare i fatti, perché ha già capito dal suo arrivo in quella casa che sarebbe inutile - e, almeno, preferisce scongiurare lo scoppio di una nuova lite.
Si limita ad annuire, sedendosi a sua volta sul bordo del letto ed esaminando il pavimento, alla ricerca della propria biancheria e della tuta. Si riveste in silenzio - Jason che, senza essersi quasi mosso, lo evita accuratamente, fissando un punto imprecisato della parete che ha di fronte - e alla fine, quando è ormai pronto, continua ad indugiare nel sistemare gli ultimi dettagli.
Sta lisciando un’invisibile piega nel kevlar dei guanti, quando Jason si alza e, avvolgendosi il lenzuolo attorno alla vita, gli si avvicina. Per qualche momento, gli appare privo di difese - gli occhi più azzurri e intensi del solito, l’espressione limpida, semplice da decifrare, grazie alla fronte aggrottata per la preoccupazione - e lo stomaco di Dick si contrae, per il desiderio estremo di dare a quell’incontro una conclusione diversa.
Però, esattamente allo stesso modo, anche i suoi pensieri devono essere facili da comprendere, perché un mezzo sorriso rassegnato compare sul viso di Jason. Dura una manciata di secondi, poi lui scuote la testa e si allontana. «Il sesso è stato grandioso, Dickie, ma serve ben altro per sistemare le cose,» dice, il tono di voce nuovamente duro e inflessibile, che non ammette repliche.
Infatti Dick non trova nulla da obiettare; «Già,» concorda, invece, «ben altro.»
E, nel frattempo, riflette che ciò che basterebbe, in realtà, sarebbe essere individui differenti, cresciuti in modo differente, da una persona differente.
Non aggiunge una sola parola, quindi, e si dirige verso la finestra della stanza e la spalanca. Sente gli occhi di Jason perforargli la schiena tutto il tempo, eppure non si preoccupa di guardarlo, quando lo saluta. «Ci vediamo in giro, Jay,» mormora, prima di lanciarsi nel vuoto.