[Original] Necessario

Apr 09, 2009 22:36

Titolo: Necessario
Fandom: Originale
Beta: iosonosara
Postata il: 04/02/2008
Rating: Pg
Conteggio Parole: 946 (W)
Avvertimenti: Slash non grafico, Linguaggio colorito.
Disclaimer: I personaggi della storia sono miei, miei, miei. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è assolutamente casuale.
Note:
1. E’ passato molto, molto, molto tempo dalla mia ultima original. Questa qui è nata sul treno ed è stata cominciata un po’ di tempo fa; ho deciso di riprenderla in vista del compleanno della Chez, perché lei ama le original e io amo un po’ l’idea che è al fondo di questo racconto.
2. Piccola precisazione sui nomi. ‘Adam’ fa parte di uno dei miei nomi fissa, quelli che, in parte, compaiono sempre nelle mie original. Sia questo che ‘Benjamin’ sono venuti fuori dal nulla, ma non potrei vederne di più adatti a questi personaggi. Li lovvo, c’è poco da fare.
3. Scritta per il lovvosissimo e splendido compleanno di izzieanne. ♥


Necessario
Studio sull’abbandono.

L’uomo è seduto sulla poltrona, le gambe accavallate, i movimenti sempre curati e raffinati. Aspira da una sigaretta con noncuranza, osservando il fumo salire e disperdersi nell’aria come se non vedesse altro.
Il suo viso - tratti spigolosi, virili, ma ben definiti e decisamente piacevoli - è illuminato dalla luce del tardo pomeriggio che filtra dalla finestra alla sua destra.

Il ragazzo, seduto nella poltrona di fronte, si trova al buio, esattamente nel cono d’ombra provocato dalla libreria. Non se ne dispiace, non se ne rende nemmeno conto, a dire il vero, occupato com’è a torturarsi le maniche della maglietta che indossa. È rannicchiato su se stesso; la posizione lo fa sembrare più minuto di quello che è - e, per lui, nemmeno questo ha importanza. Un singhiozzo lo scuote, si morde la lingua per non fare troppo rumore e continua a fissare il pavimento, le cui trame si confondono alla sua vista annebbiata.

“Se avessi…” comincia. La voce trema, è incerta, sembra gli provochi sofferenza tirarla fuori.
“No,” dice l’uomo più grande, interrompendolo con tono deciso. Non lo guarda; espira il fumo e la sua attenzione è sempre rivolta al soffitto.
“Ma se io…” riprende il ragazzo, senza avere il coraggio di sollevare il viso.
“Non servirebbe.”
“…dire qualcosa di diverso, tornare indietro, magari. Se si potesse, allora…” prova a continuare, cercando - senza trovare - il filo logico per ricucire pensieri vaganti in una nube confusa.
“Non si può,” la negazione secca dell’uomo spezza definitivamente quel filo. I pensieri non hanno senso, non ne avranno. Quella voce assorbe tutto il senso presente nella stanza.

“Non è questione di ciò che hai fatto o non hai fatto,” continua Adam, l’uomo.
Parla lentamente, ogni parola che pronuncia pare soppesata, attentamente scelta tra tutti i milioni a sua disposizione - non c’è da stupirsi, di questo: lui è uno scrittore, lui, di parole, ci vive. “Si tratta di qualcosa che non si può evitare, un punto a cui sapevamo dall’inizio saremmo giunti.”

Il ragazzo viene scosso da un altro singhiozzo; resta in silenzio, non ha il coraggio di contraddirlo. Attende che lui riprenda.
“Devi solo imparare a lasciare andare.”
Quest’ultima frase gli dà la forza di sollevare il viso e di posare finalmente gli occhi - sgranati, arrossati, umidi - sull’uomo. “Come se fosse andare in bicicletta? Come se ci fosse un insieme di regole da seguire?!” sbotta.

È la prima volta che si permette di alzare la voce, con lui. E, quel momento di stizza, di rabbia, di ribellione, dura solo un breve istante; alla semplice occhiata colma di disapprovazione che Adam gli rivolge, il ragazzo torna a fissare il pavimento, tacendo nuovamente, sottomesso, privo di forza.

L’uomo lascia trascorrere un attimo di silenzio. Gli occhi restano sull’altro - che può sentirli, come due lame di ghiaccio sulla pelle. Quando riprende a parlare, la voce è calma e l’eventuale tono di rimprovero che Benjamin si aspettava, in realtà, non arriva. “Hai due possibilità,” comincia. “Lasciar andare o, semplicemente, essere lasciato.”

Di nuovo, il ragazzo solleva la testa, iroso. “E quale sarebbe la differenza? È sempre perdita.”
Adam aspira profondamente una boccata di fumo prima di rispondere, lo sguardo vaga di nuovo nella stanza. “Se lasci andare, l’odio, la rabbia passano più in fretta. Sarai meglio disposto ad accettare, perdonare, dimenticare.”
Termina la spiegazione e si china in avanti, per schiacciare la sigaretta nel posacenere di vetro posato sul tavolino tra le due poltrone.
“Cazzate,” mormora il ragazzo. Sa di suonare infantile e se ne vergogna - i suoi vent’anni suonati dovrebbero avergli conferito una certa maturità, ma, al momento, quella pare essere scivolata via insieme alle lacrime; non può evitare quel tono petulante, quanto non può evitare il nodo che gli stringe la gola.

“Come vuoi,” sospira l’uomo. Poi, sempre con gesti calcolati e mai affrettati, si rimette in piedi, rassettandosi i pantaloni e la giacca già perfettamente in ordine.
Quando se ne rende conto, Benjamin viene preso dal panico. Si alza in fretta, con un unico movimento che rischia quasi di fargli perdere l’equilibrio, la bocca aperta pronta per urlare qualcosa, e si ritrova Adam davanti, fermo, con le spalle dritte e le braccia lungo i fianchi.
Serra nuovamente le labbra, l’ira precipita dalla mente nello stomaco, affonda, e lui non la trova più. Con essa scompare anche il desiderio di aggrapparsi alle sue spalle e dirgli che non può andarsene, che ha bisogno della sua presenza, che deve piantarla di vivere come se tutto fosse un suo libro e la trama già fissata sulla carta, ormai immutabile.
Ma tace, l’ennesima lezione di vita datagli da Adam - l’ultima, quella che, tra tutte, ricorderà per sempre - brucia ripetuta nella testa, in contrasto con il suo sguardo freddo, distaccato.

L’uomo più grande solleva una mano, la appoggia sulla guancia del ragazzo, asciugando una delle lacrime rotolate giù dai suoi occhi. Non è un gesto d’affetto, non più; si tratta di un saluto, e quella lacrima è un ricordo.
“La scelta è tua,” è la sua ultima battuta, prima di uscire di scena, con passi lenti e una porta chiusa con cura alle proprie spalle.

È quel suono che sembra rianimare Benjamin, rimasto immobile e impotente fino ad allora.
Si lascia cadere indietro sulla poltrona, il viso nuovamente affondato nelle mani e i singhiozzi - più forti di prima, perché non hanno più ragione di essere trattenuti - gli scuotono il corpo.
Lasciar andare o essere lasciato: per lui, la differenza non esiste. Il senso di vuoto, lo stomaco aggrovigliato e le lacrime restano gli stessi, che le parole cambino o meno.

E l’odio, la rabbia, tutti i sentimenti che si aspettava arrivassero appena chiusa quella porta, sembrano inesistenti, risucchiati dal silenzio in cui la stanza, adesso, è immersa.

original: introspettivo, original, [2008], original: sentimentale

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