Titolo: In The Same Deep Water As You
Fandom: Oz
Beta:
eowie,
iosonosaraPostata il: 22/09/2007
Personaggi: Simon Adebisi, Kareem Said
Pairing: Adebisi/Said
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 1.278
Avvertimenti: Slash.
Disclaimer: I personaggi della storia non mi appartengono. Sono di proprietà di Tom Fontana, per tanto completamente frutto di fantasia, e vengono da me utilizzati non a scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.
Note:
Ambientata durante la puntata 4x08.
Il titolo è tratto dall’omonima canzone dei Cure.
Un enorme ringraziamento a iosonosara, per avermi aiutato a superare lo scoglio del bacio; la fic, di per sé, è stata già un parto, ma quel bacio mi aveva proprio bloccata. È Adebisi il mio vero problema, mi ci vorrebbe ancora un po’ per capirlo. Peccato che-- ah-ah, non posso più.
È destino che quando io mi innamori di una coppia, questa faccia una brutta fine. Non posso farci nulla!
E comunque: ehi, ci ho messo solo tre serie e otto puntate per cominciare a scrivere su Oz, non è un meraviglioso record?! :D
In the same deep water as you
*
And risk, you will risk,
you will risk all their lives and their souls.
And burn, you will burn,
you’ll burn in Hell, yeah, you’ll burn in Hell for your sins.
Our freedom is consuming itself,
what we’ve become is contrary to what we want.
~ Take a bow, Muse
*
È la terza volta che senti i passi dell’AC di ronda fuori dall’acquario e vedi l’alone luminoso prodotto dalla torcia elettrica scontrarsi con le tende. Dovrebbe essere circa l’una di notte, quindi, e ancora non riesci a dormire. Respiri profondamente e ascolti il silenzio che, dopo il passaggio dell’agente, è tornato a regnare. Respiri profondamente e attribuisci il senso di nausea insistente all’aria pesante e alla puzza di droga e sesso che ristagnano lì dentro da chissà quanto.
Chiudi di nuovo gli occhi e ti volti su un fianco, schiacciando la faccia nel cuscino, nella speranza di scaricare qualche pensiero fuori dal cranio, dove quelli continuano a vorticare e vorticare, senza darti tregua.
Ancora silenzio. E il Cosa devo fare? che sbatte come la pallina di un flipper sulle pareti della tua mente.
Il letto di sopra cigola e lo stomaco ti si stringe. Che sia sveglio?
Trattieni il fiato mentre senti ancora dei movimenti e poi vedi saltare giù Simon con un leggero grugnito. Si dirige verso il gabinetto e tu ti volti di nuovo, ritornando supino, fissando gli occhi sulle maglie del letto a castello, mentre Chiamalo e Taci combattono nella tua testa. Vorresti urlare e dire loro di finirla, ma servirebbe forse a qualcosa? Servirebbe forse a calmarti davvero?
«Non riesci a dormire, Imam?»
Sobbalzi nell’udire la sua voce e quel solito tono di scherno; ti sta guardando attraverso lo specchio sul lavandino, un sorriso storto sul volto, mentre il rumore dell’acqua che scorre rimbomba nell’acquario.
Chiudi gli occhi e te li stropicci con una mano. «No,» soffi fuori, un leggero sussurro.
Adebisi viene verso di te, senti il suo sguardo perforante sul viso, mentre proteggi il tuo con la mano per evitare che comunichi troppo, perché non vuoi che tutti quei dubbi, quei vortici di pensieri, fuggano all’esterno. E ti tradiscano.
«Hai paura che ti uccida del sonno?» sussurra, chinandosi verso il tuo letto e mostrando i denti.
Il tono è minaccioso, ma qualcosa nel tuo stomaco ti spinge a non credergli.
«No,» dici di nuovo, questa volta guardandolo fisso negli occhi, mostrandogli qualcosa che dalle tue labbra proprio non vuole uscire.
Lui ghigna, ancora, e tu deglutisci aria. Si china di più, invadendo lo spazio del tuo letto.
«Fai bene,» dice. «Siamo fratelli, noi, ormai. Alleati.»
Annuisci, senza riuscire a distogliere lo sguardo, anche se vorresti, anche se stai lottando per allontanarlo - per non chiedergli di avvicinarsi ancora.
«Già,» un altro soffio, tutto quello che riesci ad emettere.
Ti guarda ancora per un momento evitando di aggiungere altro, poi indietreggia e fa per risalire sul proprio letto. Ti muovi più velocemente di quanto ti aspettassi; in un attimo sei seduto sul bordo del materasso, i piedi piantati sul pavimento freddo e sporco e la mano sul suo polso. Serrata. Ad una sua occhiata interrogativa, lo attiri semplicemente verso il basso - verso di te, cosa diavolo stai facendo?
«Fallo,» sussurri semplicemente e la gola raschia per quanto è secca.
Si avvicina di più, è a un palmo dal tuo viso. «Cosa?» mormora.
Lanci uno sguardo rapido all’ingresso dell’acquario; le tende sono completamente tirate, celano l’interno alla perfezione e dall’esterno nessuno vi può vedere. Vorresti usare quello stesso tono autoritario che ti ha permesso di vincere numerose cause, quello che ti ha fatto guadagnare rispetto, che manda in crisi Arif e il resto del gruppo dei Mussulmani, quello che lascia perfettamente intendere cosa vuoi, perché detesti apparire debole, vulnerabile, incerto. Ma non ti riesce, sei incerto e la voce trema quando torni a guardare Adebisi, espiri e poi dici: «Baciami».
Il silenzio torna ad avvolgere tutto l’attimo dopo, come se si fosse trattato di un’unica folata di vento immediatamente dissolta. Preme sulle pareti, il silenzio, preme su di voi, sui tuoi pensieri, comprimendoli e mostrandoteli nella loro completezza; ti rendi conto di cos’hai appena detto, di ciò che implica, che sei ad un solo passo dal compiere lo stesso errore compiuto con Tricia Ross, solo peggiore, più grave, perché lui-
Ti bacia.
Senti le sue labbra sulle tue all’improvviso, sembra quasi che tu ti sia perso i passaggi intermedi - quando si è avvicinato così tanto, quando glielo hai permesso?
Stringi i pugni - rispettivamente una mano ancora attorno al suo polso e l’altra attorcigliata alle lenzuola - e cerchi di non sentire quei pensieri insistenti che hanno ripreso a muoversi sempre più in fretta, ma di concentrarti sulla sensazione della lingua di Simon che si insinua nella tua bocca, facendo una leggera pressione. Non fai resistenza e cedi allo strofinare delle vostre lingue l’una sull’altra, in un modo che è sì rude - più rude di qualsiasi bacio tu abbia mai dato finora - ma al contempo caldo - più caldo di qualsiasi bacio tu abbia mai dato finora.
E ti perdi, completamente; per qualche attimo, riesci persino ad ignorare i pensieri e abbandoni così tanto la ferrea morsa del tuo autocontrollo che un gemito ti si arrampica alla gola.
Eppure tutto questo non può durare a lungo, e lo sai benissimo. Perché la voce della coscienza non si è ancora spenta, sebbene ridotta ad un sottofondo appena udibile - e, per questo, ancor più fastidiosa -, e continua a ricordarti che quelle tende bianche non ti schermeranno certo dal tuo Dio, non ti nasconderanno dalla tua morale, dalla tua integrità.
Basta un gesto solo, infatti, perché l’autocontrollo ritorni al proprio posto e tu riguadagni il tuo statico equilibrio. Basta la mano di Simon che si appoggia saldamente sulla tua nuca, per farti appoggiare, a tua volta, la mano sulla sua spalla - e non per avvicinarlo. Lo spingi via e indietreggi sul materasso, tentando di mettere al più presto dello spazio tra voi, deglutendo furiosamente saliva nella speranza di far scivolare giù per la gola il suo sapore e dimenticarlo.
Ti guardi intorno - sciocco gesto istintivo per assicurarsi che nessuno vi abbia visto - evitando il suo sguardo confuso e vagamente irritato e poi scuoti la testa, cercando le parole adatte. Parole che non trovi.
«Nemmeno tu sai quello che cazzo vuoi, Said,» è la sua ammissione secca, pronunciata con lo stesso tono disilluso di qualche ora prima.
Si alza e allarga le braccia, continuando a guardarti. «E credi di essere migliore di me?» sbuffa sarcastico e scuote la testa lentamente. Poi salta sul proprio letto e tu non lo vedi più.
Ti stendi sul materasso e chiudi gli occhi, sperando di poter dimenticare tutto quello che è accaduto. Ma è inutile, e, purtroppo, ancora una volta ne sei cosciente. Ascolti in silenzio il cigolio delle molle sotto il suo peso, mentre si sistema; ti volti su un fianco, fissi il muro e stringi il cuscino tra le mani, tentando di scaricare il nervosismo.
Ed è allora che, sotto la guancia, avverti lo spigolo della custodia della cassetta, che hai infilato lì sotto appena lui te l’ha data. La senti ed è come un pungolo fastidioso per la tua anima, più che per il tuo corpo. La senti e non osi spostarla, non osi toccarla, perché ti ritrovi di nuovo ad un bivio senza la più pallida idea di cosa fare. La cosa giusta sarebbe la soluzione - ma qual è la cosa giusta?
E ricordi come in un flash il suo sapore, quel maledetto bacio e - mio Dio, cos’hai fatto, Kareem?
Dovresti pregare, dovresti scivolare in ginocchio e metterti ad implorare Allah di perdonarti, di dimenticare, convincerlo che è stato un futile errore di nessuna importanza.
E poi, di nuovo lo spigolo della cassette nella guancia. E la soluzione, l’unica, possibile soluzione, l’unico gesto che consentirà la redenzione, a lui, a te, ad entrambi.
Consegnerai la cassetta al direttore - perché solo così sarà salvo, solo così lo salverai. Solo così ti salverai.