Titolo: Make Me Bad
Fandom: Oz
Beta:
iosonosaraPostata il: 28/12/2007
Personaggi: Simon Adebisi, Kareem Said
Pairing: Adebisi/Said
Rating: Nc17
Conteggio Parole: 997 (W)
Avvertimenti: Slash, Scene di sesso descrittive, Linguaggio
Disclaimer: I personaggi della storia non mi appartengono e vengono da me utilizzati non a scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.
Note: Scritta per il
P0rn Fest di
fanfic_italia, prompt: Oz, Adebisi/Said, violenza.
Ambientata durante la puntata 4x08.
Titolo dall’omonima canzone dei KoRn e da
iosonosara.
Make Me Bad
È Said a chiederglielo.
Simon resta per un attimo perplesso, smette di succhiargli la spalla e solleva la testa, puntellandosi sul materasso che cigola al cambiamento di peso.
“Cosa hai detto?” chiede, fissando attentamente il profilo di Kareem.
“Non prepararmi,” ripete l’altro. Il suo sguardo, concentrato su un punto qualsiasi del muro che ha davanti, è fermo e determinato. È come se fosse ad una delle sue fottute cause e non disteso su un letto, nudo, sotto l’uomo che ha appena pregato di scoparlo - nonostante i discorsi di qualche ora prima, nonostante, Simon lo sa bene, la cassetta che gli ha consegnato sia ben al sicuro tra i suoi effetti personali.
Adebisi scuote la testa e soffia fuori aria, divertito.
“Farà male,” sussurra al suo orecchio, sfiorandogli il lobo.
Said rabbrividisce - lo vede chiaramente - e si bagna le labbra. “Non a te,” è la sua sola risposta.
Simon gli appoggia una mano sul viso e lo fa voltare; è un gesto brusco e non può evitarlo, perché la frustrazione sta aumentando, dovuta a quel netto contrasto tra la sensazione che è esattamente così che dovrebbe essere e quella che, al contrario, sia tutto sbagliato. Lo guarda attentamente e sibila, tagliente e deciso, “Non è come una delle mie puttane che voglio scoparti, Kareem.”
I suoi occhi, però, sono altrettanto decisi; lo sguardo è intenso, autoritario, come se non stesse effettivamente chiedendo, ma ordinando. È quello sguardo per cui l’ammira e, davvero, in questo momento Adebisi non vorrebbe avere così tanti punti deboli.
Said gli stringe il braccio e non ha bisogno di parlare per esprimere nuovamente quella richiesta. E lui non può che cedere, sconfitto o forse vittorioso, non sa dirlo.
“Come vuoi,” mormora, e si sposta di nuovo; scivola tra le sue gambe già aperte, appoggia il torace in parte sulla sua schiena e si prende l’erezione in una mano, direzionandola verso l’apertura asciutta e stretta di Kareem. Si china nuovamente sulla sua spalla e gli bacia la pelle liscia, succhiandola, mentre l’altro non può evitare di gemere di anticipazione quando sente la punta dell’uccello sfregare nel solco tra le proprie natiche.
Simon respira a fondo e poi, mordendosi le labbra, comincia a penetrarlo lentamente.
È stato Said a chiederglielo.
Gli ha chiesto violenza perché è tutto quello che sente di poter gestire, al momento. Il senso di colpa per quello che sta facendo è talmente acuto e tagliente che ha bisogno di qualcosa in grado di controbilanciarlo. Qualcosa di altrettanto forte, prorompente.
E il dolore che avverte nel momento in cui Simon entra dentro di lui - gradatamente, perché, forse per la prima volta nella sua vita, a lui importa dell’altro - è quanto di meglio possa chiedere. La sensazione è lacerante, invadente, e deve affondare profondamente i denti nelle labbra per non urlare; eppure ne ha bisogno. Vuole quella violenza per non lasciare spazio al piacere, perché preferisce concentrarsi sul bruciore, invece che sull’uccello di Adebisi che lo penetra centimetro per centimetro.
Così si aggrappa al bordo del materasso e solleva il bacino, spingendo leggermente indietro, per invitare Simon ad arrivare a fondo, pregandolo silenziosamente di non fermarsi. I suoi muscoli cedono dolorosamente all’intrusione, fino a che, con un grugnito, Adebisi non affonda completamente in lui, l’uccello sepolto dalla punta alla base.
Said si stupisce di come il suo senso del tatto sia spaventosamente acuto; riesce a sentire l’altro uomo ovunque, non solo dentro di sé, ma anche fuori - il suo peso sulla schiena, il suo respiro sempre più affannato sul collo e la sua mano che, lentamente, si fa strada fino all’inguine. Spinge di nuovo indietro, con irruenza, perché Simon si è fermato e non vuole; chiede frenesia, chiede velocità, che tutto finisca in fretta e il danno - irreversibile e indimenticabile - sia fatto.
“Cazzo,” mormora Adebisi, in risposta al suo movimento; e comincia a sfilarsi da lui, già più veloce di prima, pronto a riaffondare, a scoparlo a fondo - un’occasione del genere non gli ricapiterà mai più, probabilmente, vuole fottutamente godersela.
Le sensazioni irrompono nella testa di Said come un fiume in piena; sono troppe e troppo forti e, quando si ritrova a percepire Simon uscire da lui quasi del tutto e poi rientrare in un’unica spinta, crede di non poterle reggere. Il dolore è ancora forte, gli fa stringere i denti, ma, sotto di esso, ha avvertito chiaramente una scarica farsi strada fino al proprio membro, che è scattato retto e pulsante tra le dita di Adebisi - piacere, piacere che non vuole e che non può permettersi.
Solleva il bacino e asseconda le sue spinte violentemente e poi sussurra, “Più forte.”
L’altro non può che obbedire, ormai privo quasi del tutto di controllo; i movimenti sono più fluidi, adesso, grazie alla lubrificazione del sangue, delle prime gocce di sperma e del sudore, allora Simon lo scopa più forte, proprio come gli ha chiesto, e lo masturba allo stesso ritmo.
Said non può fare a meno di gemere il più silenziosamente possibile ad ogni affondo. Vorrebbe fare come lui, pensa, vorrebbe essere capace di spegnere il cervello e abbandonarsi alle sole sensazioni fisiche, ma non può. La sua ragione è costantemente lì a fargli compagnia e sa benissimo che, quando questo sarà finito, dovrà lottarci aspramente per non soccombere.
Sente Simon tendersi e i suoi colpi farsi più secchi, ma nemmeno quando avverte il fiotto caldo di sperma schizzargli dentro riesce a spegnere il cervello; pensa che, di lì a poco, l’altro si allontanerà da lui e lo lascerà lì per tornarsene a letto, e se ne sorprende quando non succede, quando Adebisi continua a muovere la mano su di lui, finché non lo fa venire.
Solo allora, mentre il liquido bianco macchia le lenzuola, la ragione di Said sembra finalmente abbandonarlo. Ed è sempre allora, quando Simon si china su di lui ancora una volta per baciargli il collo, che la sua colpa gli appare chiaramente davanti agli occhi in proporzioni colossali.
Il dolore non è servito a ridurla, ne sarà sicuramente necessario dell’altro.