Titolo: Running in circles
Personaggi: Remus Lupin, Severus Snape
Rating: PG15
Parole: 4.783 (Word)
Prompt: "Io non riesco a fidarmi di nessuno. E' per questo che nessuno si fida mai di me. E' questo il modo più facile di vivere." (Wolf's Rain) della
GFE Challenge di
cuorefreddo.
Avvertimenti: angst, missing moments (collocabili nello spazio di tempo che va dal III libro fino al VII), pre-slash (molto 'pre' e poco 'slash', ma libere di interpretarlo come volete :D), violenza non descrittiva.
Note: è stato difficile. Tanto difficile. Perché non sapevo dove volevo andare, nonostante fosse piuttosto chiaro che da qualche parte dovevo pure andare! La prima versione di questa roba stava venendo fuori troppo comica per poter davvero parlare di questi due omini e, soprattutto, c'era troppo Sirius (non lo faccio apposta, è lui che esce fuori e... E fa un po' come gli pare ç_ç ed infatti ho dovuto picchiarlo molto per scrivere questa ff. A volte ho dovuto picchiare anche me stessa, perché ho messo certe cose in bocca a Remus - su, sciocchine, non pensate male - che praticamente negano il mio amato Wolfstar! Ah! Remus che nega sè stesso, praticamente!).
Alla fine: questo è quello che è uscito, ma devo ammettere che non mi dispiace per niente ♥
Devo ringraziare tantissimissimo le canzone dei Coldplay che mi hanno fatto compagnia e soprattutto dato la forza per continuare a scrivere (un paio di titoli:
God put a smile upon your face,
The Scientist): sono praticamente la colonna sonora della fic ♥
I was just guessing at numbers and figures
Pulling your puzzles apart.
Running in circles, chasing tails,
And coming back as we are.
Nobody said it was easy,
Oh, it’s such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No one ever said it would be so hard.
(The Scientist - Coldplay)
Dicembre 1993
Appena annunciata la sua presenza dietro la porta chiusa con un unico toc, Severus entrò nella stanza, gelido ed impassibile come sempre.
Lui sorrise, distogliendo l’attenzione dal libro che stava sbirciando per preparare la sua prossima lezione, e si alzò per andare incontro al suo ospite; questi però si limitò a posare sul tavolo il calice con la pozione fumante, per poi dirigersi di nuovo verso la porta.
“Vuoi accomodarti, Severus?” Domandò comunque Remus, con un sorriso cortese. L’altro gli lanciò un’occhiata sprezzante, ma si fermò sull’uscio. “Per una volta potresti anche accettare un tè.” Proseguì il licantropo, avvicinandosi alla teiera ancora calda e versandone il contenuto in una tazzina.
“Bevi in fretta la pozione, Lupin. Non ho alcuna intenzione di rifarla.” Lo avvertì Snape, voltandosi a guardarlo, senza tuttavia fare il minimo gesto di prendere la tazza che gli veniva offerta.
Remus rise piano. “Non è avvelenato, Severus. Nonostante tu abbia sempre creduto il contrario, non ho motivo di volerti nuocere.” Detto ciò, posò il tè sul tavolo e prese la sua pozione. La rigirò fra le mani per un po’, poi si decise a berla in lunghe sorsate; quando ebbe finito, rimise il calice sul ripiano e fece una smorfia stomacata. Notò allora che Severus si era accomodato su una delle poltrone accanto al camino acceso e sorseggiava distrattamente dalla tazza che gli aveva offerto, osservandolo con gli occhi stretti.
“Non c’è un modo per rendere la pozione meno disgustosa?” Domandò il licantropo in tono colloquiale, sedendosi di fronte all’altro.
Snape gli lanciò un breve ghigno sdegnoso, prima di rispondergli. “Non fare domande sciocche, Lupin. Anche se ci fosse un modo, non lo userei per renderti la pillola più dolce.”
“Già, avrei dovuto immaginarlo.” Sorrise l’altro rassegnato, ma i suoi occhi brillavano di uno strano divertimento. Osservò l’uomo di fronte a lui per un po’, in silenzio, ancora sorpreso che fosse effettivamente seduto nel suo salotto a sorseggiare il tè che così tante volte aveva bruscamente rifiutato. “Mi fa piacere che finalmente tu abbia accettato di restare.”
“Non cambia nulla, Lupin.” Gli rispose il collega, in tono secco e pungente. “Continuo ad avere i miei sospetti su di te, nonostante pare sia l’unico a crederti capace di star aiutando qualcuno.”
“Ho più motivi di quanti pensi per voler rivedere Sirius chiuso ad Azkaban, Severus.” Il tono di Remus si fece improvvisamente duro, ma la sua espressione rifletteva solo esasperazione. Sapeva bene che quella non sarebbe stata l’ultima volta che gli sarebbe toccato di dover affrontare quei sospetti sul suo conto.
“Ma davvero…” Mormorò semplicemente Snape, in tono apparentemente piatto; a Remus però non sfuggì affatto tutto l’astio racchiuso in quelle due parole.
“Già.” Rispose il licantropo dopo qualche attimo di silenzio. Per quanto lui potesse avere ottime ragioni per volere che Sirius tornasse ad Azkaban, Severus ne aveva almeno altrettante per dubitare di lui. “Ma qualsiasi cosa dica non ti convincerà a credermi, non è così?”
“C’è davvero bisogno che risponda?” Lo sguardo di Snape sembrava volerlo trafiggere, ma non scalfì affatto il sorriso rassegnato che era dipinto sulle labbra di Remus.
“No. Non davvero. Ma mi piacerebbe che tu ti fidassi…”
“Io non riesco a fidarmi di nessuno. E' per questo che nessuno si fida mai di me. E' questo il modo più facile di vivere.” Fu la risposta secca di Severus, detta senza alcuna inflessione della voce, un attimo prima che si alzasse e si dirigesse a passo deciso, ma non affrettato, verso la porta. “I tuoi tentativi sono solo un’enorme perdita di tempo. Forse ho sempre sopravvalutato la tua intelligenza, pensando che riuscissi a capire la differenza fra l’essere testardi e l’essere ostinatamente idioti.”
Non aggiunse altro prima di uscire della stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Remus rimase seduto sulla poltrona, domandandosi quanto potesse avere ragione sul modo più facile di vivere. Non fidarsi di nessuno non era una soluzione - eppure lui, lui che si era sempre fidato di Sirius era quello che in quel momento soffriva per il tradimento.
Sorrise di nuovo, rassegnato: Snape aveva probabilmente ragione sul suo essere ostinatamente idiota.
*
Giugno 1994
“Sapevo che saresti venuto.” Disse distrattamente Remus, tirandosi dietro la valigia. “Sei venuto a dirmi che hai fatto bene a sospettarmi. Sei venuto qui per sentirti soddisfatto di te stesso e dei tuoi dubbi, ma devo avvisarti, Severus: se speri di vedermi distrutto e disperato avrai una grossa delusione.”
“Avrei preferito evitare di vedere un criminale andarsene via impunemente, ma sembra che il Preside sia troppo occupato a… fare il gran burattinaio per poterti vedere andar via. Voglio solo assicurarmi che non ci siano ulteriori… problemi, durante la tua partenza.” Gli occhi di Snape erano ridotti a due sottili fessure, eppure era chiaro che l’uomo non stesse facendo alcuno sforzo per contenere l’astio e la soddisfazione che chiaramente trapelavano dal suo sguardo.
Remus rise, sinceramente divertito da quella spietata sincerità, che forse avrebbe dovuto dargli solo un po’ più fastidio, ma in fondo conosceva l’altro e non lo biasimava per essere così duro. “Se solo sapessi, Severus…”
“Non provarci. Non funziona.”
“No, non con te. Con te non ha mai funzionato.” Il sorriso sulle labbra del licantropo era imperturbabile, come se glielo avessero stampato sulle labbra e non fosse possibile lavarlo via in nessun modo. “Da quanto tempo volevi toglierti il sassolino dalla scarpa? Quanti anni sono passati dall’incidente? Quasi venti?”
“Incidente? Ti riferisci al tentato omicidio ai miei danni? Mi sorprende che allora tu non ti sia reso conto d’avere a che fare con un assassino.” Rispose a denti stretti l’altro.
“Puoi dire qualsiasi cosa su Sirius, in questo momento. Sei pienamente giustificato e non ti biasimo per aver accidentalmente divulgato la notizia su di me.” Il licantropo sorrise ancora. “Probabilmente io avrei fatto lo stesso.”
“No, non l’avresti fatto. Tu vuoi sempre essere irritantemente cortese… Ah, ma tu sei irritantemente cortese.” Commentò asciutto Severus, le braccia incrociate sul petto a nascondere la bacchetta ben stretta nella mano. “È il tuo modo per spingere gli altri a fidarsi di te.” Le labbra sottili si piegarono leggermente all’insù, in un ghigno fintamente divertito. “Chi l’avrebbe mai detto che sai essere così subdolo, Lupin.”
Remus si limitò a scuotere la testa, continuando a camminare verso l’uscita dal castello; quando raggiunse il portone, con Severus ancora alle calcagna, si voltò a guardare l’altro. “Non pretendo che le persone si fidino di me.”
“Ah, no?” Fu il commento caustico di Snape.
“Nonostante tu possa credere il contrario…” Il licantropo sollevò le spalle, lasciando la frase incompleta. “Ma io mi fido. Non di tutti, sarebbe da sciocchi; ma ho un’incrollabile fiducia nelle persone che se la sono guadagnata.”
“Presumo che Black rientri fra queste…”
Remus si limitò a sorridere, tendendo poi la mano verso di lui; Snape non diede segno di voler contraccambiare e così l’altro scosse la testa, rassegnato, ma ancora sorridente. “Nonostante tutto, penso sia rassicurante vedere come certe cose non cambino mai. Anche se a volte i cambiamenti sono necessari.”
Forse parlò solo al vento - Severus non commentò in alcun modo quella riflessione. Ormai con le spalle al castello, Lupin s’incamminò fuori dallo scudo d’incantesimi che proteggeva Hogwarts per Smaterializzarsi.
*
Giugno 1995
“È vero, allora?” Domandò Remus, ancora prima che l’altro di sedesse di fronte a lui.
“Non capisco ancora per quale motivo mi hai fatto venire qui, Lupin.” Il tono di voce di Severus era più brusco del solito, come se volesse essere da tutt’altra parte. Era forse disagio quello che leggeva nella sua espressione corrugata?
“Silente è eccessivamente evasivo con le risposte. Ho avuto solo una riga da lui, in cui mi avvertiva di due cose.” Il licantropo piantò gli occhi in quelli dell’altro, in un silenzio conscio; Snape ricambiò l’occhiata il tempo che ritenne necessario per far comprendere al suo interlocutore che non aveva timore di reggere il suo sguardo. Poi si guardò intorno con aria vagamente tesa, ma apertamente sospettosa.
“Questo è un posto sicuro.” Lo rassicurò Remus, lanciando un’occhiata distratta al bancone vuoto e al locale senza avventori. La Testa di Porco era davvero un posto strano, ma abbastanza sicuro.
Severus fece una breve smorfia divertita. “Se questo pub ha una qualità, è sicuramente quella della… riservatezza. Ma puzza.”
Il licantropo sorrise divertito, poi tornò serio con una velocità ed una naturalezza che in molti avrebbero trovato inquietanti, ma che l’insegnante di Pozioni trovò solo piuttosto bizzarre, in qualche modo curiose. “La Gazzetta non dice molto. Parla di un incidente, ma non è così, vero? Il ragazzo - Cedric Diggory - è stato ucciso da Voldemort.”
“Non da lui in persona, ma sì.” Rispose evasivamente l’altro, per poi guardarlo con ironia. “Sei un uomo tutto sommato sveglio, Lupin. Non vedo perché tu mi abbia chiamato, visto che sembri avere già tutte le risposte alle tue domande.”
“Voglio una conferma.”
“Il messaggio di Silente era la conferma.” Precisò Snape, con un sorrisetto di scherno.
“Volevo la tua conferma.”
L’altro uomo sollevò un sopracciglio, con espressione stranita. “Da quando ti interessa… Ah, mi correggo: hai una spiccata propensione a farmi perdere tempo inutilmente, Lupin, pertanto non dovrei essere sorpreso del fatto che tu abbia sentito l’insano bisogno di contattare me per avere una conferma.”
“Ho sempre tenuto molto in considerazione la tua opinione, Severus.” Disse semplicemente Remus, intrecciando le dita e posando le braccia sul tavolo.
“Ah!” Fu l’unica risposta del suo interlocutore, cui seguì un breve attimo di silenzio. “Immagino che ora io possa andarmene. Ho cose più importanti da fare, come penso tu sappia.”
L’altro sorrise. “La mia compagnia ti è ancora indigesta nonostante ormai sia chiaro che combattiamo insieme?”
“Lascia che ti illumini, Lupin: noi non combattiamo insieme.” Puntualizzò Severus, con espressione solenne e rigida.
“Quantomeno dalla stessa parte.” Insistette il licantropo, continuando a sorridere imperterrito.
“Continuo a non fidarmi di te-”
“Se non ti fidassi, ora non saresti qui.” Remus sorrise di nuovo ed il fatto che fosse chiaro che non lo stava sbeffeggiando - come forse avrebbe dovuto fare - indispose ancora di più l’altro; era palese e per un attimo pensò d’aver sbagliato a rivelargli che aveva mostrato il fianco. Snape era un uomo estremamente schivo, estremamente difficile da gestire, lo sapeva, eppure tentava comunque di avvicinarlo. “Perdona la mia presunzione.” Aggiunse mormorando ed abbassando lo sguardo; fargli pensare che avesse ancora il controllo della situazione forse era l’idea migliore.
“Piantala di fare il remissivo, Lupin. Sappiamo entrambi che non lo sei.” Scandì il professore di Pozioni, incrociando le braccia come se si fosse trovato davanti ad un compito mal riuscito. “Tu non volevi una conferma.” Aggiunse poi, dopo pochi attimi di silenzio. “Tu volevi sentirti dire che ho sbagliato a giudicarti complice di un assassino; che ho commesso un errore a non fidarmi di te.”
“Non potrei mai.” S’affrettò a rispondere Remus, scuotendo la testa con veemenza. “Non potrei mai, lo sai. Avevi tutto il diritto di sospettarmi e so che l’hai fatto per il bene degli studenti… Per il bene di Harry.”
Severus fece uno sciocco con la lingua, alzando gli occhi al cielo, ma non disse nulla - almeno non subito. “Pretendi forse delle scuse da me?”
“Non pretendo nulla da te, Severus. Volevo solo dirti che mi fido di te, ma questo non vuol dire che tu debba ricambiare.”
Dopo quelle parole, Snape rimase in silenzio a fissarlo con espressione apparentemente arcigna; in realtà, quello era il solito cipiglio della sua espressione neutra. L’altro sorrise rendendosi conto che lo conosceva talmente bene da riuscire a decifrare anche quei piccoli particolari; non che si fosse impegnato a studiarli, semplicemente li capiva. Ma questo non escludeva la possibilità di commettere errori; Severus era come un campo minato: nonostante Remus sapesse che c’erano delle bombe (e magari sapeva anche dove), non aveva una mappa e non sempre riusciva ad evitarle. Si domandava, ogni tanto, se esistesse qualcuno capace di arrivare dall’altra parte del campo del tutto incolume.
“Presumo,” disse il Pozionista, dopo quel lungo momento di silenzio, “che Silente vorrà che io ti rifornisca ancora di Pozione Anti-Lupo.” Considerò, guardandolo negli occhi eppure quasi evadendo il suo sguardo - qualcosa che solo lui era capace di fare: intimorire per non lasciarsi intimorire.
“Suppongo che Albus potrebbe farti una proposta simile.”
“Proposta non è il termine corretto.”
Remus sorrise. “Te ne sarei molto grato.”
“La tua gratitudine, Lupin, mi è del tutto indifferente - per non dire meglio: sgradita. Non lo faccio per gentilezza.” Precisò l’altro uomo, con un cipiglio infastidito.
“Non puoi semplicemente accettarla?” Tentò il licantropo, con un sorriso mite.
Severus lo fissò con sguardo valutativo: con le braccia incrociate e quell’espressione severa sembrava davvero intento a stimare la pozione di uno studente particolarmente imbranato - Neville Paciock, probabilmente.
“Trovo francamente irritante il fatto che tu continui a mostrarti così cortese nei miei confronti, quando sai perfettamente non riceverai nessuna gentilezza da parte mia.” Poi fece un breve ghigno derisorio. “Ed il fatto, Lupin, è che lo fai con chiunque. Ora, ho due ipotesi a riguardo, una più denigratoria dell’altra, ma immagino tu sappia che non te le risparmierò.” Aspettò solo un attimo prima di proseguire il suo discorso - ma comunque Remus non aveva alcuna intenzione di ribattere. “La prima: sei un gran masochista.”
Il licantropo rise di cuore davanti a quell’affermazione, ma l’altro restò imperturbabile ad aspettare che l’attacco d’ilarità scemasse.
“Nonostante tu soffra puntualmente ogni mese… Ah, ma forse è per questo che lo sei. I masochisti non vogliono sempre maggior dolore?” Non voleva una vera e propria risposta, pertanto Severus riprese presto il suo discorso. “Oppure - e questa è la seconda ipotesi - sei un codardo che si nasconde dietro sorrisi cortesi e gentilezza verso chiunque per paura di restare solo.”
Il sorriso di Remus non vacillò nemmeno per un momento - solo un leggero tremito del labbro inferiore indicò che quelle parole non gli erano del tutto indifferenti; fu solo un breve scatto, ma l’altro riuscì ad intercettarlo.
“Perciò, Lupin, delle due l’una: masochista o codardo?”
“Hai proprio bisogno di una risposta, Severus?” La voce del Grifondoro si mantenne bassa come lo era stata per tutta la conversazione, ma i suoi occhi fuggirono lo sguardo penetrante e gelido del suo interlocutore.
“Oh no, Lupin. Non ne ho davvero bisogno. So cosa sei e non dovrei restarne deluso, perché sono anche consapevole d’averti sempre sovrastimato.”
“Mi lusinga il fatto che t’interessi così tanto a me.” Considerò il licantropo, alzando le spalle.
Il Serpeverde sollevò le sopracciglia, fingendo stupore. “Interessarmi a te? Che idea bizzarra, Lupin.” Commentò, alzandosi dal tavolo con un movimento lento, ma imperioso - come se non avesse alcuna fretta d’andarsene. “Temo che ci rivedremo presto.” Aggiunse, incamminandosi verso l’uscita.
Fu solo quando sentì la porta chiudersi, che Remus tornò a respirare; guardò la sedia vuota di fronte a lui e poggiò la fronte contro una mano. “Oh, non immagini nemmeno quante idee bizzarre abbia, Severus…”
*
Giugno 1996
La stanza della Stamberga era polverosa e scricchiolante come sempre; i mobili erano tutti rotti e la porta recava evidenti segni d’artigliate. La maniglia penzolava pericolosamente verso l’interno della stanza, ma a parte le unghiate e l’odore pungente di sangue niente faceva presumere che lì si fosse nascosta una Creatura Oscura.
Con espressione assolutamente impassibile, Snape passò oltre quei segni violenti e si avvicinò alla figura rannicchiata in un angolo della stanza, visibile appena nella penombra di quell’alba uggiosa. Si fermò proprio davanti a lui, i suoi piedi a pochi centimetri dalle gambe pallide e segnate da graffi e lividi; il braccio destro era piegato in modo innaturale ed era ricoperto di sangue rappreso, ma a parte quello non sembravano esserci altri danni - almeno non danni visibili.
“Lupin?” L’espressione imperturbabile venne momentaneamente tradita da un leggero tremito della voce, appena percepibile.
L’uomo a terra non diede segno d’essere cosciente, quindi Severus si inginocchiò a terra e prese ad osservare il braccio torto, iniziando poi a curarlo. Solo dopo qualche minuto Remus si mosse molto lentamente ed aprì gli occhi, rossi di stanchezza e offuscati da un dolore diffuso in tutto il corpo.
“Severus…” Biascicò rocamente, cercando poi di inumidirsi le labbra secche.
“Hai preso la pozione?” Domandò l’altro, continuando a medicarlo.
Il licantropo fece vagare lo sguardo intorno a loro, come confuso da qualcosa; poi li riportò sull’uomo che lo stava curando e fece un lungo sospiro - più simile al rantolo di un moribondo, che al respiro di una persona.
“La pozione, Lupin.” Gli ricordò Snape, guardandolo per un solo momento negli occhi, sempre con espressione rigida ed imperturbabile.
“Sì…” Mormorò l’altro, chiudendo gli occhi. “L’ho presa…” Rispose, per poi piegare le labbra in una specie di ghigno affranto. “Non è servita a granché…”
“Spiegami, Lupin: avevi intenzione di ammazzarti?”
“No. Io no.”
A quella risposta seguì un lungo silenzio consapevole: la conclusione della frase era ma il lupo sì.
Severus gli lanciò un’occhiata pungente, studiando la sua reazione: sapeva fin dove poteva spingere il limite con un Remus sano, ma non era certo di quanto potesse oltrepassare la soglia con uno quasi moribondo.
“Molto romantico, Lupin.”
Tentare di raggiungere il tuo amico Black. Ecco cosa mancava a quella frase, ma le parole se le tenne incollate alla lingua, perché non aveva davvero voglia di pronunciare quel nome.
Il licantropo fece una specie di risata, ma non commentò. L’insegnante di Pozioni proseguì la sue cure nel silenzio scricchiolante della Stamberga; il mondo fuori sembrava di un’inconsistente grigiore, pronto a sfaldarsi al primo fiato, ma il mondo in quella stanza sembrava ancora più fragile e impalpabile.
“Perché sei qui?” Domandò infine Remus, quando finalmente il suo braccio tornò ad una posizione consona all’articolazione.
Snape non lo guardò, consapevole dell’espressione fissa dell’altro. “Albus ha pensato che avresti avuto un risveglio difficile.”
“Albus non può aver mandato te per consolarmi.”
Non c’era davvero bisogno di chiedere di cosa dovesse essere consolato. “Non sono qui per confortarti, Lupin. Sono qui per guarirti: ti sei quasi staccato il braccio a morsi.”
“A quello poteva pensare Madama Chips.”
“Era occupata.”
“Davvero? Con gli studenti ormai tornati a casa non c’è molto da fare…”
Il Serpeverde non disse nulla, continuando a controllare ogni centimetro di pelle, ogni muscolo, ogni osso; infine afferrò il mantello che aveva portato con sé, coprendo l’altro uomo con cura.
“Ho pensato,” sussurrò Remus all’improvviso, mentre Snape era intento ad avvolgerlo nel tessuto caldo del manto, “scioccamente, un attimo prima della trasformazione… che forse sarei finalmente morto anch’io.”
Le labbra di Severus si arricciarono impercettibilmente, mentre la sua espressione si faceva più accigliata. “Toccante…”
Lupin sorrise. “Ti sembra così patetico?”
“Sei oltre il limite della pateticità. Sei arrivato al ridicolo.” Rispose impietoso l’altro, senza guardarlo.
“Tu hai sempre avuto un’immagine distorta del mio rapporto con Sirius…”
“Eravate più imbarazzanti dei coniugi Weasley.”
Era quello il confine invalicabile?
“Eravamo…” Mormorò Remus, chiudendo stancamente gli occhi, per poi riaprirli con un sorriso. “Ma vedi? Ho ragione: hai sempre avuto quest’immagine di me e lui… Così sbagliata, così sbagliata…” Rimasero in silenzio per qualche attimo dopo quella frase, ma il licantropo riprese a parlare prima che l’altro potesse farlo. “Mi sento meglio, ma non penso di riuscire a camminare. Potresti accompagnarmi ad un letto, Severus?”
Snape lo aiutò ad alzarsi in piedi, sostenendolo ed incamminandosi verso il tunnel che li avrebbe riportati nel cortile di Hogwarts, davanti al Platano Picchiatore.
“Un letto nella Stamberga andava bene lo stesso.”
“Piantala. Albus mi ha mandato…”
“Albus non ti ha mandato.”
Calò di nuovo il silenzio; gli scricchiolii della Stamberga li accompagnarono fino al passaggio segreto, poi furono i vaghi fruscii delle loro vesti e dei loro mantelli a fare da sottofondo, insieme ai loro respiri.
Quel ‘sei venuto da solo’, però, rimase ad incombere su di loro.
*
“Non pensavo saresti venuto a trovarmi.” Sorrise Lupin, ancora a letto, quello stesso pomeriggio.
“Non sono venuto a trovarti.”
“Il Professore si sente in colpa per non essersi accorto dell’emorragia interna. È per questo che avevo insistito a venire io, stamane.” Intervenne Madama Chips, controllando il suo paziente con cura.
Severus non disse nulla e Remus si sforzò di nascondere un altro sorriso. “Sto bene, davvero…”
“Ah, ti conosco da quando avevi undici anni, ragazzo! Diresti di star bene anche con la testa al contrario, tu!”
L’insegnante di Pozioni fece un piccolo sogghigno quando il licantropo si arrese finalmente a tutte quelle premure; quando infine l’infermiera si fu allontanata i due si guardarono con cautela, come a studiare la prossima mossa da fare per arginare quella dell’altro.
Il primo a parlare fu Snape. “Hai davvero preso la pozione?” Chiese scandendo bene le parole, parlando con lentezza e fissando l’altro dritto negli occhi.
Remus fece un sospiro, poggiando la testa sul cuscino alle sue spalle. “L’ho bevuta. Forse ho aspettato un po’ troppo a farlo.”
“Sai perfettamente che non funziona se la si assume fredda.” Affermò l’altro con veemenza, incrociando le braccia e accigliando ancora di più l’espressione.
“Lo so.”
“Così,” proseguì il professore, facendo un breve ghigno privo di qualsiasi ilarità, “lo hai davvero fatto apposta.”
“Non era voluto. Ti ho spiegato che non avevo alcuna intenzione di-”
“Come se tu e il licantropo foste due entità separate, Lupin?” Severus fece un sogghigno ironico. “La stupidità dei tuoi amici ti ha davvero spinto a credere che ‘Moony’ sia qualcosa di diverso da te. Patetico.”
“Non ho la presunzione di riuscire a spiegartelo, Severus.” La voce di Remus era stanca e amareggiata ed il sospiro che seguì quella frase fu altrettanto penoso. “Se sei qui per rimproverarmi - sono convinto trovi la situazione molto gradevole - sappi che so d’aver sbagliato.”
“Gradevole non è il termine esatto. Ridicola, penosa sono le parole che avrei scelto.”
Il licantropo si limitò a fare un sorriso dei suoi - uno di quelli che costruiva per mostrare che andava tutto bene, anche se in realtà andava uno schifo. Lo conosceva fin troppo bene.
“Ancora non mi è chiaro il motivo per cui fingi cortesia e gentilezza, Lupin. Aspetto d’essere illuminato su questo aspetto della tua esistenza.”
“Sono davvero sorpreso, Severus: pensavo che non ritenessi la mia esistenza abbastanza interessante da essere studiata così approfonditamente.”
Le labbra di Snape si tesero in una fessura sottile e piatta, ma nient’altro mostrò il suo disagio - sempre se di disagio si trattava.
“Non sei una persona che mostra pietà e compassione, lo so bene. Ti conosco da quando avevamo undici anni.”
Il Pozionista fece una smorfia infastidita. “Mi conosci?”
Remus sorrise, stavolta spontaneamente. “Puoi credere il contrario, se l’dea ti disturba.” Concesse, quindi tornò serio e lo guardò dritto in viso. “Perché tanto interessamento? Hai detto che non vuoi consolarmi della scomparsa di Sirius. E sono sicuro che non stessi mentendo: tu odiavi Sirius, l’hai sempre odiato. Ed il sentimento era reciproco, anche se mi è sempre sfuggita la ragione di tanto astio.”
“Buffo che tu riesca a parlare di lui con così tanta calma nonostante abbia tentato di suicidarti proprio stanotte.” Ribatté Severus, facendo una smorfia disgustata.
Il palmo aperto del licantropo si abbatté con forza sul comodino di fianco al letto, facendo sobbalzare gli oggetti che ospitava. “Non ho tentato di suicidarmi.” Sibilò lentamente, guardando l’altro con rabbia e, al contempo, impotenza - perché non riusciva a farglielo capire?
Madama Chips comparve di lì a poco con un cipiglio di rimprovero che non risparmiò nessuno dei due uomini, ma tornò presto al suo posto quando ricevette un’occhiata di rassicurazioni da Remus. Rimasti di nuovo soli, i due rimasero in silenzio a lungo, prima che Lupin riuscisse a riguadagnare la calma necessaria per contenersi.
“Non volevo-”
“Sono anni che non ti vedevo perdere il controllo. Vuoi ancora farmi credere che tu non avessi intenzione di…”
“Sei talmente ossessionato dell’idea che io e Sirius fossimo… Cosa, Severus? Cosa pensi che eravamo? Una coppia? Amanti? Cosa? Ma non è così. Non è mai stato così… Ma non dovrei esserne sorpreso, vero? Tu non hai mai avuto un amico al mondo, come posso pretende che tu capisca di cosa stia parlando?” La voce di Remus tremava di rabbia nonostante lo sforzo di mantenere un tono neutro e piatto; dopo aver pronunciato quelle parole, però, abbassò lo sguardo passandosi una mano sul viso affranto. “Ho esagerato.”
“No. Non hai esagerato.” La risposta di Snape fu glaciale ed incomprensibile.
“Perché mi permetti d’essere così? Ti sono talmente indifferente che le mie parole ti scivolano addosso?”
L’altro non rispose; piuttosto, con un gesto cerimonioso, scostò una sedia dal muro e si sedette di fianco al letto, il tutto in religioso silenzio. “Sto aspettando, Lupin.” Disse infine, guardandolo vagamente, con espressione neutra.
Aspettava cosa? Che Remus si mostrasse per quello che era davvero? O che piangesse, gridasse, sfogasse la sua rabbia ed il suo dolore?
O niente di tutto ciò. Aspettava di vederlo.
“Aspetto che tu torni lucido in modo che possa tornare ad assolvere i tuoi compiti in quanto membro dell’Ordine.”
Il licantropo dapprima lo guardò allibito, poi rise amaramente. “Sei davvero un uomo impietoso, Severus. E ti piace troppo l’idea che gli altri non ti capiscano.”
“A te piace troppo l’idea che gli altri si fidino di te e della tua ipocrisia.”
“Ammettilo: siamo più simili di quanto tu abbia mai immaginato. Solo che reagiamo in modi differenti e questo ti destabilizza.”
L’altro rimase ermeticamente chiuso nel suo silenzio. Remus sorrise di nuovo.
“Per qualsiasi motivo tu lo stia facendo, grazie.” Disse, infine, poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi, sfiancato. Era buffo, ma aveva la certezza che quello fosse l’esatto punto di equilibrio, probabilmente l’unico punto di equilibrio che sarebbero mai riusciti a raggiungere.
Eppure, era anche sicuro che Severus gli sarebbe rimasto accanto per tutto il tempo, salvo sparire prima che si svegliasse. Era una convinzione solida, un punto fermo incredibilmente reale, ed entrambi sapevano di quanto Remus ne avesse bisogno, in quel momento.
*
Maggio 1998
Severus,
ho tentato a lungo di capire, ma le tue azioni esulano dalla mia comprensione. Credevo di conoscerti, ma mi sbagliavo.
Se ti conoscessi sarei già riuscito a comprendere.
Eppure sono certo che combattiamo ancora insieme - quantomeno dalla stessa parte. Tu potrai non fidarti di me, ma io non riesco a smettere di avere fiducia in te.
Sento quasi la tua voce pronunciare la parola ‘patetico’ e vedo la tua espressione infastidita. Sai qual è la mia reazione di fronte a questo, vero? Quel sorriso che tu tanto odi…
Tu pensi che fidarsi sia una debolezza, perché non appartieni a nessuno, a nessun gruppo.
Non sei mai stato ben visto dai membri dell’Ordine; l’unico che ti desse apertamente fiducia era Albus ed automaticamente alla sua scomparsa tutti hanno pensato che tu l’avessi tradito.
Ma non sei mai stato nemmeno un Mangiamorte, Severus; non lo sei neanche ora.
Per te non fidarsi è il modo più semplice di vivere. Ma lascia che ti dica che è anche il più spaventoso.
Sei destinato ad essere un incompreso, ad essere solo.
È qui che siamo diversi. È qui che io sono un codardo - no, non un masochista, avevi ragione come sempre.
Non voglio essere solo, né incompreso. Mi fido anche per questo.
Sono un codardo anche perché non ho il coraggio di cercarti - ho paura di perdere quella che oramai considero ‘famiglia’. Eppure se Ted non ci fosse, se non ci fossero delle responsabilità, io lo farei; a costo di rimetterci la vita, perché ho continuato a fidarmi della persona sbagliata.
Non lo capisci, vero?
Mi piace pensare d’essere un mistero per te, tanto quanto tu lo sei sempre stato per me.
Se ci incontreremo in battaglia, voglio che tu sappia che di fronte a te non avrai un nemico; non troverai in me né odio né risentimento, pertanto non cercarli nei miei occhi, perché potresti essere sorpreso di leggervi tutt’altro.
Non è stato facile per me - per noi - trovare il punto di equilibrio, e ci sono ancora tante cose che è meglio tacere, cose che è meglio non vedere in noi perché non siamo in grado di affrontarle ancora; io non sono in grado di dirtele né di vederle ora.
Ma tu le sai già.
E puoi continuare ad ignorarle, perché so che lo stai già facendo da molto tempo.
Tuo -
Remus
Severus accartocciò la pergamena senza indugiare; riavviò il fuoco nel camino e, quando la fiamma fu di nuovo vivida, vi buttò dentro il foglio.
La carta venne mangiata con voracità dalle fiammelle ed i riflessi aranciati che provenivano dal focolare si rifletterono sul viso scarno e pallido del padrone di casa con forza, creando strane ombre sulle labbra serrate strette e strani baluginii nei suoi occhi scuri.
Ci sono cose che è meglio tacere, che è meglio non vedere.
Ma lui le sapeva già.
Ed avrebbe continuato ad ignorarle come stava già facendo da tempo, perché era troppo tardi per qualsiasi cosa.
Ma le sapeva, e questo era ciò che contava.
Fine
Note: voglio che sia chiaro: Remus dice la verità quando nega d'aver tentato di suicidarsi e quando dici che era il lupo a volerlo fare. Si tratta di una cosa che Severus non può sapere, perché non conosce in prima persona il meccanisco che scatta nella mente di un licantropo quando è trasformato, ma è davvero come se si tratta di due entità separate. Ci tenevo a precisarlo, perché l'idea è molto melodrammatica e mi dà immensamente fastidio che si pensi a Remus come ad un'eroina che si strugge per l'amor perduto tanto d'arrivare a contemplare il suicidio. Ok, è tutto v_v