Un'altra vita

Jun 18, 2009 16:28

Titolo: Un'altra vita
Personaggi: Subaru Sumeragi (Seishiro/Subaru implicito)
Raiting: R
Prompt: "Life goes on as it never ends, eyes of stone observe the trends." (Show me the meaning of being lonely - BackStreet Boys) da Temporalmente @ Criticoni.
Avvertimenti: one-shot; shonen-ai; AU; incesto; spin-off di Phantasma.
Riassunto: C'erano dei sogni che tormentavano Subaru, sogni che non potevano essere solo chimere frutto del suo subconscio, perché troppo somiglianti a ricordi: visioni di una vita passata.
Note: questa fanfic è stata scritta, cestinata, riscritta e ricestinata migliaia di volte nel corso degli ultimi due anni. L'ho odiata perché non veniva mai decentemente, ma amavo troppo l'idea del sogno di una vita passata per demordere. Alla fine, eccola qui: evidentemente non ero ancora pronta, due anni fa, per scriverla come doveva essere scritta, ma il risultato mi piace. E sono finalmente felice di poter offrire a Michiru (per una volta usiamo il nome d'autore, oh!) lo spin-off di Phantasma che le avevo promesso. Tutto per te, per ringraziarti d'avermi fatto amare Seishiro come pensavo di non riuscire e per aver dato un senso alla sua morte.



Si trovava in un giardino. Aveva tutta l’aria di essere una foresta, in verità, ma quello era un giardino ed il fatto che ne fosse così certo, come se fosse un pensiero del tutto naturale, lo sconvolse, anche se solo per un momento.

Camminava fra gli alberi con lentezza, intento a riflettere sulla situazione delicata in cui si era ritrovato coinvolto; guardando in alto poteva vedere i tronchi scuri e rugosi degli aceri che salivano, perdendosi poi in quel cielo rosso di foglie. Era uno spettacolo che mozzava il fiato ed avrebbe fatto lo stesso effetto anche a lui se non fosse stato così concentrato sul suo problema.

Ad ogni passo i suoi piedi affondavano sul vasto tappeto di foglie morte che ricopriva il terreno: il rosso e tutte le sue sfumature erano i protagonisti indiscussi di quella maestosa scenografia.

Subaru si sentiva piccolo e misero lì, in mezzo agli aceri, ma continuò a camminare, come spinto da una forza invisibile che lo conduceva verso una meta precisa; le foglie che di tanto in tanto cadevano intorno a lui volteggiavano nell’aria con eleganza e si posavano a terra con delicatezza.

I suoi passi si muovevano lungo un sentiero invisibile, ma familiare; sapeva esattamente dove stava andando e cosa avrebbe trovato una volta arrivato - per un attimo la cosa gli sembrò strana, ma era solo una sensazione sonnacchiosa, troppo distante per essere reale. Si voltò un attimo indietro: la grande dimora alle sue spalle era quasi completamente nascosta dagli alberi, e questo in qualche modo lo rassicurava; non vederla era come liberarsi di tutto ciò che lo angosciava e che in quella casa - nella quale aveva vissuto, ma che gli sembrava così sconosciuta e temibile - pareva diventare qualcosa di concreto. È come se stessi fuggendo, pensò, rendendosi poi conto che era esattamente ciò che stava facendo.

Sopraffatto da quella verità, poggiò delicatamente una mano sul tronco di un albero; la manica del kimono che indossa gli scivolò lungo l’avambraccio e lui rimase incantato a guardare quel tessuto prezioso: quello era un regalo di Seishiro. Il pensiero lo sorprese per un momento, ma poi la sorpresa svanì, lasciando il posto a quell’angoscia opprimente che sperava d’aver lasciato fra le mura della casa alle sue spalle. Era tutto così sbagliato, e se fosse stato più forte probabilmente se ne sarebbe andato, lasciando davvero tutto alle sue spalle; ma non riusciva a farlo, perché era innamorato, terribilmente innamorato di suo fratello.

Erano legati dallo stesso sangue, ma non si conoscevano più, come se quella vita che avevano condiviso da giovani appartenesse a qualcun altro, qualcuno che non era né Seishiro, né lui; per quel motivo Subaru non sentiva di appartenere alla stessa famiglia, nonostante tutto dicesse il contrario. Era così ingiusto e tutto ciò gli causava le vertigini per la paura di ciò che li aspettava, per i sensi di colpa nei confronti del padre che, nonostante tutto, gli aveva dato possibilità che gli sarebbero state precluse, se avesse deciso di lasciarlo a sé stesso.

Mentre tremava, continuando a pensare a tutto ciò, udì alle sue spalle un rumore soffocato di passi che si avvicinavano; si voltò indietro e non si sorprese molto nel vedere che il centro dei suoi pensieri gli si avvicinava lentamente. Abbassò lo sguardo davanti a quella figura regale ed elegante: si sentiva così insignificante al confronto.

Una mano si posò delicatamente sulla sua guancia pallida, scivolando poi sotto il mento e sollevandogli il viso con gentilezza. Faccia a faccia con Seishiro, Subaru avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscì a proferir parola, paralizzato dalla paura di scegliere la cosa sbagliata; poi chiuse semplicemente gli occhi, perdendosi nel bacio in cui le loro labbra si erano incontrate.

Improvvisamente dimenticò tutto: i sensi di colpa e la sgradevole sensazione di star facendo qualcosa di peccaminoso svanirono; svanì la consapevolezza d’essere consanguinei e tutto sembrò incastrarsi perfettamente nell’abbraccio di Seishiro ed in quello scenario rosso autunno.

Subaru si svegliò lentamente; aprendo gli occhi, un raggio di sole mattutino gli ferì lo sguardo e lui chiuse repentinamente le palpebre, vedendo tutto rosso per un attimo. Fu quello, forse, che gli fece ricordare il sogno appena vissuto; non era la prima volta che gli capitava di sognare cose simili, immagini in cui lui e Seishiro erano insieme ed erano, tutto sommato, felici.

Mettendosi a sedere e passandosi una mano fra i capelli, lo sciamano sbuffò: la cosa era semplicemente ridicola! Era come se il suo subconscio si divertisse a creare scenari diversi per mostrargli una realtà che non esisteva, che mai sarebbe esistita e che probabilmente mai era esistita…

Eppure, a pensarci bene, c’erano degli elementi ricorrenti; Subaru strinse gli occhi, focalizzando la mente su quei sogni e ricordando che in ognuno di essi c’erano davvero delle costanti: la grande dimora in stile tradizionale, ad esempio, era sempre presente, così come gli abiti antichi e…

Sciocchezze, pensò il giovane, scendendo dal letto e sperando anche di smetterla con quelle fantasticherie. Era solo il suo subconscio che gli faceva brutti scherzi.

***

Era solo una semplice febbre, ma come al solito suo fratello si preoccupava troppo - come se lui fosse ancora il bambino piccolo ed impaurito che tanti anni prima era arrivato in quella casa come figlio illegittimo - e non faceva altro che stargli accanto, quasi per tutto il giorno. Gli parlava e lui, nonostante fingesse di sentirsi risentito di ciò, delle sue attenzioni e delle sue prese in giro sul fatto che ancora dormisse con un pupazzo, nel profondo del suo cuore ne era felice.

Sapeva che non avrebbe dovuto, perciò continuava testardamente ad ignorare quella sensazione che gli scaldava il cuore, cacciandola indietro, come se fosse un male essere felici; lui non lo sapeva, ma proprio quello era la causa del peggiorare continuo della sua febbre.

Parlare con sua nonna non era mai stato semplice: c’era sempre qualcosa, in lei o nell’atmosfera che aleggiava nella stanza, che lo metteva profondamente a disagio. Forse era dovuto anche alla mancanza di Hokuto, che aveva sempre fatto da intermediaria fra lui e… il resto del mondo. E con quella donna non era diverso; per questo, dopo aver fatto un profondo inchino pieno di riguardi nei confronti dell’anziana, si sbrigò a darle le spalle per uscire dalla stanza.

“Vai a Tokyo perché c’è lui?”

La domanda che sembrava essere rimasta in sospeso per tutto il tempo dei saluti venne finalmente esternata, e Subaru si rese conto che era in qualche modo troppo intensa, troppo violenta per essere sopportata. Strinse la mano, poggiandola sullo shoji.

“No. Vado perché lì c’è il mio destino.” Rispose semplicemente, uscendo.

***

Sbocconcellava la colazione dal suo vassoio, incapace di trattenersi nel lanciare occhiate al suo commensale che gli stava di fronte: Seishiro dimostrava sempre una calma esteriore invidiabile, qualcosa che lo rendeva affascinante ed irritante allo stesso tempo - probabilmente perché lui non sarebbe mai riuscito ad emularlo.

Le sue occhiate non passarono inosservate, e suo fratello sorrise, divertito da quello sbirciare quasi goffo dell’altro. Gli disse qualcosa e Subaru se ne risentì davvero molto, non riuscendo però a trovare un modo efficace di rispondergli; si chiuse, quindi, in un ostinato silenzio, ma bastò il tocco di Seishiro sulla sua mano affinché tutto svanisse. Il che era strano, perché erano stati lontani per così tanti anni che non si riconoscevano più come fratelli; il modo in cui lui lo guardava ed il modo in cui la mano di Seishiro toccava la sua era quello degli amanti.

Subaru si svegliò quasi di soprassalto, mettendosi a sedere sul letto e prendendo grosse boccate d’aria; il sogno non era spiacevole, ma la consapevolezza che qualcosa non andava era netta, anche mentre sognava. Non riuscendo a calmarsi, afferrò una sigaretta e l’accese, con mano tremante, sperando così di cacciar via quel nervosismo.

Da quando aveva rivisto Seishiro, i sogni di Subaru erano diventati più frequenti, tanto che ormai lo sciamano non poteva più nascondere il tutto dietro la scusa del subconscio dispettoso né tanto meno poteva più ignorare il fatto che vi fossero davvero degli elementi ricorrenti. Uno su tutti: il fatto che lui e Seishiro fossero fratelli. E questa non era l’unica cosa che collegava quei sogni: essi sembravano legati l’un l’altro, come se fossero scene, brevi momenti di un tutto unico, di una storia più lunga e complessa che Subaru, stranamente, pensava di dover conoscere, perché era importante.

La sigaretta era arrivata al filtro e gli bruciò le dita; lo sciamano sibilò di dolore e spense la cicca nel posacenere, distrattamente, continuando a pensare che c’era qualcosa che gli stava sfuggendo; quelle immagini mentali sembravano troppo dettagliate, troppo vere, per essere solo parti di un sogno. Avevano quasi la forma di un ricordo, ma a meno che non si trattasse di visioni di un’altra vita…

“Assurdo…” Borbottò tra sé Subaru, ma l’idea si era ormai insinuata fra i suoi pensieri, e lui cercò di dimenticarla, uscendo di casa.

Vagabondò per la città, troppo scosso per pensare ad un luogo preciso nel quale recarsi, e si accorse solo troppo tardi che i suoi piedi l’avevano trascinato in mezzo ad un parco, fra le trame fitte degli alberi. Alzando il viso verso l’alto rimase quasi scontento nel non vedere la distesa di foglie rosse che aveva visto tante volte nei suoi sogni. Che sciocchezze, si disse, come poteva credere di poter ritrovare nella realtà ciò che era chiaramente solo un sogno?

Poggiò la mano sul tronco di un albero, avvertendone la dura consistenza, che però gli dava una sensazione completamente diversa da quella che solitamente gli dava il tronco dell’acero nel suo sogno. Un rumore di passi alle sue spalle lo fece voltare di scatto, ma tutto ciò che vide fu solo una giovane donna che affrettava il passo lungo il sentiero; stupido, disse a sé stesso, amareggiato.

Quei sogni lo stavano facendo comportare come uno sciocco e non poteva permetterselo in quel momento; in fondo non era una ragazzina ed avrebbe dovuto capire che i sogni-visioni erano una prerogativa degli yumemi. Per questo, quando sentì di nuovo dei passi alle sue spalle, si voltò senza particolare interesse.

I suoi occhi s’allargarono in sorpresa quando, proprio come nel suo sogno, vide avvicinarsi Seishiro; gli sfuggì un non è possibile, che fece sorridere divertito l’altro uomo.

“Che tu ci creda o no, Subaru-kun, per me è molto semplice riuscire a trovarti.” Gli disse con aria compiaciuta, probabilmente per l’espressione sorpresa che doveva avere Subaru in quel momento. Lo sciamano riuscì a dissimularla con una smorfia risentita, mentre nella sua mente le immagini del sogno continuavano a sovrapporsi a quelle della realtà che in quel momento gli si dispiegava sotto gli occhi.

“Cosa ci fai qui? Non ci sono barriere da distruggere…” Borbottò, osservando di sottecchi le azioni rilassate del Sakurazukamori.

“Non passo tutto il mio tempo a fare queste cose.” Gli rispose semplicemente l’uomo, accendendosi una sigaretta. “E tu, Subaru-kun?” Domandò con un sorriso, così terribilmente vuoto rispetto a quello che lo sciamano aveva visto nei suoi sogni.

“Io…” Mormorò, preso per un attimo in contropiede da quei continui raffronti che la sua mente gli proponeva instancabilmente e senza che lui potesse impedirlo. Abbassò lo sguardo,combattendo contro sé stesso per bloccare quelle immagini; poi, una mano si posò delicatamente sulla sua guancia, scivolandogli sotto il mento per sollevargli il viso. Come nel sogno. Per un momento Subaru provò l’impulso di chiedergli se anche lui avesse avuto quelle visioni, se si fosse recato in quel luogo perché spinto da qualcosa; ma sapeva già che Seishiro-san non avrebbe mai risposto a quelle domande e che era semplicemente impossibile che avessero avuto gli stessi sogni. Per quel che poteva immaginare lui, non era nemmeno sicuro che Seishiro sognasse. “Lasciami.” Sibilò tirandosi indietro; era tuttavia possibile che quell’uomo fosse a conoscenza dei suoi sogni e Subaru lo guardò con gli occhi stretti. “Tu…”

“Sì?”

“Tu sai dei miei sogni?” Si pentì immediatamente della domanda; era semplicemente troppo sciocca, davvero stupida e probabilmente non aveva alcun senso nemmeno per Seishiro. Questi, infatti, simulò con gran maestria un’espressione sorpresa, allontanando la sigaretta dalle labbra, prima che potesse ispirare del fumo.

“I tuoi sogni, Subaru-kun?” Domandò, riavvicinando la cicca alla bocca, che si piegò in un sorriso ironico. “Dovrei?”

Lo sciamano arrossì di rabbia e vergogna, stringendo il pungo sul tronco dell’albero. “Non importa.” Affermò seccamente, desiderando andar via il prima possibile, senza dover dare le spalle all’altro.

“Ho capito: la mia presenza non è gradita qui.” Disse con fare melodrammatico Seishiro; Subaru osservò la sua figura iniziare gradualmente a svanire confusa in mille petali rosati, senza batter ciglio. Poi, un attimo prima di sparire del tutto, Seishiro aggiunse: “Eppure nel sogno non eri così scostante.”

Lo sciamano riprese fiato: sì, lui sapeva dei suoi sogni.

***

La consapevolezza d’aver attirato su di sé le ire del loro defunto padre, tanto da far tornare indietro il suo spirito, lo aveva terrorizzato, per un attimo; ma, nonostante tutto, anche potendo tornare indietro non si sarebbe comportato diversamente, non sarebbe riuscito a sopprimere l’amore che provava per quello che, anni prima, era stato il suo fratellastro.

Seishiro era riuscito a farlo guarire e a placare lo spirito del padre, e questo era un qualcosa di buono, nella sciagura. Ora che si trovavano in quel luogo - immersi nella foresta d’aceri - tutto sembrava lontano e passato e Subaru, con suo fratello lì accanto, si sentiva stranamente tranquillo, nonostante tutto.

Con il capo poggiato sulle ginocchia dell’altro, Subaru sussurrò: “È strano, ma... non temo il passato. E' il futuro a spaventarmi.”*

Lo sciamano si svegliò di nuovo all’improvviso, per un attimo spaesato nel ritrovarsi in una stanza d’ospedale; poi la ferita all’occhio iniziò a fargli male, segno che l’effetto dell’antidolorifico era ormai passato e che si trovava lì per quella ragione. Ripensò per un attimo a ciò che era accaduto quella mattina, a come si fosse lasciato colpire senza batter ciglio e alle parole del Kamui dei Draghi della Terra. Era davvero ciò che desiderava, no?, si disse, posando le dita sulle bende che gli fasciavano la testa; il dolore era quasi insopportabile, ma rendeva tutto vero e concreto: esattamente ciò che desiderava.

I suoi pensieri, all’improvviso, scivolarono di nuovo verso quel frammento di sogno che lo aveva risvegliato dal suo sonno; ripensava alle sue parole, alle parole dette dalla sua controparte del sogno: non temo il passato. E' il futuro a spaventarmi.

Stranamente la cosa lo inquietò in maniera inverosimile; i suoi sospetti su quei sogni che lo visitavano ormai ogni volta che chiudeva gli occhi per riposare si erano fatti improvvisamente concreti, tanto da diventare quasi delle certezze. E se quelli fossero stati davvero ricordi di una vita passata?

Perché tornavano prepotentemente proprio in quel momento della sua vita? Perché non prima, quando aveva conosciuto Seishiro, anni addietro?

E poi c’era quella frase sul futuro che lo allarmava, fin quasi a farlo tremare d’angoscia. Il futuro della sua controparte del sogno - o della sé stesso nella vita passata? - sembrava inquietante tanto quanto il suo futuro in quel momento. Perché non c’era futuro per lui, per loro, così come non c’era per quei due fratelli nel suo sogno.

Coincidenze? Tutto frutto delle angosce che stava vivendo in quel momento?

Subaru chiuse l’occhio sano, sospirando; il dolore alla ferita era lancinante e non riusciva più a pensare lucidamente; in quel momento, poi, aveva troppi problemi per pensare anche a quelli del sé stesso nei suoi sogni.

***

Aveva i piedi intirizziti dal freddo e dall’umidità della notte appena trascorsa e, nonostante si sfregasse le mani sulle braccia, non riusciva a riscaldarsi abbastanza; per un momento, avrebbe davvero voluto immergersi nelle acque scure del fiume e mettere fine alla loro colpa, ma aveva fallito. Sentiva anche il cuore pesante per la mancanza di non aver fatto ciò che era giusto, ma, non appena vide Seishiro corrergli incontro, le sue labbra si piegarono in un sorriso e si lasciò abbracciare, poggiando il capo sulla spalla del fratello. Si sentiva protetto e amato, e sapeva che tutto ciò era sbagliato; ma quel pensiero era del tutto irrisorio davanti al grande amore che provava per lui.

E Subaru sapeva che un giorno avrebbe pagato per quella colpa.

Si svegliò ancora d’improvviso, sedendosi sul letto, stranamente madido di sudore freddo: non aveva febbre, ma tremava come se ne avesse avuta, e respirava affannosamente, come se fosse stato davvero malato. Improvvisamente s’accorse che lacrime calde scivolavano lungo le sue guance e provò a cancellarle con il palmo della mano, invano: sembravano non avere mai fine, ed il suo era un pianto silenzioso, stranamente senza singulti né gemiti. C’erano solo le lacrime che cadevano dagli occhi, uno verde e l’altro castano.

Aveva pagato per il suo peccato, si disse, quasi ridendo scioccamente, non dandosi più dello stupido per credere che quei sogni fossero immagini della sua vita passata, ma semplicemente accettandolo; ormai non aveva più importanza che lo fossero o no, perché tutto era compiuto e lui non aveva potuto far niente - non avrebbe mai potuto far niente - per impedire a Seishiro di farsi uccidere. Anche se gliene avesse parlato, anche se fosse giunto prima a quella conclusione, l’altro uomo non avrebbe fatto che ridere della sua fantasia, magari lusingandolo con parole dolci e taglienti, ma sempre bugie.

L’unica recriminazione che poteva fare, l’unica cosa che poteva pensare era che non era giusto che a pagare fosse solo lui, che a portare tutto il peso fosse solo Subaru; eppure come poteva avercela davvero con Seishiro-san, che probabilmente aveva pagato più di lui per quel peccato, diventando un involucro senza sentimenti, una persona così diversa dall’uomo affettuoso che aveva conosciuto nei suoi sogni, nella sua vita precedente?

Subaru chiuse gli occhi, mentre il respiro tornava finalmente regolare e le lacrime scemavano; poggiò di nuovo il capo sul cuscino, coprendosi con le coperte e sperando di potersi riaddormentare presto, facendo un sonno tranquillo e senza visioni.

Quella fu l’ultima volta che sognò.

* citazione permessa all'autrice da Phantasma, capitolo XX

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