La fine di un Imperatore

Nov 22, 2006 10:08

Tratto da L'Adige del 21 novembre 2006
di Luigi Sardi

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Quando l'Impero si spense
Novant'anni fa la morte di Francresco Giuseppe
E Vienna in guerra si avviava al lungo tramonto

Logoro
Il sovrano austroungarico era ormai troppo vecchio e incapace di comprendere i mutamenti e le emergenze di un'epoca in fibrillazione

L'Italia era in guerra dal 24 maggio del 1915. Il resto dell'Europa, dall'agosto del 1914. Il 7 novembre del 1916 Woodrow Wilson venne rieletto presidente degli Stati Uniti, ma la notizia non
arrivò nelle trincee dove gli uomini morivano nel fango e nell'orrore. Undici giorni dopo, Wilson
si rivolse a tutti i governi invitan­doli a cercare un modo per raggiungere la pace.
A Vienna, nel silenzio e nel ge­lo di Schoenbrunn, Francesco Giu­seppe non arrivò a leggere quel­la nota. Le foglie marcivano nel parco, una pioggia gelida e sotti­le rigava i vetri delle finestre e lui, l'Imperatore, era seduto, come sempre allo scrittoio. Ma era stan­co, malato, tormentato dalla tos­se e dalla febbre. Era il 21 novem­bre, erano le tre del mattino.
L'Imperatore si era alzato pri­ma del solito dal suo ruvido let­to da campo, perché doveva com­pensare la diminuita efficienza nel lavoro, dedicandovi più tem­po. Poco dopo gli avevano porta­to l'eucarestia. La febbre era sa­lita a 38,1, a mezzogiorno bevve qualche cucchiaio di brodo e su­bito dopo si accasciò sulla scri­vania. Si riprese, tornò al lavoro. Alle 7 di sera lo misero a letto. Si addormentò, si svegliò, ingoiò qualche goccia di tè, il camerie­re gli chiese se stava comodo e rispose: «Si, va bene». Poi si spen­se nel nulla, come si spegne una candela. Erano le 21.05 del 21 no­vembre 1916. Francesco Giusep­pe regnava all'ombra dell'aquila bicipite dal 2 dicembre del 1848. Aveva governato in un arco di tempo che va dalle giornate che siglarono la restaurazione contro la grande rivoluzione del Quaran­totto, fino ai travolgenti fermen­ti del primo Novecento e alla guer­ra che sconvolse il mondo.
Diventava Imperatore Carlo I d'Austria; Carlo IV come Re Apo­stolico d'Ungheria. L'anno dopo, a Vienna, nel giorno di giovedi 31 maggio, l'Imperatore Carlo apri­va ufficialmente il Parlamento che era stato sospeso da Francesco Giuseppe alla vigilia dello scop­pio della guerra. Dalla cronaca de Il Risveglio Austriaco, l'unico quo­tidiano che in quell'epoca di guer­ra si stampava nella Imperiale e Regia fortezza di Trento: «I depu­tati, radunati nella sala del trono della Hofburg, ascoltarono con un raccoglimento degno dell'oc­casione e dell'ora, il discorso inaugurale dell'lmperatore. Gli hoch, gli evviva, gli zivio, gli naz­dar non vogliono finire». Sono le molte voci parlate nell'Impero che sta per sgretolarsi sotto la spinta di nuove identità naziona­li, ma che adesso acclamano con calore Carlo quando dichiara «è mia ferma volontà essere un re­gnante costituzionale».
Si apre il Parlamento, molti de­putati vestono l'uniforme milita­re e corone di fiori sono deposte sugli scranni di quelli caduti sul campo. Da tempo, tutti avevano capito che l'irredentismo italia­no stava diventando fatale all'lm­pero perché si stava collegando politicamente e militarmente a quello delle altre nazioni. Anche il vecchio Imperatore lo aveva ca­pito. Ma la fedeltà alla tradizione e al passato non avevano scosso il Signore assoluto, il detentore del potere legislativo esecutivo e giudiziario. L'esercito, il mae­stoso esercito d'Austria e Unghe­ria, aveva giurato fedeltà alla sua persona, non alla carta di una co­stituzione. Lui era il primo servi­tore dello stato. Da tempo, l'uni­forme nascondeva a malapena il decadimento di quel vecchio cor­po. Anche l'Impero austrounga­rico era diventato troppo vecchio mostrando la vastità delle contraddizioni. Dietro l'augusta fac­ciata di civiltà cristiana, strideva­no nei vari paesi dominati, le for­che e i ceppi delle galere mentre nel resto dell'Europa si collauda­vano quelle armi che avrebbero distrutto il trono degli Asburgo. Francesco Giuseppe forse era di­ventato troppo vecchio per capi­re i mutamenti del nuovo secolo.
Quella guerra gli aveva reso an­cora più amari gli ultimi mesi del lungo e pesante regnare di mo­narca assoluto che aveva sempre desiderato chiudere i suoi giorni in pace. Certo, lui aveva firmato la dichiarazione di guerra alla Ser­bia scismatica, ma l'aveva fatto controvoglia spinto dai militari dopo l'assassino dell'arciduca Ferdinando e di sua moglie. Del resto, tutti i conflitti che l'Impe­ro aveva dovuto sostenere, lui sul trono, si erano risolti in altrettan­ti disastri militari. L'Austria ave­va perso la Lombardia, poi il Ve­neto e nel 1916 i suoi fedeli, eroi­ci soldati morivano sui Monti Car­pazi, nelle pianore della Galizia sulle tormentate doline del Carso.
Francesco Giuseppe non si era fatto illusioni. Quando l'aiutante di campo gli comunicò che l'In­ghilterra aveva dichiarato guer­ra alla Germania esclamò: «La par­tita è perduta. Noi non siamo ne­mici degli inglesi». E poi la storia gli aveva insegnato che gli inglesi combattono sempre fino alla vittoria. Non aveva neanche vo­luto il conflitto con l'Italia anche se non si era fatto illusioni: prima o poi Roma avrebbe rotto la de­cennale alleanza con Vienna e Berlino e sarebbe passata con la Francia, la Serbia, la Russia e l'In­ghilterra. Non voleva cedere né il Trentino né Trieste, ma aveva seguito con attenzione la missio­ne di Alcide Degasperi che a Ro­ma era stato benevolmente rice­vuto da Benedetto XV, poi da Son­nino, forse anche da Vittorio Ema­nuele III.
Degasperi invocava la neutra­lità italiana, anche per salvare il Trentino dalla devastazione del­le guerra. Ma lui, il vecchio Impe­ratore, s'infuriava quando senti­va il nome di Vittorio Emanuele che chiamava ladro di territori e non voleva fare concessioni di sorta. Cosi anche l'Italia aveva preso le armi. La guerra era un'al­tra sofferenza per un monarca che aveva avuto un destino ama­ro. Suo fratello Massimiliano era stato fucilato nel Messico per or­dine dell'indio Benito Juares. Un uomo che aveva entusiasmato i socialisti italiani che, con il nome di Benito, avevano battezzato i loro figli. E c'era stata la cupa tra­gedia nel casino di caccia di Ma­yerling dove Rodolfo dopo aver ucciso la giovanissima amante, si era tolto la vita. E poi c'era stata, il 10 settembre 1898, la tragedia di Ginevra: un anarchico italiano aveva assassinato con una lima Elisabetta, la Kaiserin Elisabetha, la bellissima e inquieta Sissi. "Nulla dunque mi viene risparmiato a questo mondo" mormorò Fran­cesco Giuseppe quando gli an­nunciarono la morte della moglie.
Il 30 novembre del 1916 le cam­pane di tutte le chiese dell'Impe­ro suonarono a morto per l'ulti­mo saluto al Kaiser Franz Joseph. Sul fronte italiano tuonava il cannone.

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