Capitolo trentadue

Apr 04, 2013 22:06

Capitolo trentadue

Il giorno seguente, Merlin lo passò come se non fosse stato il suo compleanno. Andò a lezione, fino all’ora di pranzo. Dopo di che, Arthur lo andò a prendere e, con la forza, lo trascinò in un ristorante sulle rive del Tamigi.
Mangiarono tutto a base di pesce e poi tornarono ognuno alla rispettiva università.
Sally, che, al contrario di Arthur, non seppe trattenersi, si fece trovare all’entrata dell’aula di chimica con un enorme palloncino, con scritto sopra ‘Tanti auguri’. Merlin lo prese imbarazzato, cercando di ignorare gli sguardi curiosi della gente per i corridoi.

“Non dovevi” disse. Non sapeva dove mettere quell’enorme pallone volante. Portarlo in metro, era decisamente scomodo. Decise così di andare a piedi.
Gwen si limitò ad augurargli un buon compleanno, quando s’incrociarono nella libreria per il cambio dei turni, e a regalargli una rosa che aveva preso per lui nel negozio di fiori accanto.
William non si risparmiò.
Quando Merlin tornò a casa, lo trovò seduto sulle scale del porticato. Al suo fianco, aveva un enorme pacco.

“William?” Merlin si sedette al suo fianco.

“So che, qualsiasi cosa ti avessi regalato, non sarebbe stata appropriata. Quindi, ecco cosa ho fatto. Ho sondato tutti gli album di foto che avevo in casa, ho preso tutte le nostre foto più belle, le ho fatte ristampare, e le ho messe insieme” disse, porgendo la scatola a Merlin.
Dentro vi era una cornice molto simile a quella che Hunith gli aveva regalato per Natale. Solamente che, in ogni quadro, c’erano lui e William. Solo loro due.
Le foto ripercorrevano ogni tappa della loro crescita.

“Ti ricordi questa?” disse William, indicando una delle foto. C’erano lui e Merlin, in piedi sulla riva di un lago. Avevano circa cinque anni. Merlin era stretto nelle spalle, le mani intrecciate dietro la schiena, ed uno sorriso furbetto sulla faccia. William, invece aveva la faccia arrabbiata.

“Mi avevi appena rubato una delle mie formine preferite! Avrei voluto tirarti una paletta in testa ma mia madre me lo impedì” ricordò William. Merlin scoppiò a ridere.

“Me lo ricordo!” disse. Passarono un po’ di tempo seduti sulle scale, a riesumare vecchi ricordi.

“Merlin, sai che qualsiasi cosa accadrà in futuro, se mai ci dovessimo allontanare, per qualsiasi motivo, tu sarai sempre il mio migliore amico, vero?” disse all’improvviso William. Merlin alzò lo sguardo verso di lui.

“William, perché mai dovremmo allontanarci?” chiese Merlin. William strinse le spalle.

“Non si sa mai. Pensavo che io e Cassie saremmo rimasti insieme per sempre, e invece, eccomi qui, solo” rispose. Merlin appoggiò la cornice a terra e strinse il suo braccio attorno alle spalle di William.

“Passerà. So che brucia, ma passerà. Troverai qualcuna che ti farà completamente dimenticare di lei. E sarà la donna giusta, quella con cui passerai il resto della tua vita. Se lei se ne è andata, vuol dire che non eravate destinati a crescere insieme, Will. Vuol dire che lì fuori, c’è ancora una ragazza che aspetta di trovarti. Quindi, non disperare. Ma sappi che io non me ne andrò mai. Siamo fratelli, Will! Come potrei mai abbandonarti?” William sorrise e si lasciò abbracciare da Merlin.

Il giorno seguente, Arthur decise di recarsi al cimitero per visitare la tomba di Morgana.
Nonostante i vari dissidi, era stata seppellita nella tomba accanto a quella di loro padre.
Arthur, ormai, aveva quasi definitivamente superato la fase del lutto. Era in una sorta di fase di rassegnazione malinconica, ma era pronto ad andare avanti.
Era però convinto che, per superare del tutto la morte di Morgana, avrebbe dovuto farle visita alla sua tomba.
Ovviamente Merlin andò con lui, per supportarlo.
Il cimitero si trovava poco fuori Londra, quindi dovettero prendere la macchina per andarvi. Ci volle meno di mezz’ora per arrivare, un tragitto durante il quale, né Merlin né Arthur, riuscirono a dire nulla.
Arthur aveva preso un enorme ghirlanda di fiori prima di partire. Inizialmente avrebbe voluto comprarne una per suo padre e una per Morgana ma alla fine ne prese una per entrambi. Il suo intento era quello di riunirli, nonostante i loro litigi e differenze insormontabili, almeno dopo la morte.
Giunti nei pressi della loro tomba, Arthur si chinò a terra e posò la ghirlanda sulla terra, tra la tomba di Uther e quella di sua sorella.

“So che probabilmente voi due, se foste qui, vi scannereste a vicenda” disse Arthur, lo sguardo fisso verso la ghirlanda. Merlin era in piedi, alle sua spalle, con una mano sulla sua spalla.

“So che eravamo una famiglia al di fuori del comune. Io e papà non riuscivamo mai ad andare d’accordo. Eri sempre pronto a dare ordini a chiunque. Non hai mai perso la tua vena reale. Era come se ti aspettassi che chiunque fosse pronto ad obbedirti. Io ho imparato ad assecondarti. Ho fatto di tutto pur di guadagnare il tuo amore. E sebbene so, che a volte le mie scelte ti hanno deluso, perché avresti voluto che seguissi le tue orme, che in fondo, eri orgoglioso di me. E Morgana. Morgana era l’unica che riusciva a tenerti testa. Ti faceva uscire fuori di testa ma se non ci fosse stata lei, avresti fatto molte scelte sbagliate. E io, Morgana, ti amavo come una vera sorella. Se solo avessi saputo” Arthur sospirò e passò una mano sulla pietra con sopra inciso il nome di Morgana.

“Mi dispiace di aver rovinato tutto. Sappi che non era mia intenzione. So che non è colpa mia. Probabilmente covavi così tanto rancore da aver perso alla fine la ragione. Non avevi nessuno con cui confidarti, hai dovuto conoscere da sola i tuoi poteri, senza nessuno a guidarti. E io ti perdono, per aver tentato di uccidermi. Perché ti voglio bene. E spero che tu possa trovare pace in un’altra vita, perché queste non ti hanno donato la felicità che meriti” Arthur deglutì e asciugò le lacrime con la manica del giubbotto.
Merlin strinse la sua mano sulla spalla di Arthur, e quello vi sovrappose la sua mano.
Rimasero per qualche minuto lì, fermi sulla tomba dei Pendragon, senza dire nulla. Non servivano altre parole. Arthur aveva già espresso tutto il suo dolore.
Quando si sentì pronto, andarono verso la macchina, per tornare a Londra.
Merlin non riuscì a dire nulla. Non trovava parole di conforto e pensò che ogni cosa che avesse provato a dire sarebbe suonata futile. Inoltre, lo tormentava un pensiero fisso da quando si erano allontanati dalla tomba di Morgana.
Arthur aveva detto che perdonava Morgana, per aver tentato di ucciderlo.
Si sentì in dovere di dire le stesse cose a Mordred.
Lo immaginò, seduto su di un letto, con indosso solamente un pigiama anonimo, le gambe strette al petto, solo. Senza nessuno con cui parlare. Senza nessuno su cui contare.

“Arthur, voglio andare a visitare Mordred” disse, quando rientrarono nella città. Arthur rallentò.

“Cosa?” chiese, la voce ancora rauca per le lacrime.

“Vorrei andare a trovare Mordred, all’ospedale” ripetè Merlin. Arthur alzò lo sguardo verso lui, per un momento. Poi tornò sulla strada. Non fece domande. Non c’è ne era bisogno.
Svoltò per l’autostrada e si diresse verso l’ospedale psichiatrico dove Mordred era stato portato.
Era una struttura abbastanza vecchia rispetto ai moderni ospedali londinesi. Merlin aveva sentito dire che era diretta da un importante medico, nonché mago, conoscente di Gaius.
Non riusciva ad immaginare che aspetto potesse avere il reparto psichiatrico dei maghi.
Arthur si fermò al cancello e spense la macchina.

“Ti aspetto qui” disse. Merlin annuì e aprì lo sportello. Non appena fu vicino all’entrata, sentì un’ondata di potere percuoterlo. Ormai era quasi abituato alla presenza di altri maghi; non aveva più quelle forti reazioni che lo portavano a raggomitolarsi sul pavimento. Sentiva sempre quello strano pizzicore dietro la nuca, ma era qualcosa di sopportabile.
Avanzò oltre la soglia e notò che le pareti erano piene di crepe. La vernice cadeva a pezzi e nessuno sembrava essere dietro il bancone della reception.

“C’è qualcuno?” chiamò. Sapeva che qualcuno doveva esserci. Ne percepiva la presenza.
Dopo qualche minuto, si presentò un vecchio uomo, con dei lunghi capelli argentei e dei brillanti occhi verdi.

“Emrys” disse l’uomo. Merlin lo fissò per un attimo. Poi capì. Era un druido.

“Sei qui per fare visita al tuo amico Mordred” lo anticipò quello.
Merlin non sapeva se definire con tale parola Mordred, ma lasciò correre. Annuì.
L’uomo iniziò a camminare per i corridoi.
Merlin notò che, oltre a lui, c’erano solamente altre due donne nell’edificio. Per il resto, non vide altri dottori o infermiere.
Percorrendo i vari corridoi, Merlin toccò le varie anime dei pazienti. Ognuno di loro era come spento. Merlin riusciva a percepire le varie anime delle persone come una radio. C’erano varie onde, più forti e più deboli. Generalmente, le anime dei maghi mandavano delle onde molto potenti, rispetto alle anime di coloro che erano privi di poteri. Per quello sentiva uno strano pizzicore alla nuca.
Ma quelle persone, chiuse li dentro, erano così prive di forze che le loro onde erano deboli quasi quanto quelle di una persona senza poteri.

“Cosa fate a queste persone?” chiese Merlin, mentre l’uomo davanti a lui continuava ad avanzare.

“Impariamo loro a tenere sotto controllo i poteri. E’ un esercizio che richiede molti anni. Imparando a controllare la loro aurea, imparano anche a mantenere sotto controllo le loro emozioni. La maggior parte di loro non è pazza, Emrys. Ha solamente sofferto delle grandi perdite. Perdite che li hanno portati a rinchiudersi in se stessi, a contare solamente sui propri poteri. Il potere usurpa l’anima di chi non sa controllarlo. E queste persone, con il tempo, si sono fatte controllare da esso piuttosto che dalla loro mente” rispose l’uomo, continuando a camminare.
Poi, all’improvviso, si bloccò, di fronte ad un enorme porta verde acqua, con la maniglia arrugginita.

“Qui c’è colui che cerchi” disse, prima di sparire dietro un’altra porta. Merlin spinse lentamente la porta verde acqua e si affacciò.
Mordred era esattamente come lo aveva immaginato. Indossava un pigiama blu, ed era sdraiato su un letto che, in quel momento, sembrava troppo grande per lui. Giaceva in una posizione fetale, con gli occhi fissi verso Merlin.
Merlin quasi si aspettò che si alzasse all’improvviso in piedi e gli lanciasse qualcosa contro. Invece rimase immobile, in silenzio.

“Non sono qui per compatirti” fu la prima cosa che disse Merlin. Ricordava perfettamente il primo discorso che aveva fatto con Mordred, sulla riva del lago. Sapeva quanto odiasse lo sguardo compassionevole della gente.

“Sono qui per parlarti, ragionevolmente” disse. Prese una sedia e la avvicinò al letto. Mordred continuava a fissarlo con i suoi occhi azzurri.

“So che non era tua intenzione farci del male. Le perdite che hai sofferto ti hanno impedito di mantenere il controllo sui tuoi poteri. Non che ciò giustifichi il tuo tentativo di uccidermi. Ma capisco che non deve essere stato facile per te. Non eri te stesso. Per questo ti perdono” disse Merlin. Mordred batté le ciglia, per un attimo.

“Potrebbero volerci anni prima che tu riprenda il controllo su te stesso. Ma, voglio che tu sappia, che potrai contare sul mio aiuto. Verrò a trovarti spesso, per controllare i tuoi progressi. Avrai il mio intero supporto” Mordred sciolse la presa intorno alle ginocchia e si voltò, con la schiena completamente poggiata sul materasso, gli occhi fissi sul soffitto.

“Non mi aspetto che tu mi ringrazi. Non voglio riconoscimenti, non è per questo che lo faccio. Ma se tu non sei d’accordo, se non vuoi più vedermi, basta che tu lo dica e io non tornerò mai più” concluse. Rimase in attesa per qualche secondo ma, quando capì che Mordred non avrebbe detto nulla, fece per rialzarsi.
Con sua sorpresa, Mordred afferrò rapidamente la sua mano, stringendola forte.

“Non te ne andare, Merlin” sussurrò. Merlin si sedette di nuovo.
Mordred voltò lo sguardo verso lui. Stava piangendo.

“Sono qui” disse Merlin.
Mordred singhiozzò. Vederlo in quello stato, così fragile, gli distruggeva il cuore. Mordred era solamente un ragazzo che aveva subito troppe ingiustizie nella vita.

“Mi dispiace. Non volevo tentare di ucciderti, davvero. Tu mi piaci. Sei una delle poche persone che mi ha ascoltato quando ne avevo bisogno. E so che mi ascolterai anche ora. Io ho bisogno del tuo aiuto” disse Mordred. Merlin annuì.

“Sono qui per questo” Merlin ricambiò la stretta di Mordred.
Rimase qualche minuto al suo fianco, finché Mordred non si calmò. Poi si alzò, con la promessa di tornare presto.
Camminò rapidamente lungo i corridoi, verso l’uscita, quando fu fermato dal vecchio uomo, presumibilmente il proprietario dell’ospedale.

“E’ molto caritatevole e onorevole la tua azione, Emrys. Avevo sentito parlare del tuo buon cuore, ma non pensavo fossi così puro” disse l’uomo, fissandolo. Merlin alzò le spalle.

“Non ho fatto nulla” l’uomo scosse la testa.

“Emrys, inizia a prenderti il merito delle tue azioni. Non ci sono maghi come te in questo mondo. Tu sei il più grande, non perché più potente, ma perché riesci a leggere nel cuore delle persone. E’ una capacità che non molti hanno. Anzi, oserei dire nessuno. Il ragazzo è fortunato ad averti. Così come anche Arthur” ribatté quello. Merlin abbozzò un sorriso.
Lasciò l’ospedale con un senso di serenità interiore. Sapere di aver aiutato Mordred nel suo percorso di recupero, lo faceva sentire meglio.

“Come è andata?” chiese Arthur, ripartendo.

“Bene. Direi alla grande” rispose Merlin. Si limitò a raccontare ad Arthur di come Mordred sembrava aver fatto progressi e di come Merlin avrebbe voluto visitarlo almeno una volta ogni due settimane.

“Se credi che sia la cosa giusta da fare, hai il mio completo appoggio” disse Arthur, poco prima che la macchina deragliasse dalla strada e andasse a sbattere contro un albero.
Per fortuna, Arthur era molto diligente e quindi, sia lui che Merlin, indossavano le cinture di sicurezza. Inoltre Merlin, aveva cercato, con i suoi poteri, di attutire il colpo, non appena si era accorto che la macchina stava andando fuori strada.

“Cosa è successo?” sussurrò, massaggiandosi la testa. Aveva dato una forte botta contro il finestrino. Arthur era svenuto, la testa piegata all’indietro sul sedile. Merlin gli tastò il polso e controllò che non avesse gravi ferite. Per fortuna, entrambi avevano solo dei piccoli graffi e qualche livido. Merlin provò ad aprire lo sportello ma era bloccato dall’albero contro il quale erano andati a sbattere.
Slacciò quindi la cintura di sicurezza e provò a passare nel sedile posteriore, in modo da uscire dallo sportello dietro ad Arthur.
Si arrampicò sul sedile e scivolò nel posto dietro ad Arthur, tolse la sicura ed aprì lo sportello. Scese dalla macchina, guardandosi attorno. Doveva chiedere aiuto. La strada però, sembrava essere deserta. Arthur aveva voluto prendere un percorso alternativo per fare un viaggio di ritorno panoramico, e quindi ora si trovavano nel mezzo della campagna, circondati da verdi prati e pascoli.
Senza rendersene conto, Merlin si ritrovò a terra, schiacciato contro l’erba umida.
Sbigottito e leggermente rintronato dalla botta, cercò di aprire gli occhi. Vide una sagoma stagliarsi contro il sole.

“Chi sei? Cosa vuoi?” chiese, cercando di coprire la luce con una mano. Qualcuno lo prese per il colletto della maglia e lo avvicinò al suo viso.

“Ti sei già dimenticato di me?” sussurrò una voce roca. Merlin fu invaso da un tanfo terribile, di marcio e muffa. Si portò una mano al naso, cercando di attutire la puzza.
Provò a guardare meglio e scorse, proprio davanti ai suoi occhi, a pochi centimetri di distanza, il volto di un’orribile creatura. Aveva la pelle interamente ricoperta di una strana sostanza, simile al fango, degli enormi occhi gialli, circondati da delle ciglia bianche. Al posto dei denti, aveva delle enormi zanne, sporche di qualcosa che Merlin non voleva sapere cosa fosse.

“Ehm, ci conosciamo?” chiese Merlin, certo di non aver mai visto una creatura più orripilante di quella. In risposta, la creatura lo scaraventò a terra.
Merlin lanciò una rapida occhiata alla macchina, dentro la quale, Arthur era ancora svenuto.

“Irina! So di essere molto più bella nella mia forma originale, rispetto a come mi hai conosciuta” borbottò quella. Merlin sgranò gli occhi. Mai avrebbe potuto pensare che, quella terribile creatura che puzzava di marcio, fosse la stessa donna che aveva conosciuto alla cena medievale e che aveva tentato di ucciderlo. Deglutì. Ecco cosa intendeva dire Morgana, quando aveva detto che Irina e suo marito non erano maghi. Irina era un orco.

“Senza dubbio” sussurrò Merlin, cercando di non rigettare sul prato la sua colazione.

“Cosa vuoi da me?” chiese poi, portando un braccio sul naso. Irina gli si avvicinò, zampettando sulle sue gambette corte e bitorzolute.

“I tuoi poteri” borbottò Irina, a pochi centimetri dal volto di Merlin. Quello inarcò un sopracciglio.
“E come pensi di impossessarti dei miei poteri? A quale scopo, poi?” chiese Merlin. Con la coda dell’occhio, vide l’ombra di Arthur muoversi da dentro la macchina.

“Uccidendoti. E’ semplice. Basta un semplice incantesimo e io potrò finalmente avere tutti i tuoi poteri. E’ stato uno spreco averli donati ad una creatura inutile come te. Cosa ne fai tu, eh? Non li usi. O li sprechi per fare sciocchi giochi con il tuo ragazzo! Io, io invece, li userei per conquistare il mondo, per renderlo un posto migliore” Merlin non ebbe dubbi in merito al fatto che sicuramente, se Irina avesse conquistato il mondo, tutto sarebbe stato più puzzolente.

“Pensi sia così semplice?” chiese Merlin, cercando di prendere tempo. Arthur era sceso dalla macchina e stava barcollando verso di loro. In mano, teneva una spada. Da quando aveva ripreso possesso dei suoi poteri, ne aveva lasciata una nella macchina, per qualsiasi evenienza. Era convinto che una spada potesse essere più utile di una pistola, in molti casi. Inoltre si trovava meglio con la sua vecchia arma piuttosto che con quelle moderne pistole.

“Oh, si, sarà un gioco da ragazzi” rispose Irina, allontanandosi lentamente da Merlin e quindi facendosi più vicina ad Arthur.
Quando fu abbastanza vicino, Arthur prese Irina per una spalla e la infilzò con la spada. Quella, per un momento, rimase immobile, gli occhi sgranati.
Poi scoppiò a ridere.

“Pensi davvero che basti una qualsiasi spada ad uccidermi?” iniziò a gorgogliare. Merlin si alzò in piedi e sorrise.

“Una spada no, ma un incantesimo si” lanciò un’ondata di potere contro l’orchessa, la quale lo guardò sorpresa. In un secondo, il suo corpo divenne poltiglia fangosa. Arthur alzò lo sguardo verso Merlin, dopo aver fissato i resti del corpo di Irina.

“Brutta storia” disse, tappandosi il naso. Merlin scoppiò a ridere.

long live to us, ale_hysteria

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