Ovvero, la dimostrazione che sono una nerd senza vita sociale.
Vi presento Tiana. Vive in World of Warcraft ed è quella che noi crafteriani (nome autoimposto dei giocatori del server) definiamo un elfo caramella: il membro più dolce, gentile e stucchevole di una razza di pazzoidi assetati di vendetta. *_* Quanto mi diverto a giocarla? Troppo!
Molveno, suo fratello, è il personaggio del mio ragazzo. XD
Si parla sempre di Elfi del Sangue, come con l'altro pargolo *indica Yunel di qualche mese fa*. Quando devo fare schede pg finisco sempre per metterle in forma di fanfiction... E ci ho messo due mesi a partorire questa. Alla fine ci sono riuscita ascoltando inni di chiesa (e Hallelujah di Cohen) a manetta... Ah, le gioie del giocare una sacerdotessa quando si è atei!
Non è betato perché dopo averlo scritto mi è venuta una crisi di rigetto e non volevo più vederlo. D: E' di buona comprensione anche senza conoscere il gioco, massimo chiedete che vi spiego perché ci sono dietro un po' di casini. Informazioni necessarie: il culto della Luce è più una filosofia che una vera religione, ma c'è chi la prende in maniera molto teista. La Luce è una cosa che permea tutto l'universo e che unisce tra di loro tutte le creature; la filosofia che la segue parla del godere della vita e dell'amore, perché amando si approfondisce la connessione con la Luce e si diventa in grado di influenzare il mondo *zucchero cannella e ogni cosa bella*.
In Warcraft ci sono tante tante guerre (ma va?). Qui si parla della Seconda in particolare, in cui gli elfi sono stati attaccati in massa da una legione di non-morti. La capitale è stata mezza distrutta, anche perché gli umani (prima loro alleati) hanno negato i soccorsi, e cosa più importante gli elfi hanno perso il contatto col Pozzo Solare, da cui traevano la forza per usare la magia... Che guardacaso da un'enorme dipendenza. A quel punto l'alleanza è stata sciolta e gli elfi si sono rivolti ai demoni per cercare nuove fonti di potere; il leader che aveva guidato la spedizione nelle terre dei demoni è impazzito e c'è stata una guerra coi Naaru, esseri di pura luce, a cui una gran parte dell'esercito di questo principe pazzo si è alleata vedendo gli errori del proprio capo. Spiego meglio quando sono meno stanca, al massimo se non capite fischiate un po' qui. @_@
Enjoy.
Rispetto. Tenacia. Compassione.
A parlarmi di queste virtù e della filosofia che le aveva create furono i libri di preghiera, raccolti in file ordinate nella biblioteca della casa dorata in cui crebbi, tra le ricche mura di Silvermoon. In quei luoghi splendenti ero cresciuta tranquilla, assieme alla mia famiglia: i miei genitori, Paladini al servizio di Quel'Thalas, e mio fratello Molveno, tutto il loro contrario. Dove loro rispettavano meticolosamente leggi ed autorità, lui si divertiva a sconfiggerle; dove cercavano di insegnarmi il valore di giustizia ed onestà lui seguiva sempre la via facile per risolvere i problemi. Quanto a me, rimasi a lungo nel mezzo, non sapendo chi ascoltare- crescendo imparai poi l'amore per il giusto, assieme a quello per la Luce.
La Luce- forse l'unica cosa di cui oserei incolpare la mia famiglia è di non avermene mai parlato di persona. Paradossalmente, nonostante il loro ruolo, entrambi i miei genitori si erano sempre astenuti dall'indottrinarmi- so solo che, in una delle numerose mattinate passate nella biblioteca, a leggere di questo o quello, tra le mani mi capitarono dei salmi.
Lessi, e l'amai. Amai quelle parole di speranza: eravamo tutti uniti, nella Luce, ed essa pervadeva ogni cosa, ed era l'Amore a cambiare il mondo ed a dirigerne le fila. Ogni sventura sarebbe stata seguita dalla gioia; ognuno sarebbe stato salvato, in un modo o nell'altro. Questa fede parlava- e parla tutt'ora- della vita, di ciò che essa può donarci.
Come potevano avermi nascosto una cosa del genere? Abbandonai quelle vaghe letture sull'arcano che mi avevano preso fino a quel momento, mi tuffai nei testi religiosi, nella nostra lingua ed in quella umana, che finii per imparare per poter meglio capire cosa il testo mi rivelava.
Ero ancora giovane, ma in quel periodo venne il momento di scegliere per me una strada: a cosa dedicarmi, da lì fino alla morte? La scelta non mi sembrò difficile: la Chiesa della Luce cercava sacerdoti. Avrei studiato la materia che mi aveva tanto preso, l'avrei vissuta...
Questa mia vocazione non poté arrivare in momento peggiore. Non so bene cosa accadde, ancora non me lo spiego: ricordo solo che i miei studi appena cominciati vennero bruscamente interrotti. Motivi economici, così mi dissero i miei genitori: caduti in disgrazia ed impoveriti, non potevano lasciarmi passare anni per apprendere un mestiere che richiedeva corpo ed anima, e che mai avrebbe reso abbastanza.
Ricordo la decadenza di quegli anni. La nostra grande casa- che ancora abito oggi, che non venne venduta forse per orgoglio- pareva vuota. La tensione correva tra tutti noi. Le dispute tra mio fratello e mio padre si facevano via via più intense: come seguendo la fine della nostra ricchezza, anche i suoi piccoli affari illeciti (furtarelli, forse piccole truffe- non approvavo e non approvo tutt'ora, ma non erano mai stati tanto gravi) erano precipitati in qualcosa di peggio. Non so cosa gli successe in quegli anni. Veniva poco a casa, e quando lo faceva era teso: col passare degli anni, sembrava sempre più che si aspettasse un sicario dietro ogni porta, o chissà che.
Quanto a me, avevo accettato con filosofia il brusco cambiamento- se serviva una figlia che lavorasse, io ero pronta a diventarlo. Mi trovai un lavoro come apprendista di un sarto nel Bazaar; e, a dirla tutta, riscossi un certo successo. Quelle letture sull'arcano che mi avevano interessato prima di scoprire la Luce diventarono preziose, poiché imparai a tessere la magia nelle mie creazioni come fosse stata filo. Questo mi distraeva: occupare le mani mi lasciava il tempo di pensare alla Luce, riuscivo a pregare sottovoce, senza farmi sentire. Eppure non era quello che desideravo.
Se mi trovavo sola, con un attimo libero, prendevo i vecchi libri su cui avevo passato tanto tempo e rileggevo i passi più belli: mi davano coraggio. Lavoravo più del necessario, sperando che un giorno le cose per noi sarebbero migliorate anche grazie a questo.
Intanto le dispute in casa si facevano peggiori. Era raro che le stanze fossero completamente silenziose, e anche allora l'atmosfera era tutt'altro che pacifica; eppure, non mi spiego come, la nostra situazione economica andava migliorando. Un giorno, i miei genitori mi chiamarono davanti a loro per parlare del futuro.
Mia madre era tesa come una corda di violino. Fumava di rabbia, eppure mi si rivolse in un tono altero che ero abituata a sentire. Mi disse che non era più necessario che lavorassi, che se volevo potevo riprendere gli studi...
Accettai seduta stante, forse in maniera troppo improvvisa per l'evidente difficoltà con cui mi avevano comunicato quella decisione; tornai a studiare sotto la mia vecchia insegnante, Belestra. Ogni tanto, quando ne avevo il tempo, continuavo a tessere per aiutare i miei genitori; ma la Chiesa prendeva più e più del mio tempo, lasciandomene ben poco per fare qualsiasi altra cosa.
Quando tornavo a casa, la sera, sentivo spesso litigi furiosi- ma l'ultimo che udii fu sicuramente il peggiore.
Volavano accuse, da parte dei miei genitori, e Molveno le stava schivando con la stessa rabbia cieca di chi le aveva lanciate. Quello che compresi fu che mio fratello si era infilato in un affare più grande di sé stesso: era lì, ferito, dopo aver rischiato l'assassinio, e ora cercava di spiegare non so cosa, per non so che motivo.
Come ero sempre stata abituata a fare, in maniera un po' codarda, mi tenni fuori dalla discussione, rifugiandomi nella mia stanza con un libro. Osai muovermi solo quando le urla si furono calmate, andai a cercare mio fratello per sapere come stava: avevo appreso da poco come la Luce potesse risanare una ferita, e volevo fare qualcosa per lui.
Quando entrai nella sua stanza, la trovai vuota.
Molveno non era lì, e parte dei suoi effetti personali era sparita; l'unica traccia rimasta della sua presenza, oltre ad oggetti sparsi di nessuna importanza, era una lettera. Ne riconobbi la calligrafia caotica, e vidi con sorpresa che era indirizzata a me.
Cara sorella,
Sono costretto a partire. Ci sono persone che vogliono la mia pelle, e devo lasciarmeli alle spalle. Non penso di tornare...
Quello che ho fatto, l'ho fatto per te. Che tu possa trovare la Luce che cerchi.
A quelle parole, mi si strinse il cuore.
Per me... Capii che era stato merito suo, se avevo potuto cominciare nuovamente gli studi. Capii il motivo per cui mia madre era così restia a rimandarmi da Belestra, il perché di tutte quelle urla: i soldi che aveva guadagnato in quella sua maniera illecita... Erano stati spesi per me.
Piansi, quella notte. Non avevo mai capito il suo sacrificio, spesso mettendomi dalla parte dei miei genitori anziché supportarlo...
Successivamente, mi buttai corpo ed anima negli studi, anche più di quanto non avessi fatto prima. La Luce era una forza incredibile, ed ancor più incredibile era la sua maniera di fluire in me, di permettermi di compiere piccoli miracoli. Le ferite si risanavano sotto il mio tocco, le mie parole potevano proteggere qualcuno o dargli la forza: per la prima volta in vita mia, sentii il potere e capii che, da quel momento in poi, mi sarei votata ad usarlo esclusivamente per il bene del prossimo.
Se mai la mia fede vacillò, fu durante l'attacco del Flagello, in quell'anno maledetto.
La città era diventata l'inferno: i miei genitori, tra le fila dei Paladini, combattevano, e io lottavo per non soccombere al panico. Mi era stato ordinato di fuggire- ancora non ero abbastanza padrona della mia arte per restare in mezzo ad un campo di battaglia- e lo feci, restia a liberarmi e forse troppo codarda per restare; fuggii, maledicendo Arthas ed il suo esercito che, come onde di marea, si abbatteva sulla città, una fila dopo l'altra. Mi chiesi come poteva essere successo tutto quello, come fosse possibile che la Luce non avesse fermato un simile male.
Mi ritrovai allora in un campo di feriti. Chi era riuscito a sopravvivere, a scappare prima che accadesse il peggio, si era rifugiato in aree nascoste, riparate, lontane dal furore della battaglia; io, seguendo la folla impanichita, ero lì, salva per non so che miracolo. C'era chi, in malo modo, cercava di medicare una ferita; chi agonizzava; un elfo piangeva stringendo una salma orribilmente lacerata. La nausea mi colse alla vista del cadavere, ma distolsi lo sguardo: sapevo che chi era abbastanza versato nelle vie della Luce avrebbe forse potuto fare qualcosa, ma io ancora non ne ero in grado.
In quel momento, anzi, non ero in grado di far nulla. Era sempre stata la fede a darmi la forza: ora, in mezzo alla disperazione di quel luogo, non riuscivo certo a mettermi in contatto con la Luce. Avrei forse dovuto trarre potere da ciò che ci aveva traditi?
Ero sconsolata. Ricordo benissimo quel sentimento, quell'improvvisa debolezza che mi aveva colto. Passai così varie ore: ancora i visi di chi avrei potuto salvare, se solo avessi ritrovato prima la mia fede, mi disturbano il sonno. Come ho potuto lasciar morire delle persone per una stupida, personalissima questione di fede? Eppure, non riuscivo davvero a far nulla... Chiusa nei miei pensieri, rimuginavo ancora ed ancora sul perché di tutto quello. Perché quell'odio, perché tutta quella la morte? Perché ero così impotente?
Solo ad un certo punto la risposta al mio dilemma mi colpì.
Come avevo fatto ad essere così cieca? La Luce mi aveva abbandonata perché, presa da me stessa, avevo voluto averla al mio servizio... Aveva abbandonato la nostra razza per lo stesso motivo. Se il Flagello ci aveva colpito, era stato per questo: una decadenza che già avevo notato in passato, un desiderio di assoggettare quella purezza che tanta forza sapeva dare. Avevamo voluto dirigere l'operato della Luce, quando avrebbe dovuto essere il contrario: non potevo aspettarmi di chiamarla a me. Dovevo lasciarla fluire, permetterle di controllare le mie azioni completamente, spassionatamente. La Luce era amore; per questo avrebbe salvato chi ancora aveva una speranza...
E l'avrebbe fatto per mano mia.
C'era ancora chi agonizzava per le ferite, sospeso tra vita e morte. Ero stata, fino a quel momento, una presenza più o meno ignorata dagli altri: ero decisamente in stato migliore di certe vittime di quella catastrofe, e chi era in grado di fare qualcosa aveva preferito pensare a loro. Ricevetti un paio di sguardi stupiti quando mi alzai, dichiarando che potevo aiutare.
Tra la desolazione delle rovine di Silvermoon, che si vedevano da lontano, e il dolore che circondava il nostro sparuto gruppo di sopravvissuti, le ferite che riuscii a sanare diedero anche a me un po' di forza. Non potevo fare molto, ero lungi dal livello di altri guaritori che si affaccendavano tra i giacigli di fortuna; ma anche sanare una ferita lieve o curare un'infezione erano cose di grande importanza, in quel momento. Sentivo di avere uno scopo.
Purtroppo, la tragedia aveva ancora un epilogo. I miei genitori, seppur salvatisi da quell'orribile battaglia, avevano deciso di partire col Principe verso le Terre Esterne. Tentai di dissuaderli, spaventata dalla solitudine e dalla prospettiva della loro morte; ma mi dissero che volevano riguadagnare l'onore perduto anni prima, e chiusero lì la discussione.
Io non potei che concentrarmi di nuovo sugli studi, mentre aiutavo nella ricostruzione della città. La Luce, dopo quel flusso improvviso il giorno della battaglia, scorreva debole attraverso il mio corpo- mi sentivo fiacca, provata in ogni istante. Come molti altri, soffrivo la perdita del Sunwell. Non era l'arcano a mancarmi, ma l'energia stessa che avevo prima ricevuto dalla Luce. Non sarebbe più tornata? Non capivo, non capivo...
Un giorno, Belestra (che aveva continuato ad insegnarmi la teoria, nonostante lei fosse indebolita quasi più di me da quella perdita) mi chiamò a sé. La trovai più colorita di quanto non fosse stata negli ultimi tempi: mi disse, con un certo sollievo, che la Luce era tornata da noi.
Gioiosa, chiesi spiegazioni; ma lei tacque, non disse altro. Ora ho scoperto che intendeva semplicemente proteggermi dalla verità: che questa nuova Luce che le aveva ridato forza era rubata. Sapeva, probabilmente, che scoprendolo avrei rifiutato di usarla- ero promettente, ed il mio talento era necessario alla Silvermoon morente di allora. Ma a quel tempo, il mio non divenne più che un vago sospetto.
Continuai così a vivere, sola. Gli unici contatti che avevo con la mia famiglia erano saltuarie missive di Molveno, spesso nulla più che un saluto ed un qualche oggetto esotico che desiderava regalarmi, e notizie ancor più rare dei miei genitori: Kael'thas si era rivelato un traditore, e loro avevano seguito Voren'thal a Shattrath, con la parte del nostro esercito che aveva compreso le pazzie compiute dal Principe. Questa notizia mi confortò, dandomi un po' di pace dopo la mia continua preoccupazione.
Tutt'ora vivo a Silvermoon, aiutando chi ancora combatte contro il Flagello nelle nostre terre. Ho preso finalmente gli ordini, pochi mesi fa: tutto quello per cui avevo lavorato, sin da piccola, ora è realtà. Ora ho la forza di aiutare chi ne ha bisogno.
Ora potrò servire la Luce come veramente merita.