Una delle due fanfiction scritte per la terza edizione della "
Sfida Serale, Het VS Slash - Edizione Lupus in Fabula" indetta da
Hikaru_Zani sul forum di EFP. C=
Ho capito che per una come me, un giorno è davvero troppo poco per riuscire a scrivere qualcosa di decente. °I° (E che quando la mia mente trabocca ansia da tutti i pori, i personaggi che tento di gestire si incazzano come delle iene...)
Potete trovare il giudizio scorrendo
questa pagina. =3 (Incredibile ma vero ho preso il massimo del punteggio nell'IC. °__°)
Pacchetto P (come Padfoot <3): Remus J. Lupin/Bill Weasley - Citazione: "In chirurgia c'è una linea rossa sul pavimento che segna il punto in cui l'ospedale da accessibile diventa off-limits per tutti tranne che per pochi autorizzati. Superare la linea senza permesso non è tollerato. In generale le linee esistono per una ragione: per protezione, per sicurezza, per chiarezza. Se decidi di oltrepassare la linea quasi sempre lo fai a tuo rischio e pericolo. Allora come mai più larga è la linea e più grande è la tentazione di oltrepassarla?" (Grey's Anatomy - Meredith)
Scritta anche sul prompt "Je suis de ceux qui n'ont qu'un choix" {trad. Io sono di quelli che non hanno che una scelta} [Contre ceux d’en haut- Le Roi Soleil OST] per
piscinadiprompt. C=
Warning: Pre-slash. Linguaggio. Introspettivo.
Non betata.
La cosa veramente imbarazzante è che mi sono resa conto che oramai sono diventata addirittura incapace di concepire una qualsiasi storia in cui Remus non abbia i neuroni completamente fusi di Sirius. E' potenzialmente problematica, come cosa.
Da quando sei stato aggredito è come se il mondo si fosse improvvisamente rimpicciolito intorno a te e la cosa ti fa imbestialire.
Tutto ti sta stretto, tutto ti soffoca. Il tuo corpo, la tua vita, l’amore della tua famiglia; persino le carezze gentili di Fleur, a volte hai l’impressione che siano solo un’altra delle infinite linee rosse a cui la tua esistenza sembra legata senza possibilità di scampo. Ovunque guardi c’è sempre uno di quei confini invisibili fermo lì, a ricordarti con crudele testardaggine cosa non puoi essere più, cosa non vuoi essere, cosa potresti diventare se solo muovessi un passo ed oltrepassassi la linea sbagliata.
Vivi costretto in una gabbia troppo piccola che tu stesso hai costruito.
Ti senti una bestia pronta a scattare e la cosa ti terrorizza, perché tu non sei così - non eri così, non vuoi essere così - ma ci sono giorni in cui la rabbia diventa talmente cieca e insopportabile che anche la paura non basta più a contenerla.
L’unica volta che ti sei concesso il lusso di sfogarti hai distrutto una sedia scagliandola contro il muro della cucina; a Fleur sono tremate le mani per tre giorni tutte le volte che ti si avvicinava anche solo per sorriderti o darti un bacio sulla guancia.
Pensavi di aver trovato, almeno in Remus, una fugace via d’uscita. Niente di eclatante, solo un bagliore sbiadito. Remus si era dimostrato così gentile e comprensivo nello spiegarti con pazienza che cosa ti è successo, che cosa ti sta succedendo, che per un po’ hai creduto sul serio di poterti aggrappare a lui per non soffocare.
Ma nel suo sorriso sempre un po’ gentile e nei suoi gesti pacati si è palesato l’ennesimo, fottutissimo, confine da non poter superare e tutto è tornato a starti ancora più stretto.
Ti fa rabbia. Come diavolo fa? Lui, che è un licantropo vero, che da quel poco che hai compreso ad ogni luna piena urla dal dolore fino a spezzarsi le corde vocali, come fa ad essere sempre così disgustosamente tranquillo?
Ti manda in bestia e non riesci ad accettarlo, è troppo, ed è per questo che con una scusa assolutamente idiota, che adesso già non ricordi più, lo hai convinto a seguirti in una delle camere da letto; per chiederglielo. Eppure, adesso che siete lì ed hai finalmente la possibilità concreta di riuscire a capire come stare meglio, è come se l’intero tuo corpo fosse pieno d’aria. I polmoni, il cervello, il cuore: non c’è più niente, solo aria e la rabbia che, nonostante tutto, ti tiene sempre compagnia.
- Bill, tutto bene? - ti domanda con il suo solito tono pacato, un po’ preoccupato.
- Devo parlarti.
- Ti ascolto.
Serri i pugni nelle tasche; l’istinto di rompergli il naso con una gomitata ti brucia la gola e la ragione.
- Devo parlarti, - ripeti, senza aver trovato ancora il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento.
Il rumore del tuo respiro leggermente più pesante del normale ti sembra così forte da coprire addirittura il vociare indistinto proveniente dai piani inferiori.
- Io, - deglutisci.
Lo senti sospirare ed infilarsi le mani in tasca.
Ti azzardi a sollevare di poco gli occhi dal pavimento e lui sorride appena i vostri sguardi si incrociano.
- Ti ascolto, Bill, che cosa succ-
- Perché? - sibili, incapace di trattenere oltre la rabbia.
Ti porti una mano al viso e premi forte due dita sugli occhi fino a farti male. Una fitta di dolore così forte da riuscire, per qualche secondo, ad oscurare tutti gli altri sentimenti ti spacca in due la testa ed una quantità spropositata di lucine bianche esplodono contro le tue palpebre abbassate.
- Perché, perché, perché, perché, perché, - cantileni.
Il pensiero di starlo chiedendo alla persona più sbagliata del mondo è vago e sfuggente; senti che c’è ma non lo riesci a formulare come dovresti.
- Perché a me?
Scuoti la testa, continuando a premere le dita con tanta forza che le lacrime non riescono nemmeno a formarsi.
- So quello che stai passando. Fa male, lo capisc-
- No, no che non capisci, invece. Non capisci niente! - urli.
Torni a posare gli occhi sul suo viso e lui sostiene il tuo sguardo furioso senza nessuna difficoltà.
- Sei un lupo mannaro, cazzo, non potrai mai capire niente! Ad ogni luna piena tu puoi correre e mordere e sbranare; io cosa posso fare? Niente. Non posso alzare la voce, non posso arrabbiarmi, non posso sfogarmi, non posso fare niente. Niente!
Nonostante nella stanza non ci sia nessuna odiosa linea rossa, a parte Remus, le senti ugualmente tutte stringerti il petto, mozzandoti il respiro, ed alitarti le loro promesse e i loro rimpianti sul collo.
Remus si è irrigidito; ha le labbra serrate in un’espressione dura ed anche se non è durata più di un attimo, non ti è sfuggita la scarica di puro odio che per qualche secondo gli ha colorato gli occhi.
Scatti nella sua direzione: non pensi, non decidi; superi il confine e basta.
Lo afferri per il bavero della giacca e con tutta la rabbia che hai lo spingi contro la porta chiusa. La sua schiena che sbatte contro il legno produce un rumore davvero poco rassicurante e Remus ringhia di dolore quando la maniglia gli si conficca nel fianco.
- Tu non capisci niente, non puoi capire, non capirai mai.
Adesso che gli occhi non sono più costretti sotto la pressione delle tue dita, le lacrime sono finalmente libere di formarsi ed appannarti la vista.
- Perché a me? - sibili arrabbiato, ad un soffio dalle sue labbra.
- Perché a me?
Lasci che la tua testa scivoli in avanti, fino a posare la fronte contro la sua spalla.
Da quella posizione l’unica cosa che vedi è la mano destra che Remus ha estratto istintivamente dalla tasca quando ti ha visto avvicinarti e che adesso è rimasta immobile a penzolare vicino al suo fianco.
Come prima non pensi, non decidi; semplicemente fai scivolare una delle tue mani lungo il suo braccio e scendi ad intrecciare le dita alle sue.
Remus non ricambia la stretta ma nemmeno si scosta; rimane fermo, ti lascia libero di decidere da solo cosa fare.
- Perché a me?
Senti il suo lento respiro regolare spezzarsi un secondo, prima che parli.
- Non lo so.
Smetti di fissare la tua mano aggrappata alla sua e chiudi gli occhi.
- Oramai ho perso il conto di quanti anni sono che mi pongo la tua stessa domanda e ancora non sono riuscito a trovare una risposta, - continua.
- Credo non esista. Puoi solo accettarlo, senza farti domande inutili. Devi solo darti un po’ di tempo, vedrai che poi diventerà tutto più facile.
Soffochi un colpo di tosse contro la stoffa della sua giacca.
- Sul serio?
Un sorriso amaro ti tende le labbra.
- Sul serio il tempo rende le cose più facili?
Lo senti inclinare la testa leggermente di lato ed anche se non ne sapresti dire il motivo, hai la certezza che un sorriso identico al tuo sia appena spuntato anche sul suo viso.
- Sicuro di volerlo sapere davvero?
Fai cenno di no con la testa, prima di tornare a guardare la tua mano aggrappata alla sua.