(no subject)

Nov 24, 2012 12:35


Stamane stavo guardando fuori dalla vetrata. Dove abito io, il lato a sud non è chiuso da un muro, no, ma da una grande vetrata. Non perché noi (dove “noi” sta per famiglia) si abbia un gusto raffinato o la mania di controllare quel che accade fuori, non perché si sia esibizionisti e si voglia far sapere agli altri quel che avviene tra le domestiche mura: invero v’è una gran vetrata perché la regione ce l’ha imposto. Dato che ove io abito era un fienile un tempo, abbiamo dovuto ristrutturare casa mia tenendo conto delle antiche vestigia, affinché non si perdesse la vetusta sembianza d’un fienile pieno d’inverno e d’estate vuoto. Insomma, per motivi di tutela del patrimonio paesaggistico e delle cose antiche còndite, abbiam dovuto metter ‘sta maledetta vetrata, assai cara nel prezzo e fragile nella materia, che accresce il calore del sole d’estate e mitiga l’azione dei caloriferi quando fuori è freddo.

Vi sono però aspetti positivi. Pur essendo dentro, non è un muro il mio orizzonte: io vedo il Monviso, il Musinè e il volo degli uccelli. Vedo i gatti sgattaiolare e i cachi, quando giunge l’ora giusta, cadere e conoscere la gravità. Quando cadono i cachi, dan di fuori quel che han dentro. E si spetasciano d’ un arancio molle e freddo.

Stamane, guardando fuori dalla vetrata, ho visto un uccelleto sul balcone. Era piccolo e verde e giallo. Era grigio e bianco e nero. Fino, aguzzo e corvino era il suo becco. I suoi occhi, che mai ho visto chiusi, neanche per un momento, erano più neri del carbone. L’ho preso d’una mano e l’ho portato in camera mia. Povera creatura, non cinguettava, non volava e non muoveva le zampette. Ho chiamato mio padre (il quale da piccolo si dilettava con i suoi fratelli a far incetta di pigolanti), è venuta anche mia madre.

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Non appena ho indicato quella minuscola creatura, mio padre ha esclamato, con la voce di cuoio ruvido che gli appartiene: “Che bello!”.

Mia madre ha emesso, più che un’esclamazione, una melodia di miele: <> e poi ha aggiunto: <
Il est tout petit>>.

Quando un francese (uno del sud) dice “peuchère” espone il suo cuore, lo offre al mondo tagliato a fette affinché tutti ne possano assaggiare. Dov’è un “peuchère” vi sono amore compassionevole e commozione.

Questo sentimento caldo nei confronti delle creature che si affacciano alla vita, aduse all’esistenza angusta nell’uovo e nel grembo più che a vivere e a sentire nel mondo “extrauterino”, è da annoverare tra i sentimenti più alti della nostra specie (non è escluso che qualcosa di simile sia provato anche dal resto del regno animale).
In conclusione: nell’amore  verso una creatura piccola, inerme e bisognosa di cure v’è la misura d’ogni amore.
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