Sep 20, 2012 21:26
Mi sono iscritto a un corso di meditazione. Martedì sera si è tenuta la prima lezione. Eravamo in cinque, due ragazzi, due ragazze e la nostra guida (non trovo un altro termine). Costei ci ha illustrato a grandi linee (molto a grandi linee) la storia della sua particolare scuola di meditazione e gli effetti che questa pratica ha sulla psiche e sul corpo.
Utilizza una lingua molto semplice e traduce (senza dircelo) in italiano le parole indiane. Non è sbagliato, la meditazione è soprattutto una pratica, non deve riempirci la testa di concetti, ma aiutarci a svuotarcela (io la vedo così).
La nostra guida, però, a causa di uno strafalcione, ha perso parte dell'autorevolezza di cui godeva prima che io udissi quel che ora voi vi apprestate a leggere.
Ora vi consegno una formula (mantra) che dovrete ripetere mentre siete in posizione (āsana): <>.
Dalla mia gola, più simile a un conato di vomito che a un consiglio, è uscita, senza che io potessi controllarmi, questa parola: "Avverbio!".
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Ora, io ritengo irrazionalmente (poiché mi baso su impressioni personali, tutt'altro che oggettive) la nostra "guida" una maestra valida, dotata di una buona conoscenza delle tecniche di meditazione. Credo, però, che saper parlare sia fondamentale per chi vuole essere una guida. Bisogna padroneggiare la lingua e conoscere la grammatica se si vuole trasmettere qualcosa a qualcuno. Se una cosa non si sa, è meglio dirlo, o evitare di toccare quel punto, girarci intorno, altrimenti si rischia di pagare con la propria autorevolezza gli strafalcioni. Tutti facciamo errori. Nella bocca di un maestro, però, questi errori risultano intollerabili. Ricordo di un Prof. all'università che un giorno qualificò come "celebrissimo" il testo di un autore che soltanto lui conosceva. La lezione che tenne fu molto interessante, ma quella piccola parolina inesatta fece ridere sotto i baffi buona parte degli studenti (mica tutti!).