[Shingeki no Kyojin] Little Things (III)

Feb 24, 2015 12:51

Sfida: 500 prompt
Prompt: 059. Attraverso gli occhi di un bambino
Fandom: Shingeki no Kyojin
Personaggi: Jean Kirschtein, Marco Bodt, OC Sophie
Pair: Marco/Jean
Numero capitoli: 11/500
Generi: slice of life, sentimentale, introspettivo
Avvertimenti: shonen ai
Rating: giallo (per le parolacce di Jean)
Numero parole: 2038
Note: Vati e papa sono vezzeggiativi per la parola “padre” rispettivamente in tedesco e in francese. Miei headcanon per questi due, di cui penso scriverò in futuro. Ma per farla breve. Per me Marco è di origini italo-belghe ergo parla francese e qualcosa di italiano, mentre Jean è alsaziano e parla sia francese che tedesco.


Sophie Bodt-Kirschtein era cresciuta circondata da un amore incondizionato che solo molto tempo dopo avrebbe compreso completamente. I suoi papa e Vati non le avevano mai fatto mancare nulla e quando potevano realizzavano ogni suo desiderio. Anche quando erano stanchi, o arrabbiati, o tristi. Per lei riuscivano sempre a trovare un sorriso.
Il suo papa era quello che di solito le mancava di più, soprattutto quando “lo spedivano in culo al mondo”, come diceva spesso il suo Vati. Ed era appena ritornato da uno dei suoi viaggi di lavoro, giusto in tempo per il suo decimo compleanno. Non faceva più missioni lunghe diversi mesi, ma capitava che per un motivo o l'altro dovesse viaggiare spesso, a volte per poche ore, altre per almeno un paio di settimane.
Passava più tempo con il suo Vati, che la mattina la svegliava e le preparava la colazione. Le legava i capelli e poi l'accompagnava a scuola, nella stessa scuola dove anche lui lavorava. Tornavano a casa insieme e poi l'aiutava a fare i compiti e a studiare. E quando era a casa, anche papa l'aiutava.
Quella domenica si era svegliata e la casa era ancora avvolta nel silenzio. Aveva guardato la sveglia sul comodino accanto al letto. Segnava le 8, e quella era un'ora da lei reputata decente per alzarsi.
Aveva infilato i piedi nelle ciabatte a forma di coniglio ed era quasi corsa verso la stanza dei genitori, che dovevano sicuramente essere ancora a letto. Si era appoggiata alla porta, dopo aver delicatamente abbassato la maniglia, spingendola senza fare rumore.
I due uomini dormivano ancora. Poteva scorgere dei ciuffi di capelli color biondo cenere sporgere dalle coperte, e un braccio che spuntava da esse. Dormivano sempre così. Con papa che abbracciava Vati. Li aveva trovati così più e più volte quando cercava di intrufolarsi nel loro letto.
Aveva spalancato la porta, lasciandola aperta mentre avanzava nella stanza senza fare rumore. Aveva sorriso nel guardarli, ferma accanto al letto.
Non erano sempre sereni come in quel momento. Sapeva che a volte litigavano, e uno dei due andava a dormire nella stanza degli ospiti oppure restava sul divano. Anche se non litigavano mai di fronte a lei, lei li sentiva.
Quando aveva chiesto al suo papa perché lo facessero, lui le aveva risposto con un sorriso e una carezza sui capelli. Le aveva detto che tutte le coppie litigavano. Che a loro a volte succedeva anche fin troppo, ma che lei non aveva nulla di cui preoccuparsi. Perché loro si amavano e litigavano solo perché erano sicuri che nulla li avrebbe mai separati.
Anche se lei preferiva quando non litigavano affatto ed erano tranquilli come in quel momento.
Aveva accarezzato la mano del suo papa, che penzolava dal braccio che stringeva il suo Vati. La pelle era rovinata. Conseguenza di un brutto incidente che papa aveva avuto qualche anno prima.
“Principessa, sei già sveglia?”
La voce di suo padre l'aveva fatta sussultare perché non si aspettava di trovarlo sveglio.
“Che ore sono?”
“Le 8.”
La mano del suo papa aveva accarezzato la sua e lei poteva immaginarlo mentre sorrideva.
Lo aveva sentito mormorare qualcosa, ma sapeva che stava sorridendo.
“Andiamo a preparare la colazione allora, e lasciamo dormire questo qui.”
Lo aveva osservato mentre si alzava dal letto senza fare alcun rumore. Erano anni di pratica, si era detta. Vati era quello mattiniero di solito. Era il primo che si svegliava durante tutta la settimana. Tranne la domenica. La domenica sembrava non dovesse svegliarsi.
“Vati sembra la bella addormentata nel bosco.” Aveva mormorato sporgendosi un po' per poter guardare il biondo che dormiva. “Pensi che smetterà mai di tingersi i capelli?”
Marco aveva ridacchiato mentre finiva di infilarsi una maglietta e raggiungeva la figlia. “Solo quando gli cadranno tutti i capelli.” Le aveva accarezzato i lunghi capelli rossi e l'aveva guardata con adorazione. “Cosa vuoi per colazione?”
“Pancake!” Aveva risposto senza pensarci molto.
“Non saranno mai buoni come quelli di Jean, ma posso provarci almeno...” Il moro era uscito dalla stanza e lei lo aveva seguito saltellando.

***
Guardava l'uomo che se ne stava davanti ai fornelli, concentrato come se stesse maneggiando dell'esplosivo. Dosava con cura la quantità di miscela biancastra per poi versarla nella padella riscaldata. Con ancora più cura alzata l'utensile e lo girava per far diventare il tutto più uniforme possibile.
“Papa... Sono solo pancake!” Si era appoggiata contro il mobile della cucina per guardarlo meglio. Sopracciglia corrugate, labbra strette in una linea dritta. “Papa, sul serio. Non devono essere opere d'arte.”
Il moro aveva sospirato e poi le aveva sorriso. “Quelle di Jean lo sono.”
“Perché a lui piace cucinare.”
Marco aveva ridacchiato, mettendo il primo pancake nel piatto. “Gli somigli sempre di più nel modo di parlare...”
“Lo dicono anche le nonne.” Lo aveva guardato e aveva ricambiato il suo sorriso prima di prendere il piatto e andare a sedersi a tavola.
Aveva sentito Marco sospirare, mentre preparava un altro pancake. “Colpa mia. Sono stato poco presente mentre crescevi. E ora sei già una signorina.”
“Si, sono diventata grande.” Aveva iniziato a fare colazione, guardando tutto il tempo la schiena ampia dell'uomo. Odiava guardare la sua schiena, le ricordava sempre le sue partenze.
“Hai già pensato a cosa vuoi come regalo di compleanno?”
“Un pony.”
La risata di Marco non ci aveva messo molto ad arrivare e anche lei aveva sorriso soddisfatta. Quella era tutta colpa di suo zio Eren che continuava a ripetere al suo Vati che aveva una faccia da cavallo, e che sin da quando era piccola le diceva che per essere una degna figlia di Jean doveva avere quantomeno un pony.
“Jean te lo ha già chiesto?” Marco si stava asciugando una lacrima mentre si voltava e la guardava. Anche il suo viso si era rovinato nell'incidente che aveva avuto al lavoro. Ma il suo sorriso era sempre dolce. E i suoi occhi la guardavano come se per lui fosse la cosa più preziosa del mondo.
“Non ancora. Penso che neppure me lo chiederà dopo quanto si è arrabbiato a Natale quando lo zio mi ha portato quel pony di peluche.”
Aveva sorriso soddisfatta al pensiero dell'enorme peluche con cui dormiva da quasi un anno. Anche se era tutto uno scherzo, non le sarebbe dispiaciuto avere sul serio un pony.
“Lui e Eren sono così da quando erano bambini. Non cambieranno mai.” Si era voltato giusto in tempo per non bruciare la propria colazione. “Sophie, vuoi un altro pancake?”
“Pa, perché hai scelto proprio Sophie?”
Marco si era voltato per guardarla. Aveva inclinato la testa e lo scrutava allo stesso modo in cui era solito fare Jean. Se Jean una volta aveva detto che Sophie gli assomigliava, ora era l'esatto contrario. Nemmeno l'avesse partorita il biondo.
“Perché ho sempre pensato che se avessi avuto una figlia avrei voluto chiamarla così.”
“Ma... Ma tu non sapevi che lo sarei diventata.” Lo aveva guardato e l'uomo continuava a sorriderle dolcemente. Conosceva la propria storia. Sapeva che l'uomo che aveva di fronte l'aveva salvata. Sapeva tutto perché quando era arrabbiata con lui o quando lui non c'era, allora il suo Vati le ricordava sempre quanto in realtà papa l'avesse amata sin dal primo momento in cui l'aveva vista. Non le aveva risparmiato nessun particolare, neppure quello in cui lo minacciava di divorzio perché aveva deciso di adottarla senza chiedergli un parere.
“Oh, in quel caso avrei trovato un altro nome per eventuali altre figlie.” Le si era avvicinato e si era abbassato quanto bastava per poterla guardare negli occhi. “Ti ho considerata mia sin da quando ti ho tenuta in braccio la prima volta, mentre piangevi con quanto fiato avessi nei polmoni e io non sapevo come farti smettere. Quando è arrivata l'ambulanza, non volevo lasciarti andare. E anche in ospedale...” Le aveva sorriso ancora e aveva portato una mano al suo viso, accarezzando la guancia piena di lentiggini. “Quando mi hanno detto che stavi bene, che saresti stata bene, ero al settimo cielo. Eri così piccola e indifesa, ma continuavi a combattere.”
“Conosco questa storia...” Aveva mormorato specchiandosi negli occhi nocciola del padre. “Vati dice anche che ho salvato il vostro matrimonio, anche se non capisco come.”
“Perché stavamo passando un brutto periodo. A lui non piace che io sia un soldato...”
“Non piace neppure a me.”
Marco aveva sorriso di nuovo. “A voi non piace che io sia un soldato,” si era corretto prima di continuare a parlare, “e a Jean piaceva ancora di meno che io dovessi partire e stare via sei mesi. Ed allora sei arrivata tu. Dovevamo occuparci di te, insieme, e lo abbiamo fatto. Finché non sono partito. Jean è stato formidabile in quei sei mesi da solo. E mi pento ancora di essere partito. Mi sono perso troppe cose.”
“Vati ti ama davvero molto. Quando non ci sei parla sempre di te.”
Suo padre l'aveva guardata, stupendosi di quelle parole.
“Ma si, pa! Quando non ci sei è solo Marco questo, Marco quello!” Di fronte allo sguardo del genitore aveva sorriso. “Poi mi racconta di com'eri a scuola, o di quando andava a vedere le tue partite di football, e mi fa vedere le vostre foto. Le mie preferite sono quelle del vostro matrimonio.”
Marco le aveva sorriso, accarezzandole ancora il viso. “Jean dice sempre che mi ha sposato solo perché avevo l'uniforme.”
Sophie aveva annuito e poi aveva abbassato lo sguardo. “Vati non ti ha detto cos'è successo a scuola...?”
“Mi ha solo parlato della gita scolastica a cui partecipi la settimana prossima.”
Teneva ancora lo sguardo basso. “Ho picchiato un bambino.” Aveva alzato solo gli occhi verso il padre, e Marco aveva notato anche in questo tracce di Jean. “Ha detto che tu e Vati non siete normali, e che non sono normale neanche io, perché due maschi non possono avere figli.”
L'uomo aveva sospirato. Sapeva che prima o poi qualcosa di simile sarebbe successo, perché ovviamente non tutti accettavano famiglie come la loro.
“Non posso dirti che hai fatto bene, perché non si deve mai rispondere con la violenza.”
A quel punto aveva accennato un sorriso guardando il padre. “Vati ha detto che mi avresti sicuramente risposto così. Lui ha detto che ho fatto bene, ma che non devo rifarlo mai più.”
“Mi sto ancora chiedendo come faccia ad essere un insegnante.”
“Sono il miglior insegnante del mondo. Chiedilo ai miei allievi. E alle loro madri.”
Entrambi si erano voltati verso la porta della cucina, dalla quale stava entrando un Jean mezzo addormentato, con i capelli spettinati e solo i boxer addosso.
“Soprattutto alle madri, no?”
Marco si era subito alzato, raggiungendo il biondo, e Sophie si era voltata a guardarli. Vati era ancora mezzo addormentato e aveva sbadigliato mentre papa gli accarezzava una guancia e mormorava qualcosa che non era riuscita a sentire, ma che aveva fatto arrossire Jean. A lei piaceva osservarli. Le sembravano sempre così innamorati, come se avessero raggiunto il “per sempre felici e contenti” di cui erano piene le fiabe che le avevano raccontato. Guardando loro, vivendo con loro, ascoltando le parole che si rivolgevano, era sempre più convinta che quello fosse il volto del vero amore. Anche se, se lo avesse detto a Jean, questi avrebbe risposto con una risata, al contrario di Marco che le avrebbe sorriso dolcemente per poi accarezzarle i capelli.
“Spostati, plebeo.” Il biondo aveva dichiarato ad alta voce, sorridendo e spingendo il marito. “Il re della cucina ora vi preparerà i migliori pancake della storia dell'umanità!” Si era rimboccato delle maniche immaginarie mentre si avvicinava ai fornelli. Aveva fischiettato un motivetto allegro, preparando i pancake come se fosse la cosa più facile del mondo - e forse lo era - solo per infastidire il marito, il quale si era seduto accanto alla figlia e lo osservava.
“Allora principessa,” aveva esordito Jean dopo qualche istante di silenzio, “Hai pensato a cosa vuoi per il tuo compleanno?”
La ragazzina si era voltata verso il suo papa, trattenendo a stento le risate, mentre questi si era già coperto il viso con una mano, per soffocare la risata che sapeva sarebbe partita non appena Sophie avesse risposto e Jean avesse urlato qualcosa - probabilmente qualche parolaccia rivolta a Eren e poi al creato intero - come sempre.
“Un pony.”

fandom: shingeki no kyojin, autore: sara_sakurazuka, prompt: 059

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