Autore:
gw_at_ecateFandom: Frozen
Titolo: Calore
Rating: nc17
Prompt:163 semina ciò che non puoi mietere
Note: sensory deprivation, tortura
Hans attendeva il giudizio del re suo fratello con curiosità piuttosto che rimorso, esattamente come un anno prima, quando era stato riportato nel regno dalla nave di Arendelle.
Ironico come le giornate potessero ripetersi.
Di nuovo in catene, di nuovo trattenuto da due guardie, di nuovo rammaricato di aver fallito, ma non pentito per aver almeno tentato.
Del resto, perché addolorarsi quando nessuno si era fatto male: l’unico a dover pagare la pena era lui.
La prima volta aveva cercato di ottenere un trono, ma aveva affrettato troppo le sue mosse, dando per scontata la vittoria. A casa - casa? Parola giusta, ma concetto paradossalmente sbagliato - non avevano potuto condannarlo a morte o alla prigione, ed era stato dunque bandito. Mandato al confino, spogliato delle ricchezze, costretto a passare il resto della sua vita e poi morire in una delle città più sperdute delle Isole del Sud.
Hans aveva chinato la testa di fronte alla decisione del re, e per un intero anno era rimasto quieto. Attendendo.
Con il tempo l’attenzione delle guardie era venuta meno, gli uomini si erano abituati alla presenza di Hans, alla sua remissività, e - perché no? - alla sua cordialità.
Il principe aveva imparato dai precedenti errori, comprendendo l’arte della pazienza. Non aveva affrettato i tempi, si era preparato con calma e dettaglio. Quando l’occasione si era presentata, era fuggito.
Per tre meravigliosi mesi era stato libero. Il fiato dei soldati reali gli alitava sul collo, si spostava in fretta e di continuo perché non lo trovassero, ma aveva visto luoghi, respirato di nuovo l’odore salato del mare, ascoltato voci diverse e stretto mani fino allora sconosciute.
Hans contava di salpare la mattina e proseguire la fuga fino ai regni dell’Est, dove non avrebbero più potuto raggiungerlo. Non si era aspettato che anche nel reame di Corona conoscessero il suo viso, e che le guardie lo intercettassero prima che la sua nave potesse lasciare il porto.
Una manganellata allo stomaco e un altro colpo ai reni lo avevano fatto cadere a terra. Il peso delle manette era tornato ai polsi come un brutto ricordo di infanzia, e in un tempo fin troppo breve si era ritrovato nuovamente nel castello in cui era nato.
Quale ironia pensare che tutto ciò nasceva dal giorno in cui lui stesso aveva incatenato una regina nel medesimo modo, manette pesanti e giunture di metallo che gli mordevano le mani.
Esistevano molte punizioni a cui i suoi fratelli potessero condannarlo, non ultima la morte, ma tra tutte le prospettive possibili, mai avrebbe immaginato di venire condotto in una cella e trovare lì Elsa di Arendelle ad attenderlo.
La regina gli rivolse uno sguardo sdegnoso, e il colore defluì dalle guance di Hans, che sapeva interpretare fin nel minimo dettaglio le ombre sui volti delle persone. Non si riteneva un codardo, ma avrebbe desiderato che le guardie non lo lasciassero solo nella prigione con la reale.
«Regina Elsa. Vi trovo bene.» la salutò con un sorriso educato.
Dissimulare il suo stato d’animo gli riusciva naturale come respirare, e si permise persino di avvicinarsi a lei di mezzo passo. Accennò un inchino.
«Sei fuggito.» costatò la sovrana straniera.
La voce di Elsa era fredda, e del resto la sua intera persona emanava gelo. Hans sentì un brivido scendergli lungo la spina dorsale.
«Non abbastanza lontano.» ribatté stringendo le spalle, nascondendo il fremito.
«Sei stato sciocco. I sovrani di Corona sono miei parenti, e quando hanno saputo della tua fuga si sono premurati di darti la caccia insieme ai tuoi fratelli. Noi teniamo molto alla famiglia.»
Il modo con cui Elsa calcò il “noi” lo fece sorridere amaramente. Anche i suoi fratelli erano molto legati, solo che Hans non faceva parte di loro.
Un freddo estraneo e pauroso iniziò a ghiacciargli le mani e il collo, senza che il principe ne capisse la provenienza. Il fiato si addensava in nuvole di vapore davanti alla bocca.
Non seppe celare il nuovo brivido, e vide negli occhi di Elsa che lo aveva notato. Era stata lei a provocarlo, e questo lo fece rabbrividire nuovamente: quanto poteva fare la regina con il suo potere, ora che non lottava più per trattenerlo?
«Il re non ti rimprovera a sufficienza da ordinare la tua morte, principe Hans. Ma sa che io ti odio abbastanza per aver ingannato e quasi ucciso Anna: sta a me scegliere la tua punizione per aver violato il confino.»
Hans si irrigidì. Arretrò fino alla porta quando Elsa gli si avvicinò.
Un tempo aveva trovato affascinante il volto impassibile della regina, perché attraverso decine di minuscoli movimenti degli occhi, delle labbra, contrazioni del collo, Hans riusciva a leggere chiaramente il disagio e la paura di Elsa. Ora il viso davanti a sé era controllato, la rigidità del profilo non indicava nulla se non un rancore cupo tenuto facilmente a bada dalla coltre di ghiaccio che la regina propagava a ogni respiro.
Il gelo cristallizzava le fughe tra i mattoni del pavimento e dei muri, uno strato ruvido di brina copriva le pareti e la porta. Hans capiva che non erano emozioni fuori controllo a causare quella reazione: Elsa sapeva quel che stava facendo, e quando il metallo delle manette attorno i suoi polsi si spezzò sotto la pressione dei coltelli del ghiaccio, il principe rimase immobilizzato dalla paura.
Elsa alzò il mento.
«In ginocchio, principe Hans.»
Ghiaccio comparve dietro le sue gambe, spingendolo a terra, e sparì quando le mani nude toccarono il pavimento, solo per venire imprigionate da radici trasparenti e gelate.
Hans dovette alzare la testa per riuscire a guardare Elsa negli occhi.
«Ti prego…» la scongiurò.
«Non ti ho dato il permesso di darmi del tu. Io sono una regina, e in questo momento tu cessi di essere un principe. Sei l’ultima delle persone. Non sei un mio suddito, e non sono tenuta ad ascoltarti.»
La carezza con cui gli sfiorò le labbra fu persino gentile, ma il ghiaccio che gli congelò la bocca, incastrando addirittura i denti e la lingua, fu doloroso e brutale.
Le mani iniziavano a perdere sensibilità per colpa della morsa del freddo, e il cuore di Hans prese a battere all’impazzata.
Lo schiaffo scaricò staffilate gelide all’interno della bocca, tagliandogli l’interno delle guance. Dal bruciore seppe di avere anche la lingua ferita, ma non riusciva ad avvertire il sapore del sangue.
«Ho pensato, per un certo tempo l’ho creduto davvero, che fossi pentito. Che avessi capito l’enormità di quel che avevi fatto. Ma poi sei fuggito.»
Elsa lo aggirò. Scavalcò le gambe del principe e si inginocchiò dietro di lui. Gli costrinse a piegare la testa all’indietro, tirandolo per i capelli.
«Anna sarebbe potuta morire, e tu la lasciasti sola e al freddo, quando io pensavo fosse al sicuro con te.»
Il sussurro astioso al suo orecchio acuì la sensazione di panico. Il fiato di Elsa era freddo, così come le mani tra i suoi capelli e la guancia poggiata alla testa. Hans tremava come un cucciolo spaventato.
Con una mano la regina gli coprì gli occhi.
«Hai idea di come sia sentire il gelo che ti scorre nelle vene? Cosa voglia dire nascere con il ghiaccio al posto del sangue? Quando il freddo ti raggiunge il cuore puoi solo pregare che un giorno qualcuno lo scaldi, oppure accettare la morte. Anna credeva così tanto in te da essere riuscita a rallentare i miei poteri solo con la forza del suo amore. Poi tu la tradisti.»
Quando le unghie di Elsa gli graffiarono le palpebre, Hans cercò di divincolarsi, ma nuove strette di ghiaccio lo bloccarono.
La regina tolse la mano dal suo viso, ma il giovane scoprì di non poter aprire gli occhi. Fili di cristallo lo rendevano cieco e incapace di guardare Elsa, che si sollevava in piedi e… Hans non sapeva cosa stesse facendo.
«È strano, sai. Non riuscivo a capire come il principe che mi aveva convinta a non uccidere le guardie del Weselton, che non voleva diventassi un mostro, fosse un mostro lui stesso.»
La mente di Hans lavorava freneticamente alla ricerca di una via di uscita. Il principe agitava braccia e gambe, graffiandosi contro il ghiaccio nella speranza di rompere i vincoli che lo tenevano imprigionato a terra, ma nulla sembrava funzionare.
Non poteva parlare, discolparsi, scusarsi e convincere Elsa a lasciarlo andare. Non poteva nemmeno vederla, e fu per questo che sobbalzò in preda al terrore quando le mani della regina furono sulle sue spalle.
«La solitudine può portarti a fare cose orrende, lo so. L’ho capito. E prima di me lo capì Anna, che non smise mai di volermi bene nonostante la respingessi. Lei ti ha perdonato per averla ingannata, ma sai cosa non riesce ad accettare? Che tu abbia cercato di uccidermi. Ed è buffo, perché allo stesso modo io non posso perdonare che tu stessi lasciando a morire lei.»
Le mani di Elsa erano ferme, eppure Hans aveva la netta sensazione che delle dita forti e sottili gli stessero stringendo la gola, impedendogli di respirare.
Non capiva quale tocco fosse quello di Elsa, e quale quello del ghiaccio. Era tutto freddo.
«Volevamo lasciarti il beneficio del dubbio, però. Forse siamo entrambe delle sognatrici, ma né Anna né io potevamo credere che fossi interamente malvagio. Non ti abbiamo conosciuto prima di quel giorno, non potevamo sapere cosa ti avesse reso questa vergogna d’uomo. Se non mi avessi fermata, se nemmeno Anna lo avesse fatto, se io avessi ucciso gli uomini che erano venuti per me, come sarebbe continuata? Forse sarei diventata anch’io un mostro. Un’assassina.»
La lingua bruciava, la bocca di Hans era troppo bagnata perché ci fosse solo saliva. Sangue. Sangue dappertutto, che gli colava dalle labbra, che sgorgava dalle mani e i polsi feriti, dalle gambe dove il ghiaccio aveva strappato la stoffa dei vestiti e la pelle.
«Sai che stavamo intercedendo con i tuoi fratelli per te? Volevamo venissi ad Arendelle, e ti avremmo aiutato. Il freddo che avevo dentro ha cercato di uccidermi per anni, ma da quando lo lasciai uscire ho riscoperto il mondo. Il ghiaccio che avevo messo nel cuore di Anna le ha permesso di capire chi l’amasse veramente, e si è sciolto. Il ghiaccio che io avevo nel cuore si è sciolto. E quindi forse è questa la risposta: il ghiaccio.»
I blocchi che gli imprigionavano le mani si dissolsero. Hans cercò di afferrarsi a Elsa, combatterla, farle male, ma lei nemmeno si scompose. Nel momento in cui il principe le prese le braccia, una patina di brina corse sotto i vestiti, congelandogli il corpo, che si mosse secondo il volere della regina.
La maestria con cui Elsa aveva imparato a dominare il ghiaccio lo spaventava fino alla nausea.
Quando le dita gelide della donna gli sbottonarono la giaccia e la camicia, spogliandolo, Hans capì che sarebbe morto: la regina gli avrebbe colpito il cuore, e lui avrebbe finito di vivere, tremando e senza poter nemmeno piangere o urlare.
Non voleva morire. Non voleva.
Si dibatté quando la mano di Elsa gli toccò il torace. La pelle era quasi ruvida a causa dei peli d’oca e dei brividi.
«E tu saprai accettare il ghiaccio che hai nel cuore, Hans?»
Hans si preparò al colpo. Immaginò la pugnalata dritta al petto, e rimase stordito appena le dita fredde scesero dallo sterno allo stomaco.
«Il tuo corpo saprà resistere al freddo, o morirai?»
Il ghiaccio attorno a lui si modellò, rimanendo però tagliente e doloroso. Prendeva la forma che Elsa desiderava. Hans non era più padrone né dello spazio attorno a sé, né delle proprie braccia, che rimanevano immobili e paralizzate mentre la regina gli slacciava i pantaloni.
Il principe contrasse i muscoli dell’addome, cercando invano di ritrarsi, ma le dita di Elsa scorrevano su di lui, e i suoi poteri si dimostravano più forti di qualunque volere.
Provò dolore quando gli prese il sesso in mano. Il freddo di quella pelle era tale da inviargli scariche traumatiche lungo tutto il corpo, e Hans era sicuro che i rivoli di ghiaccio che sentiva impressi nelle membra non fossero solo un’impressione, ma piuttosto un ricamo che Elsa godeva nel cucirgli addosso, affondando gli spilli dove più potevano fargli male.
Cercò di arrendersi, abbandonarsi alla morsa del freddo sperando che la tortura finisse presto. Ma non poteva credere a quel che stava davvero succedendo, e il principe in lui, più che l’istinto di sopravvivenza, gli gridò di non lasciarsi sconfiggere, e combattere.
Si dibatté, tentò di divincolarsi, sforzò tutti i muscoli cercando ancora di infrangere le catene di ghiaccio.
«È inutile. Non si scappa dal freddo, Hans. Ci si può solo preparare per l’inverno, e sperare che il suo abbraccio non sia fatale.»
La voce di Elsa era un bisbiglio, ma in quel mondo buio e freddo in cui non riusciva più a vedere, non riusciva quasi nemmeno a percepire, i rumori gli arrivavano centuplicati in potenza.
Se avesse avuto meno paura forse avrebbe notato qualcosa di strano nei sussurri della regina. Una traccia di dolore sotto la rabbia e le minacce. Un sentore di umanità.
«Sai che sono troppo fredda per chiunque? Anna tante volte mi stringe e vorrebbe rimanere abbracciata a me, ma deve allontanarsi perché inizia a rabbrividire. Mi chiedo cosa potrebbe causarti tutto questo freddo contro l’intero corpo.»
La mano della regina era ancora sul suo sesso. Tutti i suoi sforzi per liberarsi erano stati in verità così minimi da non preoccuparla nemmeno per errore.
Elsa fece scorrere il palmo adagio, dall’alto al basso. Hans era così rigido nei muscoli da non riuscire a muoversi, e la sovrana lo toccava. Il fiato freddo della regina gli arrivava sul viso congestionato dal gelo, ma mentre la mano di Elsa lo masturbava con studiata lentezza, il respiro gli si accorciava. Il corpo lo tradiva, alla disperata ricerca di una qualsiasi fonte di calore, di un modo per non soccombere.
Il cuore minacciava di esplodere da un momento all’altro, fracassato dal terrore e ora tentato anche dal desiderio fisico che Hans non poteva bloccare o tantomeno nascondere.
Se la morsa del ghiaccio nella bocca fosse stata meno feroce, avrebbe potuto gemere.
L’umiliazione arrivò bruciante quando i fianchi gli scattarono in avanti, incontrollati, e l’eccitazione lo rendeva duro. Si vergognava del piacere che stava provando, perché mentre il corpo rispondeva allo stimolo, nella testa era ancora devastato dalla paura e dal senso di impotenza totale, che ogni nuovo movimento della mano di Elsa accresceva.
La regina accostò la bocca al suo orecchio.
«Resisti al freddo, principe. Prova con tutto te stesso a combatterlo mentre lo senti prenderti, come dovette fare Anna. Oppure cedi e augurati di morire, come feci io quando mi dicesti che mia sorella era morta!»
Frustate di ghiaccio gli spaccarono la schiena, e il dolore fu talmente forte da riuscire a trasmettergli un’agognata sensazione di calore.
La brina sulle braccia solidificò, e mille punteruoli di freddo lo morsero, strappandogli la pelle mentre si ritiravano prima di affondare ancora.
La sofferenza bloccò per un momento il piacere fisico, poi il gelo anestetizzò le ferite, e l’unica parte sensibile del corpo rimase il sesso eretto, duro e anche quello dolorante per il desiderio crescente e non sfogato.
La presa del ghiaccio che si allentava sulle gambe fu una sensazione vaga e quasi irriconoscibile. Hans non capiva se fosse stato lui ad accasciarsi contro Elsa, o se fosse stata la regina a condurlo con i suoi poteri.
«Disperati e aggrappati alla vita con tutta la forza che hai, e forse sopravvivrai.»
Il freddo si propagò dalle gengive fino alla testa, e quando venne spinto schiena a terra, provò dolore nello sbattere il cranio contro il pavimento, ma non udì alcun rumore.
Non sentì il frusciare della gonna di Elsa, non poté ascoltarla sospirare mentre divaricava le gambe e si sedeva sopra il suo bacino.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel sentirla gelida ovunque, anche tra le cosce, e invece caldissima all’interno, umida e bollente attorno al sesso eretto.
Con un ringhio soffocato spinse, affondò in quel calore insperato. Quasi pianse nel sentire il tepore propagarsi dal ventre al resto del corpo in spire sottilissime.
Il ghiaccio attaccò ancora: le mani di Elsa gli si posarono sul petto nudo e il freddo naufragò fin dentro la cassa toracica di Hans.
Il principe afferrò i fianchi della regina, disperato, combattendo il gelo nel corpo con il calore di Elsa. Spinse con violenza, vigoroso. Non pensava al piacere o al desiderio, ma solo a rimanere vivo. Si aggrappava a una fiammella di calore, e intanto Elsa continuava a congelarlo, gli graffiava le spalle, e dalle sue unghie rimanevano incastonati neve e cristalli di ghiaccio.
Hans tremava così tanto da faticare a continuare a spingere ancora. Il freddo gli bloccava la gola, e il principe poteva avvertirlo farsi strada e strangolargli il cuore: poteva sentire solo quello. Quello, e il calore enorme ma insufficiente tra le gambe di Elsa.
Non voleva morire.
Continuava a ripeterselo mentre inarcava la schiena e il bacino, cercando di ignorare le staffilate glaciali.
Voleva calore. Aveva un bisogno disperato di calore.
Ripensò a un sorriso. A una giornata di sole. A un abbraccio. Quei frammenti caldi gli parvero preziosi quanto mai, e vi si aggrappò con la stessa violenza con cui affondava le dita nei fianchi di Elsa.
L’orgasmo non fu piacere, ma solo tepore. Un bruciore salvifico che per un momento gli permise di sentire di nuovo qualcosa mentre un’ultima ondata di freddo, la più forte e violenta, si propagava dal corpo di Elsa.
La regina si alzò quasi immediatamente e Hans contrasse il corpo, preparandosi a ricevere il colpo di grazia.
Invece si accorse di una cosa: riusciva di nuovo a udire il rumore del proprio respiro affannato.
Ancora non era in grado di aprire gli occhi o la bocca, ma poté sedersi. Si riallacciò i pantaloni in fretta, desideroso di coprirsi, porre una fine all’umiliazione, se non alla condanna.
«E quindi hai saputo resistere, principe. Hai desiderato una cosa, e per una volta è stato legittimo.»
Gli occhi bruciarono, lacrimò come colpito da una luce troppo forte, e sollevò le palpebre.
La regina era in piedi davanti a lui, pallida e impassibile come se nulla fosse successo.
«Forse hai imparato qualcosa oggi. Rimarrai in prigione fino a che il re e io non troveremo un accordo, ma penso che l’esilio in un altro regno, dove verrai controllato, sia l’opzione migliore. Magari non meriti ancora di morire.»
La voce di Elsa tremava, e se Hans non fosse stato certo di sbagliarsi, avrebbe giurato che le guance della regina fossero umide. Come se avesse pianto.
Si ritrasse spaventato quando Elsa gli si avvicinò, ma un vento freddo accorse a tenerlo fermo.
La sovrana gli sfiorò la bocca, e Hans fu improvvisamente consapevole del sapore del sangue, di tutto il sangue che colava dal corpo. Ne rimase nauseato e si sentì mancare.
Elsa chiuse la porta della cella alle sue spalle, senza che il principe avesse nemmeno trovato la forza di provare a colpirla e scappare.
Hans recuperò la camicia da terra e si pulì il sangue. Indossò la giacca. Sedette per terra, rivolto verso la porta.
E attese.