Titolo: Finestre nel tempo
Autore: Ruta
Fandom: La Trilogia delle gemme
Rating: verde
Parole: 6220
Avvertimenti: One-shot
Prompt: 1. Il vuoto lasciato dal tempo
Note: Melrose è un piccolo paesino della Scozia. L’ho scelto perché mi piaceva la vaga assonanza con il nome Montrose.
Laburista è un partito politico britannico che si oppone a quello dei conservatori. Per ulteriori informazioni consiglio la Treccani, se siete pigramente attivi quanto me anche wikipedia va bene XD (E sì, Charlotte sbaglia di proposito il nome di Leslie)
La Rolls-Royce dà meno nell’occhio della limousine ed era d’obbligo. Come si potrebbe viaggiare nelle terre selvagge e brulle della campagna inglese, preservando l’eleganza?
Granny Smith è una tipologia di mela: buccia verde e polpa croccante, io personalmente la adoro.
Sì, Gideon non ricorderà l’incontro o forse sì, a voi l’ardua sentenza. Sì, quello è il giorno in cui Lord Lucas ha un infarto e muore. Sì, nel futuro, Gideon e Gwenny sono felicemente sposati e in attesa di un bebè e Raphael spera di convincere Leslie a dirgli di sì, prendendola per la gola o per sfinimento. Credo che avrà la meglio la prima opzione, d’altronde come dice Xemerius, fa delle ottime omelette xD
Sì nel futuro Lady Arisa è morta da un paio d’anni.
Gideon la odiava nello stesso modo in cui aveva odiato la bambina e la ragazzina.
Allo stesso tempo non poteva non amare la giovane donna che era diventata, che stava diventando,
che sarebbe diventata in futuro.
Londra, 2006
La Rolls-Royce parcheggiò davanti all’Istituto Saint Lennox. Il cortile era gremito di adolescenti in orribili uniformi. I sorrisi ammiccanti che le ragazze più audaci gli rivolgevano non invogliavano di certo Gideon a sgranchirsi le gambe scendendo.
- Charlotte dovrebbe essere già uscita - osservò Mr George in tono mite. Non sarebbe bastato quello a riappacificarlo col mondo e Gideon non si diede pena di assecondarlo.
Trascorsero due minuti e in effetti Charlotte aprì lo sportello e si accomodò con eleganza nel sedile di fronte al suo. Era in quella età in cui è da poco trascorso il momento in cui hanno smesso di considerarti un bambino e non manca molto a quello successivo in cui verrai chiamato adulto.
Non era già più una bambina, per modi e aspetto; aveva appena imboccato con grazia la strada per diventare donna.
Charlotte arrossì, come da copione, ma non abbassò lo sguardo. Aveva gli occhi verdi come caprifoglio, come le migliori speranze che l’inverno ripone nella primavera; portava i capelli sciolti sulle spalle.
La postura rigida, il modo in cui teneva le ginocchia unite, le mani sovrapposte e l’espressione sicura e ad un tempo vaga, tutto aveva il potere di intenerirlo e metterlo curiosamente a disagio, farlo sentire responsabile. Crescendo insieme, pensava, si finisce per sviluppare un amor proprio anche nei confronti degli altri; si collezionano i premi e i meriti di un amico, facendosene un vanto come se fossero propri. Quello era anche il loro caso.
Gideon guardò fuori per orientare i pensieri verso altri lidi e fu allora che la vide: la ragazzina dai capelli neri e gli occhi senza tempo. Forse avvenne un cambiamento di espressione sul suo viso, una scintilla di curiosità ad animarlo o un guizzo d’interesse, o forse fu solo l’intuito che il luogo comune attribuiva alle donne.
Charlotte seguì la direzione del suo sguardo e nella sua espressione fu disperatamente evidente l’emozione contro cui lottava. Gli occhi non sembrarono più di un verde positivo e raccolto, ma carico di cose meno misteriose e più umane.
- Mia cugina Gwendolyn - pronunciò, accusatoria. - Ormai è sempre assieme a quella sua amica laburista. Lexie, mi pare che si chiami. -
- Cosa sta facendo? - domandò Gideon, volutamente neutro. In cuor suo era divertito da quella ragazzina, eccentrica come un fiordaliso in un mare di rose.
A tutta prima era una normale ragazza che dopo la fine delle lezioni si trattenga a parlare con un’amica sui gradini della scuola, ma la torsione del busto, il gesticolare che accompagnavano il flusso ininterrotto delle sue parole, il fatto che l’amica - rossa e lentigginosa - l’ascoltasse parlare con interesse e che il suo volto fosse rivolto al punto che l’altra stava osservando e con cui stava discutendo così animatamente…
- Parla con l’albero - osservò Gideon con un sorriso esterrefatto.
- Ah, sì - replicò Charlotte in tono di aperto biasimo. - Vorrebbe far credere di essere capace di vedere fantasmi, spiriti e Dio sa cos’altro. -
- Una sorta di medium. -
- Esatto. - Charlotte annuì con aria di trionfo. - Non lo trovi un tentativo infantile e goffo di richiamare l’attenzione? -
La ragazza non sembrava tenere in considerazione cosa pensassero di lei gli altri, tanto più che il risultato, dopo la prima reazione generale di interesse e stupore, era di derisione a quella manifestazione di stramberia. Era da scartare a priori che fosse quella la ragione di un comportamento tanto bizzarro.
Charlotte era in attesa. Sembrava che fosse stranamente importante per lei che lui confermasse che sua cugina era strana, che andava compatita.
Non gli fu difficile comprendere il reale sentimento dietro la maschera di facciata. Era lo stesso che aveva provato anche lui in passato, rivolto a suo fratello. Invidia, rancore, nostalgia di una normalità mai avuta, di cose mai provate. Capire che anche Charlotte potesse nutrire gli stessi sentimenti lo riempì di una rabbia frustrante. Ancora una volta, sentì quasi di odiare quella ragazza, così preferì dare per scontato che fosse sciocca e immatura, superficiale e frivola.
Gideon annuì con deliberata lentezza. - Immagino che sia difficile non covare una certa invidia nei tuoi confronti, Charlotte. Viaggi del tempo a parte. -
Charlotte gli rivolse un sorriso radioso, gratificata dal complimento e Gideon tornò ad osservare vacuamente il paesaggio fuori dal finestrino mentre la limousine procedeva verso Temple, la promessa di un noioso pomeriggio di lezioni e salamelecchi.
Scottish Borders, Melrose, 2000
La tenuta di campagna dei Montrose era in Scozia e il tragitto da Londra richiedeva diverse ore in macchina. Ciò era dovuto non tanto alla distanza in miglia quanto alla strada accidentata che erano costretti a percorrere per raggiungerla.
Gideon cercava di godersi il più possibile il viaggio e guardava con occhi spalancati il paesaggio fuori dal finestrino: declivi scoscesi, ripidi e pietrosi; oltre le nuvole sprazzi del cielo più azzurro che avesse mai visto.
Mr George, nel sedile al centro, gli sorrise con aria benevola. - Ti piace la Scozia? -
Gideon annuì, entusiasta. - La casa di Lord Lucas è molto distante? -
Mr George gli assicurò il contrario e lui tornò a premere il naso contro il vetro. Avrebbe voluto abbassarlo, ma il dottor White era stato chiaro al riguardo quando, sventato un primo tentativo, lo aveva redarguito su raffreddori e altri malanni fastidiosi che un comportamento del genere - scellerato, era stato il suo giudizio - avrebbe potuto causargli. Poi, come se avesse cambiato idea, aveva sbuffato e con malagrazia gli aveva offerto una Granny Smith, affermando che al loro arrivo avrebbe avuto modo di godere del panorama e dell’aria salubre del luogo.
Nonostante la compagnia bizzarra che Mr George e il dottor White formavano insieme, Gideon non era mai stato così felice di essere un portatore del gene dei viaggi del tempo come in quel momento. Felice ed eccitato.
Perché quella non era una gita di piacere. Non si trattava nemmeno di una vacanza riposante o di una visita di cortesia. Quello era il giorno in cui l’undicesimo viaggiatore avrebbe incontrato la sua compagna di viaggio, la fine del cerchio. Viaggiatore che riconosceva viaggiatore.
Il tempo si dilatò fino al momento in cui la Rolls-Royce posteggiò nel piazzale di ghiaia davanti alla residenza, una tipica casa di campagna inglese: linee eleganti e snelle, circondata da un parco con sentieri per le passeggiate.
Gideon si sentiva tanto nervoso che, scendendo, si strofinò i palmi sul tessuto dei pantaloni, tanto per fare qualcosa. Al contrario di Londra l’aria era nitida, rarefatta in un silenzio friabile.
- Benarrivati, vi attendevamo. Lord Lucas è nel parco con il resto della famiglia. - Il maggiordomo aveva gli occhi di un gufo e li accolse con un’occhiata indecifrabile e un inchino impeccabile.
- Grazie, Mr Bernhard - rispose Mr George. Si tamponò il retro del collo e la fronte con il fazzoletto che portava nel taschino. - Sarebbe tanto gentile da guidarci? -
Mr Bernhard fece un cenno ossequioso e la piccola comitiva seguì il maggiordomo attraverso un corridoio pieno di quadri, un salone di rappresentanza e infine in un accogliente salottino che tramite grandi porte-finestre immetteva nel giardino.
Il suono di risate infantili e il tintinnio delle tazze era inconfondibile. Dopotutto era l’ora del tè.
Mr Bernhard non li fece andare oltre e Gideon intuì la ragione. Non c’era modo di farsi più avanti senza necessariamente annunciare la loro presenza e questo non sarebbe successo finché lui non l’avesse individuata.
L’altra viaggiatrice del tempo, la seconda della loro generazione, l’ultima dei Dodici.
- Ora tocca a te, Gideon - disse Mr George, mettendogli le mani sulle spalle e spingendolo avanti.
Il dottor White borbottò qualcosa, probabilmente quanto sciocca e ridicola fosse l’intera faccenda. Erano giorni che non faceva altro, da quando suo zio Falk gli aveva comunicato la decisione dei Guardiani di metterlo alla prova.
Per un interminabile secondo Gideon pensò a suo zio, a quello che gli aveva detto. “Intendono verificare se sia possibile da parte di un viaggiatore riconoscere un suo simile senza conoscerne in precedenza l’identità. Tu non hai nulla da obiettare in proposito, vero Gideon? D’altronde non vedo come questo piccolo esperimento possa nuocerti.”
Gideon non aveva trovato nulla da ridire. La curiosità, in effetti, aveva superato di gran lunga qualsiasi altra emozione, compresa la noia delle lezioni. Gettò un’occhiata fuori.
Nell’ombra del sole calante, circondata da frasche e rampicanti, c’era una nicchia occupata da un tavolino apparecchiato attorno al quale quattro signore eleganti, due giovani e due un po’ più in là con gli anni, stavano bevendo il tè e mangiando scones. Poco distante, su un telo steso sull’erba, un signore distinto dai capelli d’argento leggeva a due bambini dai capelli rossi mentre un’altra, dai lunghi crini corvini e una strana voglia sulla fronte, prestava attenzione un poco discosta. Qualcosa nel suo atteggiamento, solo l’apparenza della sottomissione, colpì Gideon.
Si teneva le ginocchia contro il petto con aria accigliata, gli occhi di un azzurro vivido fissi davanti a sé. Di quando in quando lanciava occhiate intimidite in direzione del tavolo e delle quattro signore, muovendo le labbra con fretta agitata, come se stesse parlando con qualcuno e cercasse, se poteva evitarlo, di non farsi scoprire.
Anche il signore doveva essersene accorto. Smise di leggere, posò giù la bambina che aveva in braccio e si avvicinò. La bambina bruna smise di parlare e arrossì, ma il signore le sorrise affettuosamente, le disse qualcosa di rassicurante e le accarezzò la testa.
Tranquillizzata, lei gli presentò il posto vuoto e il signore fece un inchino affettato all’amico invisibile col quale stava discorrendo. La bambina ricominciò a parlare senza più nascondersi e trascinò nella conversazione anche gli altri due bambini che batterono le mani, entusiasti, ponendo una miriade di domande al fantasma immaginario, a cui la bambina più grande rispose con garbo e calma. Il signore si voltò verso il lato più estremo del giardino e chiamò qualcuno per invitarlo a unirsi a loro. Solo allora Gideon si accorse della presenza di un’altra bambina, seduta all’ombra di una betulla a leggere per conto suo, anche lei con i capelli della stessa tonalità di tutti gli altri: rossi come il fuoco. Come un rubino. Li teneva legati in una treccia ordinata, stretta. Rivolse un breve sguardo al gruppetto, declinò l’offerta e tornò alla lettura.
Senza volerlo, Gideon si ritrovò a confrontare la bambina dai capelli neri e arruffati come un piccolo corvo e quella dai capelli rossi e l’espressione da fata, il sorriso spensierato dell’una e quello assorto dell’altra. Il modo in cui una gesticolava e quello in cui l’altra teneva la schiena dritta contro la corteccia dell’albero in modo innaturale, facendolo apparire normalissimo.
Gideon guardò l’una e l’altra. La bambina che si teneva da parte, fuori dal mondo, immersa in un libro più grande di lei e quella che invece rideva, strappando risate di divertimento al signore distinto, ai due bambini più piccoli, immersa nel mondo, parte di esso. Aveva gli occhi azzurri come il cielo sopra di lei: l’inizio e la fine del tempo.
Lui non ricordava di aver mai riso così, con tanta leggerezza, o almeno con nessuno che fosse rimasto a ricordarlo. Con suo padre forse? Ma era stato tanto tempo prima. Troppo per fare paragoni.
- Cosa guardi, Gideon? -
Una bambina, un rubino, una come me e una che non lo sarà mai. Gideon non rispose. La indicò. La bambina dai capelli neri.
Una parte di lui desiderava che fosse lei il rubino con la stessa intensità con cui voleva che non lo fosse. Perché se fosse stato vero, se fosse stata lei il rubino, presto non avrebbe più sorriso così. Le lezioni del mistero le avrebbero tolto ogni desiderio di ridere, la scherma le avrebbe dato quella compostezza che a lui faceva tenere la schiena rigida anche ore, giorni dopo. L’avrebbero plasmata, educata, ingabbiata. E della buffa espressione da monella non sarebbe rimasto che un ricordo.
Quando il dottor White sbuffò dietro di loro, dichiarando apertamente l’insensatezza dell’esperimento e Mr George sospirò e indicò l’altra bambina, quella simile a lui, già istruita a dovere, Gideon combatté tra delusione e sollievo. - Oh - disse soltanto. Non si accorse di avere gli occhi lucidi, di avere stretto i pugni.
Si sentiva sommerso da troppe emozioni, troppe informazioni, troppo di troppo.
Voleva il sorriso di quella bambina. E più di ogni altra non voleva invidiarla. Rendersene conto gliela fece quasi odiare.
- Lord Lucas - disse Mr George.
Gideon smise di fissarsi la punta delle scarpe e arrischiò una rapida occhiata alla porta dello studio. Il signore distinto dai capelli d’argento e il cravattino era proprio Lord Lucas, il Gran Maestro. Era la prima volta che gli capitava di vederlo da così vicino, senza il nugolo di guardiani della cerchia interna ad attorniarlo.
Dall’altro lato della stanza Lord Lucas gli rivolse un sorriso gentile e Gideon riprese a contare le trame del tappeto persiano.
Sentì Mr George spiegare che qualcuno non l’aveva presa bene, che l’esperimento era stato un completo fallimento. Gideon chiuse gli occhi e serrò le mani. Stavano parlando di lui. Il fallimento era lui.
Il dottor White aggiunse qualcosa, ma Lord Lucas dichiarò con voce ferma: - Ho sempre ritenuto che si trattasse di un azzardo, ma era espressa indicazione del conte che il primo incontro del diamante con il rubino avvenisse in queste circostanze atipiche, per cui non ho potuto oppormi, qualunque fosse la mia opinione in merito. -
Mr George abbassò la voce per dire qualcos’altro che Gideon non riuscì a sentire. Poi fu costretto a guardare di nuovo verso l’alto.
- Gideon. - Lord Lucas si era avvicinato alla poltrona. Gli si inginocchiò di fronte e gli prese le mani. - Non c’è nulla di cui tu debba vergognarti. -
- Ho fallito - ammise Gideon, deglutendo il groppo amaro che aveva in gola e che gli scavava nel petto. Cosa avrebbe detto di lui lo zio Falk? Cosa avrebbe pensato? Che aveva disonorato il nome della famiglia? - Non l’ho riconosciuta. -
Le labbra di Lord Lucas si contrassero e Gideon vide un lampo attraversare gli occhi azzurri, indecisione o rimprovero rannuvolargli il volto stanco.
- È quello che stavo dicendo. Ha indicato la piccola Gwendolyn invece di Charlotte - intervenne Mr George.
- Non mi sembra il caso di farne un dramma - ribatté Lord Lucas. - I memoriali non fanno parola di un viaggiatore che sia riuscito a riconoscere un altro viaggiatore senza le debite presentazioni e ricerche. Lo stesso conte - ma qui si fermò e tacque, dopo un respiro profondo che cancellò ogni traccia dell’irritazione che aveva manifestato appena un istante prima.
- Guardami, Gideon. -
Gideon obbedì e di nuovo non vide rabbia negli occhi del Gran Maestro, solo dolcezza. - Non devi fartene una colpa, ma dimmi, in confidenza, perché hai creduto che fosse Gwenny? -
Gideon non avrebbe saputo spiegarlo, non a parole almeno. Era qualcosa che aveva sentito dentro, veloce, violento, un fiotto di calore. - Per via dei suoi… - si sentì arrossire - occhi. -
Lord Lucas annuì con l’aria di un cospiratore mentre un largo sorriso gli spianava le rughe e ne creava altre di tipo diverso. - Sono sempre quelli a fare la differenza, vero? Ci imbrogliano nei loro segreti. -
Gli occhi sono lo specchio dell’anima, ricordò Gideon.
Quelli di Lord Lucas e anche della bambina che non possedeva il gene non avrebbero viaggiato come lui nel tempo, non avrebbero visto molte delle cose che invece lui avrebbe visto, ma possedevano comunque una loro bellezza, qualcosa che i suoi non avrebbero mai ottenuto malgrado tutti i viaggi che avrebbe fatto. Che cosa fosse restava un mistero.
- Mio caro bambino, che rimanga tra noi, ma sono proprio contento che alla mia piccola sia stato tolto l’onere di questo fardello. Non è qualcosa che è pronta a portare, non ancora. Viaggiare nel tempo è un dono, ma comporta altresì doveri e obblighi - si lisciò i baffi. - Per non contare il numero increscioso di responsabilità da adempiere. Ormai è richiesta una preparazione, la conoscenza di nozioni che le negherebbero l’infanzia felice che io mi auspico che abbia. Ha già ricevuto abbastanza dispiaceri considerata la giovane età. -
Gideon non era certo di aver capito. Mr George intervenne con aria turbata: - Avevo sentito della malattia di tuo genero, ma non avevo dato adito alle chiacchiere. Che cosa terribile. Grace deve essere distrutta. -
Il dottor White era una statua di sale, il volto grigio e tirato.
Lord Lucas, di nuovo in piedi, prese la mano che Mr George gli aveva porto e la strinse con forza, quindi si voltò verso il dottore con aria afflitta.
- Jake, mi scuso se ho involontariamente innescato ricordi dolorosi. -
Il dottore doveva essere in una delle sue disposizioni d’animo particolarmente brusche. - Non dirlo neppure per scherzo, Lucas, o giuro sull’amicizia che ci lega che niente mi esimerà dal mandarti al diavolo. -
- Vi ringrazio entrambi - disse Lord Lucas in tono commosso. - Se non vi dispiace, ho una richiesta da farvi. Occorre che mi lasciate solo con Gideon. Ci sono cose urgenti di cui dobbiamo discutere in privato. -
Se il dottore White annuì, imperturbabile, Mr George parve a disagio. - Sai bene che il protocollo non prevede -
Lord Lucas non gli diede l’opportunità di concludere, raddrizzò le spalle e quel semplice gesto parve infondergli autorevolezza. - Il lato positivo della carica che rivesto è che ho la piena facoltà di scavalcare la prassi. Non volevo metterla in questi termini, ma in qualità di Gran Maestro vi esonero dalla tutela del diamante per i prossimi - gettò un’occhiata all’orologio a cipolla appeso al suo panciotto - quindici minuti. Mr Bernhard vi scorterà nel patio dove sono più che certo che mia moglie vi delizierà con il migliore tè corretto da Glasgow a qui. -
Dopo che Mr George e il dottor White furono usciti, scortati da Mr Bernhard, Lord Lucas si voltò verso di lui con fare concitato. - Bene, abbiamo poco tempo e si sa com’è il tempo: fugit. Perciò Gideon, presta la massima attenzione a ciò che sto per dirti. -
Il bambino annuì, confuso.
- Tra poco arriverà, forse sarebbe più esatto dire che apparirà. Ebbene, apparirà qualcuno. Devi promettermi che non griderai e che ascolterai ciò che questa persona avrà da dire fino in fondo. Sopra ogni altra cosa devi promettermi che, qualsiasi cosa succeda, nulla di tutto questo uscirà da queste quattro mura, che non ne parlerai con nessuno per nessuna ragione al mondo. Ho la tua parola? -
Gideon non rispose. Lord Lucas lo incalzò. - Gideon, ho bisogno della tua parola. Da questo dipenderà gran parte del futuro degli anni a venire e suggellerà definitivamente il passato. Ne va della vita di molte persone, compresa quella di mia nipote Gwendolyn. Mi dai la tua parola? -
Al sentir nominare la bambina dagli occhi di cielo, Gideon si riscosse. - Avete la mia parola. -
Lord Lucas assentì, rasserenato. - Sei un bravo bambino e diventerai anche un brav’uomo, come tuo padre. -
Fu in quel momento che si udì un forte rumore. Qualcuno comparve dal nulla, urtò la monumentale poltrona davanti al caminetto e fu sul punto di cadere.
L’uomo era alto e giovane, sulla trentina. Aveva i capelli scuri e gli occhi verdi, un volto stranamente familiare. Aveva anche un brutto taglio sulla tempia e gli abiti sporchi di fango. Imprecò mentre si raddrizzava. Lord Lucas lo accolse con una risata che spazzò via l’espressione tesa. - Buon Dio, ragazzo, per quanto piacevole sia ricevere tue visite, ogni volta rischio di rimetterci un pezzo di mobilio. -
L’uomo si buttò indietro i capelli scarmigliati per sorridergli di rimando. - L’ultima volta era un Luigi XV se non sbaglio. -
- Non sbagli. Arisa non mi ha rivolto la parola per due giorni. -
- Ne sono addolorato. -
- Mio caro ragazzo, senza ulteriori indugi ti presento Gideon. Gideon, questo signore è un amico, un viaggiatore come sarai tu stesso un giorno. -
Gideon, che aveva fissato la scena a bocca aperta, la richiuse. - Vieni dal futuro, giusto? Da quando di preciso? - domandò.
L’uomo sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi. - Cosa te lo fa credere? -
- I tuoi vestiti - ribatté il bambino con prontezza. - E comunque chiunque sa che il viaggio nel tempo è unilaterale: si può trasmigrare solo dal futuro nel passato. -
L’uomo fischiò. - Per carità, non ricordavo di essere così saccente. Già all’epoca non ero certo quel che si definisce un bravo soldatino. -
Gideon ammutolì e l’uomo annuì, picchiettandosi la tempia. - So cosa stai pensando. Lo ricordo. Benvenuto nel remoto futuro non prossimo, Gideon. - Stirò le labbra in un sorriso rapace, spalancando le braccia affinché potesse vederlo meglio. - Io sono quello che sei destinato a diventare. -
Lord Lucas gli posò una mano sul braccio per frenarlo. - Basta così, Gideon. È solo un bambino, bada a quello che dici e al modo in cui lo dici. -
- Il bambino è me e dal mio punto di vista l’incontro è già avvenuto. Venti anni fa per la precisione. Ricordo ogni parola come se ce l’avessi impressa nella memoria. Ti prego, Lucas, so quel che faccio. -
Lord Lucas lo lasciò andare a malincuore. - Lo spero per te, ragazzo. Come sta la mia nipote preferita? -
- Sta bene, ma il viaggio l’ha stancata più di quanto ammetta. Con la gravidanza il suo umore è diventato più instabile che mai. -
Lord Lucas sembrava divertito. - È una Montrose. Meravigliosa tre quarti del tempo e impossibile in quello che resta. -
- Il tempo nel nostro caso c’entra ben poco. È tutta questione di tempistiche. Tempistiche a me troppo spesso contrarie. Lucas, l’Alleanza ci sfida come mai prima d’ora aveva osato. Ci è alle costole. -
Lord Lucas annuì. - Lo so. Me lo hai raccontato l’ultima volta che ci siamo incontrati a Temple. È stato un mese fa. -
Gideon vide il se stesso futuro trapassarsi i capelli, frustrato. - Mi fa piacere saperlo. Nel mio caso quell’incontro deve ancora avvenire. Inutile che ti dica che è necessario che l’Alleanza venga sgominata prima dell’approssimarsi della nascita del bambino. Ormai manca poco e tenere Gwenny all’oscuro supera ogni mia capacità. Ora è sotto la custodia di persone fidate, ma sai com’è fatta, quanto è impulsiva. -
- Brutta, brutta faccenda. - Lord Lucas cominciò a fare avanti e indietro nella stanza. Era lui, ora, a sembrare un leone in gabbia. - Purtroppo tutte le ricerche che ho condotto mi hanno portato in un vicolo cieco. Sembra che nessuno sappia niente al riguardo o piuttosto che nessuno voglia ammettere di sapere qualcosa di utile. Dobbiamo ritardare la consegna. Nel frattempo dovrei riuscire ad inventarmi qualcosa. -
Il Gideon versione adulta scosse la testa. - Un mese non è abbastanza e la consegna non può essere rimandata. L’unica opzione ragionevole è che tu stesso vada in Italia. -
Lord Lucas ci ragionò. - Potrei motivare il viaggio con le future trasmigrazioni di Gideon lì, per quando dovrà recuperare il sangue di… -
- Ottima idea - approvò Gideon. Poi fece una smorfia. - Manca poco, Lucas. Gideon - si voltò verso di lui, gli occhi e la striscia rossa della ferita fresca erano l’unica nota di colore nel volto cereo. - Non ti fidare di Mr Whitman. Tienilo a mente. Quell’uomo sarà un -
Era scomparso.
Lord Lucas andò al carrello dei liquori, si versò un bicchiere di scotch e si sedette nella poltrona di pelle contro cui il futuro se stesso si era scontrato, si sarebbe scontrato?, immerso in cupe meditazioni. Gideon aveva una miriade di domande e tanti di quegli interrogativi che non riusciva a scegliere quale porre per primo. - Perché era necessario che io assistessi? -
Lord Lucas rialzò la testa, lo rimise a fuoco a fatica. All’improvviso sembrava stanco e incredibilmente vecchio, dimostrava ogni capello bianco e ogni anno che aveva. - Sei stato tu, intendo il te del futuro, a chiedermelo. Se avessi saputo che arrivato a questa età la mia vita sarebbe stata ingarbugliata a tal punto, forse da giovane mi sarei lamentato meno della quiete del periodo di apprendistato alla Loggia. Per quanto scarrozzare Lucy e Paul nel passato possa rientrare in qualsiasi definizione distorta del termine ‘quiete’. -
Gideon deglutì. Sentiva la testa gonfia come una mongolfiera. Se avesse allentato la presa sarebbe volata via, in balia delle correnti d’aria. - Non capisco. -
- Non ti do torto. Io stesso al momento ci capisco ben poco. È la maledizione dei viaggi del tempo: colossali mal di testa e l’impressione costante di aver perso pezzi di conversazione per strada. -
Scomparso Gideon, entrambe le versioni - bambino e adulto -, fu la versione futura di sua nipote a comparirgli di fronte, improvvisa e incantevole come la fioritura fuori stagione di un fiore.
Lord Lucas sollevò il bicchiere con lo scotch in un brindisi silenzioso. - Dei tutti, chinate il capo al cospetto di mia nipote - la lusingò, indicandola - il Genio fatto a persona. -
- Un vecchio trucco messo a punto negli anni. - Lei cercò di schermirsi, ma era un libro aperto. Compiacimento a parte, rimaneva una vista benefica per gli occhi e per il cuore.
Lord Lucas si alzò e la strinse in un caloroso abbraccio, badando a non stringerle l’addome. - Fatti guardare, nipotina. Un attimo fa ero in giardino ad ascoltarti parlare con il mio trisavolo Thomas ed ora eccoti qua: alta quanto me e in dolce attesa. Misteri del tempo o bizzarrie della vita, mi sento un uomo molto fortunato in questo momento. -
Gwendolyn sorrise con una dolcezza nuova e squisita. La dolcezza di una donna che si scopre capace dell’amore massimo, infinito: quello materno. - Mi sei mancato, nonno. -
- Lo spero bene. Sembra passata un’era da quando avevi sedici anni e ti consolavo per le pene di cuore. -
Gwendolyn si sedette nella poltrona accanto, tenendosi la curva pronunciata della pancia con un braccio, delicatamente. - In effetti sono trascorsi più di dieci da allora. -
- Poco fa Gideon è stato qui. Se fossi arrivata con pochi secondi di anticipo avresti incrociato anche la sua versione più giovane mentre usciva con idee molto confuse riguardo ciò a cui ha assistito. -
La notizia la deliziò. - Oh, che amore! Non potresti richiamarlo? Potremmo fingere che io sia Violet Purpleplum o anche quell’orribile Hazel, se proprio ci tieni. -
Lord Lucas non nascose un sorriso divertito. - Hazel è morta due anni fa e per quanto mi alletti l’idea di vederti cinguettare amene sciocchezze a tuo marito quando era un moccioso, devo rifiutare. In giardino ho le tue zie e una moglie che penserebbero le cose peggiori se dovessi presentarmi sotto braccio ad una sconosciuta tanto avvenente. -
Gwendolyn imprecò con vigore. - Zia Glenda ne sarebbe di certo capace. -
Lord Lucas smise l’aria svagata. - Come vanno le cose nel futuro? Non ho mai capito se la tua parlantina sia un segnale di calma o un’avvisaglia di pericolo. -
- Temo entrambe le cose, nonno. Secondo Xemerius, il demone-doccione di cui ti ho parlato, ricordi?, sono l’umana più chiacchierona che abbia incontrato in cinque secoli di vagabondaggio. -
- Non mi riesce difficile crederlo. -
- Nonno! - Gwendolyn rise.
- Ti vedo tranquilla e, più importante ancora, felice. Dopo tanti affanni, deduco che il pericolo imminente di cui ho discusso poc’anzi con tuo marito sia già un trascorso del passato. -
Gwendolyn annuì, con cipiglio deciso. - L’Alleanza è morta e sepolta. -
- Ne sono lieto. E dimmi, hai già deciso come chiamare il mio bisnipote? -
- Avevo pensato al nome del padre di Gideon, se sarà maschio e se invece fosse femmina… Arisa. -
Nonostante tutto quello che sapeva, Lord Lucas sentì una trafittura contrargli il petto.
- Mi dispiace, nonno. -
- Non devi - disse burberamente e le batté un buffetto sul dorso della mano. - Quando avrai vissuto quanto me, capirai che la morte non è il male peggiore che si possa patire. La perdita di chi ami, sapendo che non potrai seguirli, quella è la peggiore delle punizioni e grazie a te so da tempo che mi sarà risparmiata. -
Gweeny aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra. - Ti voglio bene, nonno. -
Glielo ripeteva spesso, ad ogni incontro, come se ogni volta temesse che potesse essere l’ultima occasione per dirlo. Prima o poi, pensava lui, sarebbe stato così. Anche per un viaggiatore del tempo, il tempo, così prolifico di eventi e poco lineare, finiva con l’assumere un ché di definitivo, sapeva di commiato preventivato.
Scottish Borders, Melrose, 2019
Nel presente la tenuta di campagna aveva un aspetto assai meno curato rispetto al periodo in cui suo nonno era vivo. Lo studio aveva accumulato anni di disuso in cui a chiunque, inclusa Lady Arisa, era stato vietato l’accesso. Oltre lo strato di polvere si percepiva ancora, come il profumo acre e stantio di sigaro che permane nell’aria dopo che si è fumato, la presenza del suo proprietario.
Socchiudendo gli occhi, Gwendolyn aveva l’impressione di vederlo ancora, dietro lo scrittoio sommerso di documenti e carte, con gli occhiali rotondi di tartaruga a ricadergli sul naso, intento a rileggere e studiare, fare ricerche e complottare per il bene della famiglia alle spalle di tutti.
- Me l’hai fatta sotto al naso. -
Gwendolyn non sussultò e quando dalla penombra emerse Gideon, si limitò a sospirare, più per il fastidio che per reale dispiacere. - Come mi hai scoperta? -
Gideon si appoggiò al davanzale della finestra. Non sembrava un fantasma in procinto di scomparire e dell’arruffata criniera che aveva sfoggiato per mesi non era rimasto che il ricordo. Ora erano tagliati dietro le orecchie e la barba era rasata. Anche i cerchi attorno agli occhi erano scomparsi del tutto. Appariva composto e tranquillo, un fiero leone nero che si gusta il banchetto della vittoria. Solo lo sguardo, pensò, covava qualcosa di più profondo della semplice inquietudine, rimandava al ricordo autentico e vivo della disperazione e della solitudine, fiammeggiava come i fuochi fatui delle leggende popolari, quelli che accompagnano la Morte e che precedono la notte più cupa, gli incubi e la luna nera.
- Leslie? - chiese Gwenny e si sfilò i guanti. Il fuoco nel camino era acceso, ma il centro della stanza era freddo nel punto in cui lei era riapparsa.
- Bentornata, mammina. Il bel ragazzo qui ha fatto il diavolo a quattro quando ha scoperto il tuo viaggetto fuori programma. - Xemerius era accovacciato ai suoi piedi e il freddo, per quanto acuto, diventava sopportabile se ad accompagnarlo era la voce insolente del demone, il suo grifo ghignante. - Ho provato ad urlargli che non poteva entrare, che avevi un incontro supersegreto, ma non mi ha ascoltato. Oh, credo che abbia anche forzato la serratura dello scrittoio in cui conservi i tuoi diari, ma non ne sono sicuro. Ero di là a controllare che la tua amichetta non facesse esplodere la cucina. -
- Mmm. -
- Non dici altro? - Gideon si staccò dalla rientranza ad arco della finestra e in pochi passi le fu di fronte, scuro in volto. - Io non so più che fare con te, Gwendolyn. Ogni volta mi convinco di essere riuscito a dissuaderti dal commettere qualche sciocchezza e poi ecco che tu la compi, alle mie spalle e con la complicità di -
Gwenny non gli diede modo di completare. - Lascia Raphael e Leslie fuori da questa storia. -
Incredibilmente lui non reagì. Le mise le mani sulle braccia, poco sopra i gomiti e poggiò la fronte contro la sua. - Non capisci che mi fai impazzire? Letteralmente. Impazzisco per la preoccupazione e per la frustrazione. Dieci anni e ancora non sono riuscito a fare in modo che ti fidi di me. Dieci anni e ancora mi nascondi i tuoi pensieri, le tue intenzioni. -
Gwendolyn gli accarezzò la guancia, sentendosi un mostro di colpevolezza e lui le prese la mano, la voltò e le baciò il palmo, l’interno del polso.
- Era solo una visita a mio nonno - disse in tono pentito.
- Quando? - chiese Gideon senza lasciare la presa.
Non rispose e lui smise di fare quello che stava facendo per guardarla in faccia, serio, e poi, mentre la comprensione faceva capolino, stupito. - Quel giorno? - domandò. - Gwenny, perché spingersi a tal punto? - Le sfiorò le palpebre, le ciglia umide e quando lei le chiuse, gliele baciò.
- Dovevo vederlo un’ultima volta prima che… - non riuscì a terminare la frase, scoppiò in singhiozzi e lui la abbracciò. Gwendolyn lasciò che Gideon la trascinasse fino alla poltrona di fronte al camino e lì sprofondasse con lei seduta sulle sue gambe, come una bambina troppo cresciuta o più probabilmente mai davvero cresciuta in realtà.
- Bleah. Moccio e minaccia di altri baci nell’aria - commentò Xemerius disgustato, da un punto impreciso dietro di lei. - Io vado a farmi un giro. Chissà che nel frattempo la tua amica non sia riuscita a cucinare qualcosa di commestibile per la cena. Tanto intelligente e alla fine non riesce a cuocere un uovo. Perlomeno il francese prepara delle omelette fantastiche. -
Gwenny soffocò un altro singhiozzo, questa volta rassomigliava ridicolmente ad uno sbuffo.
- È ancora qui? -
Gwendolyn riemerse dalle pieghe del suo maglione e tirò su con il naso. - Chi? -
Gideon alzò gli occhi al soffitto, poi li volse in giro per la stanza, trapassando gli angoli bui, come se nascondessero diavoletti con corna e bastoni appuntiti. - Il tuo segugio fantasma. Scommetto che ti ha già raccontato di come ho sottratto furtivamente i tuoi diari. -
Gwendolyn non negò.
- Avresti potuto parlarmene. -
- Per dirti cosa? - domandò lei, giocando con il ciondolo che portava al collo. - Che segno ogni viaggio nel tempo per sapere esattamente quanti giorni mi rimangono da trascorrere con la mia famiglia? Che su un altro indico tutte le volte in cui lascio Leslie, mia madre, Nick e Caroline da soli, così che in futuro una versione più vecchia di me possa andare a trovarli? Suona patetico. -
- Suona umano - ribatté Gideon. Le toccò i capelli.
Gwendolyn appoggiò la testa contro la sua spalla, premette la guancia sulla lana morbida del vecchio maglione che lui indossava, un primo e maldestro tentativo di lavoro a maglia che aveva realizzato molti anni prima, quando era ancora una liceale svampita.
- Non ti terrorizza mai? Il pensiero del futuro, l’idea che noi saremo ancora qui quando tutti gli altri non ci saranno più. -
Gideon smise di accarezzarle i capelli. - No, perché tu sarai con me. -
- E i nostri figli? E i figli dei nostri figli? - Il panico rendeva la sua voce graffiante.
- Gwenny, guardami. - Lei obbedì. Gli occhi di Gideon riflettevano lo stesso tipo di sgomento che lei sentiva sottopelle: piccole serpi e sanguisughe di calore.
- Nessun genitore dovrebbe sopravvivere al proprio figlio. È contro natura, ma noi abbiamo un dono e -
- Non citare Spiderman. Lo so da sola che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. -
Gideon sorrise. - Sono un nerd. -
- Un nerd piuttosto sexy - confermò Gwendolyn. - E notizia flash: essere immortali non è né un potere né un dono. -
- L’infinito dà un certo senso di finitezza, vero? D’improvviso tutto appare così fragile. Sembra basti pochissimo perché ti sfugga tra le dita come polvere. È il vuoto lasciato dal tempo. -
Gwendolyn non riuscì a trattenere una risata e poi un’altra e un’altra ancora. Prima di accorgersene stava ridendo fino ad avere il fiato corto. - E questa da dove ti è uscita? -
- Almeno hai smesso di fare il salice piangente. -
- Già, immagino di doverti ringraziare, giusto? -
- Un grazie sarebbe apprezzato e un bacio è d’obbligo. -
Gwendolyn sorrise. - Vada per il grazie, ma non credo che ti meriti un bacio. Hai frugato tra le mie cose. -
Gideon le sospirò contro la tempia. - Ciò che mio è tuo e ciò che è tuo è mio. -
- Non pensare di circuirmi, usando la voce di velluto. - Gwendolyn cercò di alzarsi, ma Gideon la trattenne.
- La prima volta che ti ho vista, avevi sette anni. Era estate e credo che tuo padre fosse morto da poco. Ti ho odiata da subito. -
Gwendolyn tremò. Tutto ciò che aveva di Gideon era quel sussurro convinto nell’orecchio, vicino e in qualche modo distante; la pelle a sfregare contro la sua; e le braccia con cui la stringeva, salde come sbarre d’acciaio attorno al pancione, un peso morbido.
- Sembravi una bambina felice, di fronte a te avevi una vita facile, avevi una famiglia che ti amava. Come avrei potuto non invidiarti? Era ingiusto che tu avessi quello che io non avrei mai avuto. -
- E poi? -
- Sono passati altri sette anni. Quando ti ho rivista parlavi con un albero. -
Gwendolyn lo sentì ridere, un suono dolce e familiare che fece scalciare il bambino. Buono, piccolo, lo richiamò con dolcezza. - Ti sarò apparsa come una pazza. -
- Eri quanto di più bello avessi mai visto. Eri buffa e divertente, avevi gli occhi di tutti puntati su di te e sembrava che non te ne importasse niente. -
- Mi sarebbe piaciuto conoscerti allora. -
- Anche a me sarebbe piaciuto, ma tuo nonno aveva ragione. Non saresti stata tu, non nel modo in cui lo sei ora. -
- Maldestra e incapace. -
- Genuina, sensibile e perspicace. Posso baciarti ora? -
Il bacio arrivò e dopo tutto il tempo che era trascorso dal primo, anni e anni, dopo tutti gli altri che lo avevano seguito, era meraviglioso accorgersi di quanto riuscisse ancora a sconvolgerla. Risucchiò il vuoto a cominciare dalla gola e poi dal cranio, da ogni biforcazione e nervo. Il vuoto scomparve, lo sgomento si attutì, sostituiti da una vampa di calore che sfrigolò.
Gwendolyn sorrise contro le sue labbra e accantonò i brutti pensieri. Se glielo chiedeva in modo tanto gentile come poteva resistere?