TITOLO: Un vuoto nel mondo
AUTORE:
nessie_sunFANDOM: Doctor Who
PERSONAGGI: Amy Pond, Eleven
RATING: PG
PROMPT: #469. Eco di un legame.
DISCLAIMER: ovviamente, Doctor Who non mi appartiene e, altrettanto ovviamente, niente di quanto segue è scritto a scopo di lucro. Per carità.
NOTE: la fic è ambientata tra Cold Blood e Vincent and the Doctor.
In realtà, è tutto come dovrebbe essere.
Il Dottore le chiede dove le piacerebbe andare sta volta, cosa le piacerebbe vedere di bello, e non appena gli risponde lui muove velocemente le mani sulla consolle del Tardis che parte a tutta velocità proprio come ogni altra volta (e se il suo compagno di viaggio è più gentile del solito con lei, se il suo usuale tono eccitato per la prossima avventura sembra offuscato da un velo di malinconia, Amy non ci fa veramente caso).
Così, la vita di Amy continua esattamente come è sempre stata da quando il Dottore è tornato e non c’è niente che non vada come è stato sino a quel momento.
Il Dottore la porta in Arcadia e poi a visitare i Giardini di Troia, a vedere le eclissi dei tre soli Contos IV e avanti nel futuro sino al 3500, continuando a ripeterle quanto sia meravigliosa ogni cosa che capita loro davanti con un sorriso quasi forzato.
Viaggiano nell’universo come sempre, attraverso il tempo e lo spazio. Amy afferra la mano del Dottore e si lascia portare in mondi affascinanti e misteriosi, a vedere tutte le cose più straordinarie che esistono e che solo condividendo l’esistenza con lui si possono conoscere (molto di più di quanto la sua mente abbia mai immaginato, esattamente tutto quello che sognava da bambina e che ancora le sembra incredibile si sia improvvisamente realizzato); lascia scivolare il proprio braccio sotto quello del Signore del Tempo mentre ridono come due bambini eccitati, uscendo fuori dal Tardis in un turbinio di capelli rossi e giacche di tweed e strani movimenti che ricordano quelli di due ballerini ubriachi. E succede. Proprio in quel momento, proprio mentre Amy si accinge a seguire il Dottore verso la loro prossima destinazione, succede.
E’ impossibile da spiegare, è una sensazione che non ha nome. Amy si blocca sulla soglia del Tardis ed è improvvisamente convinta che ci sia qualcosa che manca, qualcosa che dovrebbe essere lì ma non c’è; si volta indietro per assicurarsi che dietro di lei ci sia qualcuno ed ovviamente non c’è nessuno che la segua, perché è semplicemente assurdo. Chi mai potrebbe esserci nel Tardis, a parte lei e il Dottore? Non ha senso. Eppure, solo per un secondo, essere in due le sembra così sbagliato. Come se qualcosa dentro di lei le stesse dicendo che essere in due non va bene, non va bene affatto; che non è quello il numero giusto per lei.
E’ un pensiero totalmente privo di senso, ma tutto d’un tratto è l’unica cosa di cui è sicura al mondo, nell’intero, immenso, universo. Radicata dentro di lei, per un solo istante in cui il tempo sembra cristallizzarsi, c'è la certezza che sia tutto assolutamente fuori posto. Un dolore sordo inizia a nascerle all'altezza del petto, una fitta insopportabile, quasi il suo cuore si stesse frantumando in centinaia di piccoli pezzi. Il respiro le rimane a metà, spezzato dai suoi polmoni che sembrano essere diventati incapaci di fare il loro lavoro, e Amy pensa che forse è così che ci sente a morire. Che forse può succede veramente, morire di tristezza; che non si tratta solo di un qualche stupido cliché usato dai romanzi o dai film. Se è così che è, se è questa la vera tristezza - questa sensazione che qualcuno ti abbia perforato il petto con un pugno, che ogni più piccolo centimetro del tuo corpo ti stia ricordando la sua esistenza con un dolore che non ha nulla di umano, che ti abbiano strappato via la metà di te che ti rende completa e viva e capace di respirare -, allora forse se ne può veramente morire.
Vorrebbe fare qualcosa, vorrebbe riuscire ad aprire la bocca e chiamare il Dottore per dirgli di farlo smettere, qualsiasi cosa sia, di far smettere tutto questo dolore e tutta questa tristezza - sicuramente il Dottore saprebbe cosa fare - ma le parole non ne vogliono sapere di uscire fuori. La sua mano si stringe con forza intorno allo stipite della porta del Tardis, al punto che le nocche sbiancano, e ci si aggrappa disperatamente, mentre si sente precipitare. La testa che le gira e un senso di nausea che la fa sentire ancora peggio.
Ed Amy non è certa di quanto potrà sopportarlo ancora, il senso di mancanza, di incompletezza, che la sta dilaniando all’interno, le ginocchia che cominciano a cederle e a tremare.
E poi, esattamente come è iniziato, quel momento dilatato nel tempo finisce. Il dolore sparisce, lasciando dietro di sé una traccia impalpabile, l’aria torna a fluire liberamente nei polmoni di Amy e il suo corpo smette di tremare.
Amy si ritrova sulla soglia del Tardis, senza avere la più pallida idea di cosa sia successo. Sbatte le palpebre, intontita, e si guarda intorno. Che cosa stava facendo? Dov’è andato a finire il Dottore? Perché se ne sta lì impalata come uno stoccafisso? Si sente frastornata, ma non ha idea del perché. Si sente stanca in modo strano, la mano destra rigida e indolenzita, e per quanto si stia sforzando non riesce assolutamente a ricordare cosa stesse facendo un attimo fa, perché se ne stia imbambolata in quel modo idiota e si senta come se le stia sfuggendo qualcosa di importantissimo.
Muove qualche passo, tentando di scuotersi di dosso quella specie di corto circuito di cui si ritrova vittima, e alla fine sospira. Scuote la testa e si dà una manata sulla fronte, prendendosi mentalmente a calci da sola: tutti quei salti nel tempo devono veramente stare iniziando a confonderle il cervello. Si è incanta a fissare una porta come una stupida, perdendosi n chissà quali pensieri senza senso. Farà meglio a darsi una mossa e a raggiungere il Dottore, ovunque sia andato a finire, prima che si ritrovino di nuovo in un mare di guai. Sa bene che non può lasciarlo un minuto da solo, il suo Dottore stropicciato. Si affretta ad uscire dal Tardis per cercarlo, lasciandosi alle spalle, sempre più dimenticata, quella strana sensazione. Di qualunque cosa si sia trattato.
C’è un eco nell’universo di qualcosa che è stato e non è più. C’è un eco nell’universo di un legame che è esistito un tempo - un altro tempo -, ma di cui chi dovrebbe ascoltarlo non si ricorda più.